lunedì 31 maggio 2010

Stefania Calledda

Monet


Lettera prima della partenza


Ed ora che ho lasciato le mie valigie sull’uscio,

mi riesce ancora così triste

la tua incapacità d’amarmi,

la tua fuga da ogni

sentimento reale,

la tua indolenza.

Sul fondo del dirupo

la tua assenza

mi lacerava ed ancora mi ferisce.

Che cosa ti rimarrà di me,

se non una corona di spine?

Stefania Calledda, 30 maggio 2010

giovedì 27 maggio 2010

Pensando a Mallarmè... a modo mio... (ri)leggo Brecht



A quelli nati dopo di noi
- Bertolt Brecht

Veramente, vivo in tempi bui!
La parola disinvolta è folle. Una fronte liscia
indica insensibilità. Colui che ride
probabilmente non ha ancora ricevuto
la terribile notizia.

Che tempi sono questi in cui
un discorso sugli alberi è quasi un reato
perché comprende il tacere su così tanti crimini!
Quello lì che sta tranquillamente attraversando la strada
forse non è più raggiungibile per i suoi amici
che soffrono?

È vero: mi guadagno ancora da vivere
ma credetemi: è un puro caso. Niente
di ciò che faccio mi da il diritto di saziarmi.
Per caso sono stato risparmiato.

(Quando cessa la mia fortuna sono perso)

Mi dicono: mangia e bevi! Accontentati perché hai!
Ma come posso mangiare e bere se
ciò che mangio lo strappo a chi ha fame, e
il mio bicchiere di acqua manca a chi muore di sete?
Eppure mangio e bevo.

Mi piacerebbe anche essere saggio.
Nei vecchi libri scrivono cosa vuol dire saggio:
tenersi fuori dai guai del mondo e passare
il breve periodo senza paura.

Anche fare a meno della violenza
ripagare il male con il bene
non esaudire i propri desideri, ma dimenticare
questo è ritenuto saggio.
Tutto questo non mi riesce:
veramente, vivo in tempi bui!

Voi, che emergerete dalla marea
nella quale noi siamo annegati
ricordate
quando parlate delle nostre debolezze
anche i tempi bui
ai quali voi siete scampati.

Camminavamo, cambiando più spesso i paesi delle scarpe,
attraverso le guerre delle classi, disperati
quando c'era solo ingiustizia e nessuna rivolta.

Eppure sappiamo:
anche l'odio verso la bassezza
distorce i tratti del viso.
Anche l'ira per le ingiustizie
rende la voce rauca. Ah, noi
che volevamo preparare il terreno per la gentilezza
noi non potevamo essere gentili.

Ma voi, quando sarà venuto il momento
in cui l'uomo è amico dell'uomo
ricordate noi
Con indulgenza.



martedì 25 maggio 2010

Bertolt Brecht: Hollywood

Ogni mattina,
per guadagnarmi da vivere,
vado al mercato dove si comprano le bugie.
Pieno di speranza
mi metto tra chi vende.


Donghi

giovedì 20 maggio 2010

Francesco Gaeta - Sgombero


Si, vi lascio vecchie mura,
dove un po’ del cuore mio
con un tenero desio
attaccato resterà

E vi lascio che ancor dura
Primavera, tra la festa
Delle rondini e la mesta
Vespertina carità.

Dunque addio, se il dì tramonta,
focolare ove, farfalla
su la tua parete gialla,
un estremo raggio muor;

carte a fiori, ove l’impronta
d’ogni quadro amico e noto
mette un suo parlante vuoto,
che non sa sbiadirsi ancor;

vacue camere, onde il passo
sveglia insoliti rimbombi;
tetti erbosi ove i colombi
riposavano dal vol;

e tu ancora, che dal sasso
esci, trepida lucerta,
a la loggia ormai deserta
che d’asfalto odora al sol.

Or, se qui svolga la vita
Senza me le sue vicende,
altra casa non m’attende,
non mi chiama, aprica, a sé ?

Ma una parte ahimé svanita
Dei miei giorni è qui sepolta.
Vecchie mura, qualche volta
Ricordatevi di me.


***

La situazione è molto semplice : c’è un trasloco.

Un uomo nel lasciare la casa dove a lungo ha abitato, si sofferma a guardare quelle vecchie mura a lui familiari. I ricordi invadono l’anima insieme ad un momento di tristezza che tutti, in situazioni analoghe, possono avere provato. La lirica poteva facilmente cadere nella sdolcinatura o nella rilassatezza formale, cedere alla tentazione dei rimpianti lacrimosi, dell’insistenza, della descrizione minuta. Il poeta invece mantiene il tono della lirica su un piano di misurata tenerezza riscattando la banalità dei riferimenti realistici in una letteraria dignità di vocabolario e di costrutti … effondendo la propria malinconia nella dolcezza della musica che pervade le strofe. Francesco Gaeta è un poeta napoletano nato nel 1879 , morto suicida nel 1927. La critica lo definisce un poeta di transizione dal Pascoli ai Crepuscolari. Al primo si avvicina per il forte senso del mistero, della morte e del dolore; agli altri per il tono dimesso degli argomenti e il gusto realistico delle scene di vita quotidiana.Motivo dominante della poesia del Gaeta è quello che Croce ha chiamato ‘’l’amore dell’amore’’ ; un bisogno inappagato di dolcezza che si innesta nel fondo tetro del suo pessimismo

Francesco Flora definì Gaeta ‘’un severo, diciamo anzi un tragico spirito in cerca di gioia’’.


Henry Wallis

mercoledì 19 maggio 2010

Edoardo Sanguinetti -Siamo tutti politici (e animali)



Siamo tutti politici (e animali)
premesso questo, posso dirti che
odio i politici odiosi: (e ti risparmio anche soltanto un parco abbozzo di catalogo
esemplificativo e ragionato):
(puoi sceglierti da te cognomi e nomi, e sparare nel mucchio):
(e sceglierti i perché, caso per caso)
ma, per semplificare,
ti aggiungo che, se è vero che, per me (come dico e ridico) è politica tutto,
a questo mondo, non è poi tutto, invece, la politica: (e questo mi definisce,
sempre per me, i politici odiosi, e il mio perché:
amo, così, quella grande politica
che è viva nei gesti della vita quotidiana, nelle parole quotidiane
(come ciao, pane, fica, grazie mille):
(come quelle che ti trovi graffite dentro i cessi,
spraiate sopra i muri, tra uno slogan e un altro, abbasso, viva):
(e poi, lo so che non si dice,
ma, alla fine, mi sono odiosi e uomini e animali):

martedì 18 maggio 2010

Furore (John Steinbeck)



CAMPAGNA

La strada asfaltata correva in rialzo sulla campagna brulla. Esternamente ai gradini si estendevano all'infinito due stoie di erbaccia secca aggrovigliata, ricca di barbe che si appigliavano al pelo dei cani, di aculei che appinzavano i pasturali dei cavalli, di raffii rovi roncigli che s'appiccavano alla lana delle pecore: tutta una natura morta che aspettava l'occasione propizia per nuocere in qualche modo agli esseri animati; semi armati d'ogni mezzo di offesa e di difesa immaginabile, pallottole, pugnali, rostri, artigli, paracadute; tutt'un'armeria, passiva, inerte, ma potenzialmente attiva e perniciosa.
Il sole posando sull'erbaccia la scaldava, e nel fitto del groviglio brulicavano gli insetti: le formiche proletarie, e i formiconi che tendevano trappole contro di esse, e i grilli aviatori, e gli scarabei, impellicciato o corazzati; tutti in moto, agitatissimi, solerti su esile zampe innumerevoli. E su una delle stuoie si trascinava, diretta alla strada per attraversarla, una tartaruga, fernandosi spesso e senz'alcun motivo.


''Campagna'', tratta da The Grapes of Wrath” ( “I grappoli dell’ira”), Furore nella versione italiana, è una pagina di straordinaria forza rappresentativa ma non un pezzo di bravura. Lo scrittore ferma la natura - e con essa le piccole bestie che vi brulicano - con una fedeltà che sembra quella di un obbiettivo fotografico ma soprattutto la rappresenta come una cosa viva, animata, facendocene quasi sentire il segreto respiro.
***

Furore pubblicato nel 1939, racconta la crisi sociale ed economica successiva alla crisi del '29 che produsse in America la Grande depressione .

Racconta l'odissea della famiglia Joad, una famiglia di contadini costretta dalla miseria e dalla fame a lasciare l'Oklaoma per raggiungere la lontanissima California alla ricerca angosciosa di un lavoro e di un posto dove vivere ... '' è una vera e propria esplorazione dell'inferno: l'inferno sociale e morale di un'America stremata, in cui pochissimi profittatori accumulavano sporche fortune grazie allo sfruttamento inumano e violento di masse sempre più grandi di agricoltori e mezzadri ridotti sul lastrico e in cui ogni tentativo di ribellione veniva soffocato nel sangue da un potere che la malavita andava velocemente e massicciamente sottraendo agli organi istituzionali.''...






...... ....... ......

lunedì 10 maggio 2010

Mi piacerebbe ....Boris Vien


Botero
.
Mi piacerebbe
diventare un grande poeta
e la gente
mi metterebbe
serti di lauro sulla testa
ma ecco
non ho
abbastanza passione per i libri
e penso troppo a vivere
e penso troppo alla gente
per essere sempre contento
di non scrivere che vento
.

 

'aimerais

J'aimerais
Devenir un grand poète
Et les gens me mettraient

Plein de laurier sur la tête
Mais voilà
Je n'ai pas
Assez de goût pour les livres
Et je songe trop à vivre
Et je pense trop aux gens
Pour être toujours content
De n'écrire que du vent.

Boris VIAN




domenica 9 maggio 2010

Anna Andreevna Achmatova - La Porta Socchiusa




La porta è socchiusa,



dolce respiro dei tigli...

Sul tavolo, dimenticati,

un frustino ed un guanto.

Giallo cerchio del lume...

Tendo l’orecchio ai fruscii.

Perché sei andato via?

Non comprendo...

Luminoso e lieto

domani sarà il mattino.

Questa vita è stupenda,

sii dunque saggio, cuore.

Tu sei prostrato, batti

più sordo, più a rilento...

Sai, ho letto

che le anime sono immortali


( ANNA ACHMATOVA )



Disse di lei il premio Nobel Iosif Brodskij



Anna Achmàtova è uno di quei poeti che semplicemente “avvengono”, che sbarcano nel mondo con uno stile già costruito ed una loro sensibilità unica. Arrivò attrezzata di tutto punto e non somigliò mai a nessuno.




giovedì 6 maggio 2010

Sergej A. Esenin - L’uomo nero


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La luna è morta,
Azzurreggia alla finestra l’alba.
Ah tu, notte!
Che m’hai combinato, notte?
Me ne sto in piedi qui col mio cilindro.
Non c’è nessuno con me.
Sono solo…
Con uno specchio in frantumi…


Sono gli ultimi versi di una lirica di Sergej Aleksandroviè Esenin dal titolo ‘’L’uomo nero’’.

Il poeta sintetizzata quattro elementi mitici: la vecchia Russia, il comunismo rivoluzionario, la Mosca delle bettole e infine la Russia sovietica.

Esenin tratteggia un percorso lineare che conduce ad un obiettivo storicistico che, egli conclude, distrugge il linguaggio lirico e il razionalismo.

La vecchia Russia da una parte è il mondo contadino e della miseria, è il mondo dell’uomo diseredato come in una immane catastrofe biblica che tenta il riscatto, che mira ad un proprio esodo e ad una promozione sociale, come anche ad un esodo collettivo in senso metaforico.

Dall’altra parte descrive una Russia che canta il mito della campagna, ferma ai valori reali e costanti della vita, volendo difendere una civiltà che è propria e che vuole salvaguardarsi dalle influenze esterne, dalla rivoluzione industriale e tecnologica



martedì 4 maggio 2010

IO

"Rendimi il tempo della mia adolescenza quando non ero ancora me stesso, se non come attesa. Rendimi i desideri che mi tormentavano la vita. Quelle pene che pure adesso rimpiango."
Goethe (Faust)

Cerco una Parola di speranza !

Cristo Pantocratore

ho trovato una Parola che attraversa i secoli per giungere fino a me, uomo di questo tempo fatto di giorni difficili e (per molti, specie se giovani)senza futuro. Il Cristo dice:
.
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 14,6-14.

Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

lunedì 3 maggio 2010

Arthur Rimbaud - Alba (Illuminazioni)

Pissarro

Ho abbracciato l'alba d'estate.

Nulla si muoveva ancora sul frontone dei palazzi. L'acqua era morta. Le zone d'ombra non abbandonavano la strada del bosco. Ho camminato, ridestando gli aliti vivi e tiepidi, e le gemme guardarono, e le ali si alzaro- no senza rumore.

La prima impresa fu, nel sentiero già pieno di freschi e pallidi bagliori, un fiore che mi disse il suo nome.

Risi al wasserfall biondo che si scarmigliò attraverso gli abeti: dalla cima argentea riconobbi la dea.

Allora sollevai uno a uno i suoi veli. Nel viale, agitando le braccia. Nella pianura, dove l'ho denunciata al gallo. Nella grande città lei fuggiva fra i campanili e le cupole, e correndo come un mendicante sulle banchine di marmo, io l'inseguivo.
In cima alla strada, vicino a un bosco di lauro, l'ho avvolta nei suoi veli raccolti, e ho sentito un po' il suo immenso corpo. L'alba e il fanciullo caddero in fondo al bosco.

Al risveglio era mezzogiorno.

Pissarro