mercoledì 30 ottobre 2013


Alda Merini - Superba è la notte


Tamara de Lempicka
Tamara de Lempicka

Superba è la notte

La cosa più superba è la notte
quando cadono gli ultimi spaventi
e l'anima si getta all'avventura.
Lui tace nel tuo grembo
come riassorbito dal sangue
che finalmente si colora di Dio
e tu preghi che taccia per sempre
per non sentirlo come rigoglio fisso
fin dentro le pareti.


Alda Merini



Tamara de Lempicka
Tamara de Lempicka




Friedrich Hòlderlin - Metà della vita


C. Pisarro

C. Pisarro

Con gialle pere pende
E folta di rose selvatiche
La campagna sul lago.
O cigni soavi
Ed ebbri di baci
Tuffate il capo
Nella sacra sobrietà dell'acqua.

Ahimè, dove li prenderò io
Quando è l'inverno, i fiori
E dove il solatìo
E il rezzo della terra?
Le mura si levano mute
E fredde, nel vento
Stridono le banderuole.


C. Pisarro


C. Pisarro

Mit gelben Birmen hànget
Und voll mit wilden Rosen
Das Land in den See,
Ihr holden Schwàne,
Und trunken von Kùssen
tunkt ihr das Haupt
Ins heilignùchterne Wasser

Weh mir, wo nehm ich, wenn
Es Winter ist, die Blumen, und wo
Den Sonnenschein.
Und Schatten der Erde ?
Die Mauern stehn
Sprachlos und Kalt, im Winde
Klirren die Fahnen





Il mezzo della vita è per l’uomo quello che per l’estate è l’anno; la stagione colma, in cui le facoltà fisiche e spirituali raggiungono il culmine dello sviluppo; è un punto oltre il quale non c’è più accrescimento e su cui già incombe l’ombra della vecchiaia, come sulla doviziosa calda estate grava il preannuncio del freddo desolato inverno.
E’ un componimento bellissimo, di rara purezza lirica, che fonda paesaggio, sentimento e simbolo in un tutto unico di grande organicità e con un senso altissimo di poesia.
Stupendo è l’inizio ( Si curva con pere dorate // e folto di rose selvagge // il paese nel lago), densa e scabra la seconda parte ( Muti e gelidi stanno // i muri), interessante la suggestiva densa notazione finale (al vento stridono banderole).



C. Pisarro
C. Pisarro

Aldo Palazzeschi - Lo sconosciuto

Magritte
LO SCONOSCIUTO

L'hai veduto passare stasera?
L'ho visto.
Lo vedesti ieri sera?
Lo vidi, lo vedo ogni sera.

Ti guarda?
Non guarda da lato,
soltanto egli guarda laggiù
laggiù dove il cielo incomincia
e finisce la terra laggiù
nella riga di luce
che lascia il tramonto.
E dopo il tramonto egli passa.
Solo?
Solo.
Vestito?
Di nero, è sempre vestito di nero.
Ma dove si sosta?
A quale capanna?
A quale palazzo?

Aldo Palezzeschi


Magritte

Aldo Palazzeschi


Picasso - famiglia di saltimbanchi

Picasso - famiglia di saltimbanchi


Son forse un poeta?
       No, certo.
       Non scrive che una parola, ben strana,
       la penna dell'anima mia:
  "follia".
       Son dunque un pittore?
       Neanche.
       Non ha che un colore
       la tavolozza dell'anima mia:
 "malinconia".
       Un musico, allora?
       Nemmeno.
       Non c'è che una nota
       nella tastiera dell'anima mia:
 "nostalgia".
       Son dunque... che cosa?
       Io metto una lente
       davanti al mio cuore
       per farlo vedere alla gente.
 Chi sono?
       Il saltimbanco dell'anima mia
.


Aldo Palazzeschi

Attore in gioventù, Palazzeschi aderisce al futurismo, movimento di cui ammira il rifiuto delle convenzioni, ma da cui prenderà le distanze per sposare la causa pacifista. Trascorre in seguito la vita tra Firenze, Parigi eRoma, dove muore. Tra le raccolte si ricordano la giovanile L`incendiario(1913), Poesie (1925), Cuor mio (1968), Via delle cento stelle(1972).
Palazzeschi, né futurista, né crepuscolare, né liberty, grande solitario della poesia contemporanea, raggiunge, secondo Davico Bonino, "il grado zero del linguaggio": impersonale, atono, amorfo, infantile come le filastrocche, strumento di dissacrante ironia per la polemica contro i borghesi.



Tre casettine
dai tetti aguzzi,
un verde praticello,
un esiguo ruscello: rio Bo,
un vigile cipresso.
Microscopico paese, è vero,
paese da nulla, ma però...
c'è sempre disopra una stella,
una grande, magnifica stella,
che a un dipresso...
occhieggia con la punta del cipresso
di rio Bo.
Una stella innamorata?
Chi sa
se nemmeno ce l'ha
una grande città.


 Aldo Palazzeschi




domenica 27 ottobre 2013

Un bisogno imperioso


 
Cezanne


Sento il bisogno di "tornare a casa", 
nei luoghi dell'infanzia,
 da mio padre, ai suoi insegnamenti,
 alle mie radici
 per il bisogno imperioso 
di scrollare di dosso
la polvere,
il niente assimilato vivendo
 e riscoprire "le parole" 
che fecero giovani i miei anni

venerdì 25 ottobre 2013

Vittorio Sereni, La poesia è una passione?






...Sì li ho amati anch'io questi versi...
anche troppo per i miei gusti. Ma era
il solo libro uscito dal bagaglio
d'uno di noi. Vollero che li leggessi.
Per tre per quattro pomeriggi di seguito.
...Quei versi
li sentivo lontani
molto lontani da noi: ma era quanto restava,
un modo di parlare tra noi -
sorridenti o presaghi fiduciosi o allarmati.
...Forse nessuno l'ha colto così bene
questo momento dell'anno. Ma
- e si guardava attorno tra i tetti che abbuiavano
le prime serpeggianti luci cittadine -
sono andati anche loro di là dai fiumi sereni,
e altra roba altro agosto
non tocca quegli alberi o quei tetti,
vive e muore e sé piange
ma altrove, ma molto molto lontano da qui.

Vittorio Sereni,
La poesia è una passione?
da Poesie

 
Foto: « Le immagini vanno viste quali sono,
amo le immagini il cui significato è sconosciuto
poiché il significato della mente stessa è sconosciuto. » 
(René Magritte)
Giorgio de Chirico



« Le immagini vanno viste quali sono,
amo le immagini il cui significato è sconosciuto
poiché il significato della mente stessa è sconosciuto. »
 
René Magritte

Cesare Pavese - Lavorare stanca




Silvestro Lega
Silvestro Lega



LAVORARE STANCA

Traversare una strada per scappare di casa
lo fa solo un ragazzo, ma quest'uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo
e non scappa di casa.
                                                Ci sono d'estate
pomeriggi che fino le piazze son vuote, distese
sotto il sole che sta per calare, e quest'uomo, che giunge
per un viale di inutili piante, si ferma.
Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?
Solamente girarle, le piazze e le strade
sono vuote. Bisogna fermare una donna
e parlarle e deciderla a vivere insieme.
Altrimenti, uno parla da solo. È per questo che a volte
c'è lo sbronzo notturno che attacca discorsi,
e racconta i progetti di tutta la vita.

Non è certo attendendo nella piazza deserta
che s'incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
anche andando per strada, la casa sarebbe
dove c'è quella donna e varrebbe la pena.
Nella notte la piazza ritorna deserta
e quest'uomo, che passa, non vede le case
tra le inutili luci, non leva più gli occhi:
sente solo il selciato, che han fatto altri uomini
dalle mani indurite, come sono le sue.
Non è giusto restare sulla piazza deserta.
Ci sarà certamente quella donna per strada
che, pregata, vorrebbe dar mano alla casa.

[1934]

Cesare Pavese

Raffaello Sernesi
Raffaello Sernesi

martedì 22 ottobre 2013

Elogio dei sogni di Wisława Szymborska (1923-2012)




In sogno
dipingo come Vermeer.

Parlo correntemente il greco
e non solo con i vivi.

Guido l’automobile,
che mi obbedisce.

Ho talento,
scrivo grandi poemi.

Odo voci
non peggio di autorevoli santi.

Sareste sbalorditi
dal mio virtuosismo al pianoforte.

Volo come si deve,
ossia da sola.

Cadendo da un tetto
so cadere dolcemente sul verde.

Non ho difficoltà
a respirare sott’acqua.

Non mi lamento:
sono riuscita a trovare l’Atlantide.

Mi rallegro di sapermi sempre svegliare
prima di morire.

Non appena scoppia una guerra
mi giro sul fianco preferito.

Sono, ma non devo
esserlo, una figlia del secolo.

Qualche anno fa
ho visto due soli.

E l’altro ieri un pinguino.
 


Con la massima chiarezza. 


.... da un'edizione curata da Pietro marchesani, edita da il Corriere della Sera



lunedì 21 ottobre 2013

Serata D'autore - Wisława Szymborska (1923-2012)

E.Leon Cortes


O Musa, non essere un pugile è non essere affatto.

Con noi sei stata avara di un pubblico urlante.
Dodici persone in sala ad ascoltare,
è ormai tempo di cominciare.
La metà è venuta perché piove,
gli altri sono parenti. O Musa.

Donne contente di svenire in questa sera autunnale
ce ne saranno, ma solo in un incontro di boxe.
Scene dantesche là soltanto.
E rapimenti estatici. O Musa.

Non essere un pugile, essere un poeta,
avere una condanna ai leopardi forzati,
in mancanza di muscoli mostrare al mondo
la lettura scolastica futura - nel migliore dei casi -
o Musa. O Pegaso,
angelo cavallino.

In prima fila un vecchietto sogna dolcemente
che la moglie defunta si sia alzata dalla tomba e
gli cuocia, al vecchietto, un dolce con le prugne.
Con fuoco, ma non grande, sennò il dolce si brucia,
cominciamo la lettura. O Musa.


Wisława Szymborska (1923-2012)
( trad.
Roberto M. Polce )

"Serata d'autore" ("Wieczór autorski") è contenuta nel volumetto „Sól” (Il sale) del 1962 


E.Leon Cortes
 

venerdì 18 ottobre 2013

Giovenale Nino Sassi - Libertà


LIBERTA'

Ti ho chiamato
nelle notti di solitudine
pronunciando il tuo nome.

Sono andato
nei giorni del cammino
pronunciando il tuo nome.

Ho aspettato
sulle spiagge l’onda
pronunciando il tuo nome.

Sulle pagine bianche di un quaderno
ho scritto il tuo nome
e alla gente ho parlato di te
e l’ipocrisia e l’egoismo che vivo
ho combattuto
pronunciando il tuo nome.

Ho voluto credere
perché nulla è più importante del fatto
che vivo e sono un uomo:
libertà!

(Giovenale Nino Sassi)




giovedì 17 ottobre 2013

Senza nessuna illusione di superiorità di Rosalba Di Giuseppe


Renato Guttuso

Ieri a Piana degli Albanesi, incontro con il prof. Giuseppe Dicevi che ha curato il libro: Danilo Dolci, Una vita contro miseria, spreco e mafia edito Coppola Editore.
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“Cosa spinge uno studioso del Nord a venire qua in Sicilia?”
Un uomo visibilmente commosso nel ricordare Danilo Dolci, si è chiesto e ha chiesto questo alla platea e ai relatori. Forse un lampo che lo ha illuminato da dentro, un lampo che maturando si è fatto idea di condivisione. La volontà di bene, perché si deve avanzare insieme per crescere veramente, per imparare a costruire scalini e trovare il coraggio di salirli.

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Il libro “Danilo Dolci, una vita contro miseria, spreco e mafia” “è diviso in tre parti- racconta il Giuseppe Dicevi -la prima parte descrive l’impegno sociale culturale di Danilo. La seconda raccoglie atti inediti del Convegno dal basso (a partecipare, a proporre soluzioni furono artigiani, braccianti, disoccupati, giovani e meno giovani, studenti, politici, attivisti, medici, poeti, Carlo Levi, attori, Vittorio Gassman), che ha come fulcro le condizioni di vita e di salute delle zone arretrate della Sicilia occidentale, organizzato da Danilo nell’aprile del ’60, a Palma di Montechiaro; e la terza parte io la chiamo valori aggiunti”. Si tratta di interviste ai collaboratori, della prosecuzione del lavoro di Danilo nella progettualità sociale del CESIE (Centro Studi ed Iniziative Europeo, associazione no profit di promozione dello sviluppo e della crescita). Ci sono inoltre testimonianze di studenti universitari, persone che si sono affidate al metodo osservativo analitico e maieutico del Dolci per fare luce sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche.
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La presentazione è stata aperta dal prof. Matteo Mandalà, Presidente del Consiglio Comunale, che ha ricordato l’attualità del messaggio lanciato dal Dolci: “Il ritratto di un’Italia che stenta, di un Sud che arranca. Danilo Dolci parla di sprechi, di mancato sviluppo, di salute, parla di oggi”. Alla presentazione è intervenuto Lorenzo Barbera, ex collaboratore del Dolci. Era un ragazzo quando conobbe il sociologo triestino, ‘’Non so cosa avrei fatto se non l’avessi incontrato’’ lo dice con gli occhi che brillano. Ha lavorato al suo fianco per 13 anni di seguito, dal 1956 al 1969, occupandosi di ricerche sulle condizioni di vita a Bisacquino, Campofiorito, Corleone. Da questa ricerca nacque poi un convegno Una politica per la piena occupazione, perché “non dovrebbe esistere la parola disoccupazione, dovrebbe essere cancellata, il lavoro è la spina dorsale della vita di ciascuno, tutti dovrebbero essere in grado di partecipare alla produzione della ricchezza culturale, sociale, etica, è importante diventare persone di qualità per creare qualità, per irradiare gli altri con il nostro stare bene, il vero problema è non essere un problema per gli altri, dobbiamo cercare di stare bene con noi stessi’’.
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Guttuso

Come fare? Stiamo bene soprattutto grazie agli altri e le altre, il nostro io si riflette nel tu e tende a costruire un noi ma le cose a volte non vanno come vorremmo, per incomprensioni, per paura, perché il contesto non fornisce strumenti, infrastrutture, ritrovandoci in costante emergenza, sociale, ambientale, morale. “Come fare affinché gli uomini e le donne si sentano veramente parte della terra, nell’enorme ciclo di cui ognuno è frammento, senza alcuna illusione di superiorità, senza alcuna superbia?”
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Attraverso lo studio, l’osservazione, l’impegno in prima persona, l’unirsi per soddisfare un bisogno, al di là delle idee, costruire un noi forte nonostante la diversità, fondarsi come gruppo in virtù dell’utilità immediata. “La qualità della vita possiamo sceglierla insieme: verso dove, possiamo cercare di intuirlo.’’ A queste considerazioni del Dolci fa eco il prof. Dicevi “dobbiamo rivalutare le intelligenze dal basso, di tutte le categorie, affrontare una pianificazione che, -continua il prof. Mandalà – può portare a lungo andare ad una bonifica morale”. Se ciascuno si occupa dell’altro, se ciascuno sogna l’altro migliorabile si crea una cultura diversa.
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Salvo Vitale dell’onlus Peppino Impastato Cinisi, ha ricordato l’importanza dell’informazione come mezzo di emancipazione dai poteri forti, racconta la storia del famoso <> lanciato da Radio dei poveri Cristi a proposito del terremoto, “ il tipo di informazione che passava, sia su Radio Aut sia sulla Radio di Danilo, era basata sui bisogni elementari delle persone, oltre che sulla denuncia sistematica del movimento mafioso territoriale’’.
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Il sindaco Vito Scalia, intervenuto anch’egli, ha fatto notare quanto sia interessante il testo accompagnato dalle fotografie: “L’emblema della Sicilia in una foto: una bambina nuda in mezzo alla strada”. Tornata a casa ho cercato quell’immagine e ho notato che la bambina ha ancora indosso una scarpa, questo mi ha fatto pensare a Primo Levi: ne La Tregua dice che quando c’è la guerra bisogna prima pensare alle scarpe e poi al cibo, perché chi ha le scarpe può camminare e vedere cosa c’è più in là. Il prof Dicevi ha invitato tutti quelli che vorranno a ritrovare quella scarpa mancante partecipando ad una sorta di tavola rotonda per discutere della ri-pubblicizzazione dell’acqua.

 Rosalba Di Giuseppe

Guttuso

martedì 15 ottobre 2013

MARINETTI - Manifesto del Futurismo

Il ciclista di Natalia Goncharova 1913

Le Figaro - 20 febbraio 1909
  1. Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità.
  2. Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
  3. La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
  4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
  5. Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
  6. Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l'entusiastico fervore degli elementi primordiali.
  7. Non v'è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo.
  8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente.
  9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
  10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.
  11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte, e le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
È dall'Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologi, di ciceroni e d'antiquari. Già per troppo tempo l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.
Filippo Tommaso Marinetti
 
 
 

lunedì 14 ottobre 2013

Pär Fabian Lagerkvist - Uno sconosciuto è mio amico



Giorgio de Chirico
Giorgio de Chirico



Uno sconosciuto è mio amico,
uno che io non conosco,
uno sconosciuto lontano lontano.

Per lui il mio cuore è pieno di nostalgia.
Perché Egli non è presso di me.
Perché Egli forse non esiste affatto?
Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza ?
Che colmi tutta la terra della tua assenza ?

Pär Fabian Lagerkvist



Giorgio de Chirico
Giorgio de Chirico

Lagerkvist dice nei suoi versi all'amico sconosciuto:

 «Uno sconosciuto è mio amico/ uno che io non conosco, uno sconosciuto lontano lontano./ Per lui il mio cuore è pieno di nostalgia/ perché Egli non è presso di me./ Perché Egli forse non esiste affatto?/ Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza,/ che colmi tutta la terra della tua assenza?».

E aggiunge in un'altra sua poesia: « non c'è nessuno che ode la voce/ risonante nelle tenebre; ma perché la voce esiste?». (Dalla poesia Se credi in dio e non esiste un dio, da Poesie, NCE, Forlì 1991) 
Perché la voce esiste? L'uomo di oggi, intelligente, colto, amante della vita e dell'umanità, capisce di non riuscire a superare la negazione, ma comprende anche che la negazione non è la misura di tutto.

 La propria realtà è più grande della negazione.

L'uomo di oggi capisce i valori che gli vengono dal cristianesimo, ma non riesce a credere e ciò lo rende terribilmente incompiuto.

 La tristezza dell'incompiuto è proprio il contenuto delle grandi coscienze di oggi. Pur non riuscendo a credere, l'uomo moderno in un estremo e disperato gesto di lealtà grida la sua nostalgia di un'affermazione ultima e positiva, grida quello che Cristo ben consapevolmente ha gridato prima di morire:
«A te raccomando l'anima mia».Dopo che l'ottimismo razionalista ha subito la frustrazione delle due guerre mondiali, adesso lo smarrimento profondo della più alta cultura contemporanea sembra aprirsi ad una nostalgia nuova.

 L'uomo non può a lungo resistere in questa situazione enigmatica.
«Tutta la legge dell'umana esistenza - disse Dostoevskij - sta in questo: che l'uomo possa inchinarsi all'infinitamente grande». Questo stigma, comunque letto o comunque lasciato nell'ombra, agisce nell'uomo.


Giorgio de Chirico

domenica 13 ottobre 2013

Vittorio Sereni - SABA

Foto: SABA

Berretto pipa bastone, gli spenti
oggetti di un ricordo.
Ma io li vidi animati indosso a uno
ramingo in un'Italia di macerie e polvere.
Sempre di sè parlava ma come lui nessuno
ho conosciuto che di sè parlando
e ad altri vita chiedendo nel parlare
altrettanta e tanta più ne desse
a chi stava ad ascoltarlo.
E un giorno, un giorno o due dopo il 18 aprile
lo vidi errare da una piazza all'altra
dall'uno all'altro caffè di Milano
inseguito dalla radio.
"Porca - vociferando - porca". Lo guardava
stupefatta la gente.
Lo diceva all'Italia. Di schianto, come a una donna
che ignara o no a morte ci ha ferito.


Vittorio Sereni

(di seguito la foto della statua di Umberto Saba a Trieste in via Dante)
( Statua di Umberto Saba a Trieste in via Dante)



Berretto pipa bastone, gli spenti
oggetti di un ricordo.
Ma io li vidi animati indosso a uno
ramingo in un'Italia di macerie e polvere.

Sempre di sè parlava ma come lui nessuno
ho conosciuto che di sè parlando
e ad altri vita chiedendo nel parlare
altrettanta e tanta più ne desse
a chi stava ad ascoltarlo.
E un giorno, un giorno o due dopo il 18 aprile
lo vidi errare da una piazza all'altra
dall'uno all'altro caffè di Milano
inseguito dalla radio.
"Porca - vociferando - porca". Lo guardava
stupefatta la gente.
Lo diceva all'Italia. Di schianto, come a una donna
che ignara o no a morte ci ha ferito.


Vittorio Sereni


Omelia di papa Francesco e atto di affidamento a Maria




Roma, Piazza San Pietro  -  Domenica, 13 ottobre 2013

Nel Salmo abbiamo recitato: “Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie” (Sal 97,1).
Oggi siamo di fronte ad una delle meraviglie del Signore: Maria! Una creatura umile e debole come noi, scelta per essere Madre di Dio, Madre del suo Creatore.

Proprio guardando a Maria, alla luce delle Letture che abbiamo ascoltato, vorrei riflettere con voi su tre realtà: prima,Dio ci sorprende; seconda, Dio ci chiede fedeltà; terza, Dio è la nostra forza.

1. La primaDio ci sorprende. La vicenda di Naaman, capo dell’esercito del re di Aram, è singolare: per guarire dalla lebbra si rivolge al profeta di Dio, Eliseo, che non compie riti magici, né gli chiede cose straordinarie, ma solo fidarsi di Dio e di immergersi nell’acqua del fiume; non però dei grandi fiumi di Damasco, ma del piccolo fiume Giordano.

E’ una richiesta che lascia Naaman perplesso, anche sorpreso: che Dio può essere quello che chiede qualcosa di così semplice? Vuole tornare indietro, ma poi fa il passo, si immerge nel Giordano e subito guarisce (cfr 2 Re 5,1-14). Ecco, Dio ci sorprende; è proprio nella povertà, nella debolezza, nell’umiltà che si manifesta e ci dona il suo amore che ci salva, ci guarisce, ci dà forza. Chiede solo che seguiamo la sua parola e ci fidiamo di Lui.

Questa è l’esperienza della Vergine Maria: davanti all’annuncio dell’Angelo, non nasconde la sua meraviglia.
E’ lo stupore di vedere che Dio, per farsi uomo, ha scelto proprio lei, una semplice ragazza di Nazaret, che non vive nei palazzi del potere e della ricchezza, che non ha compiuto imprese straordinarie, ma che è aperta a Dio, sa fidarsi di Lui, anche se non comprende tutto: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). E’ la sua risposta. Dio ci sorprende sempre, rompe i nostri schemi, mette in crisi i nostri progetti, e ci dice: fidati di me, non avere paura, lasciati sorprendere, esci da te stesso e seguimi!

Oggi chiediamoci tutti se abbiamo paura di quello che Dio potrebbe chiederci o di quello che ci chiede. Mi lascio sorprendere da Dio, come ha fatto Maria, o mi chiudo nelle mie sicurezze, sicurezze materiali, sicurezze intellettuali, sicurezze ideologiche, sicurezze dei miei progetti? Lascio veramente entrare Dio nella mia vita? Come gli rispondo?

2. Nel brano di san Paolo che abbiamo ascoltato, l’Apostolo si rivolge al discepolo Timoteo dicendogli: ricordati di Gesù Cristo, se con Lui perseveriamo, con Lui anche regneremo (cfr 2 Tm 2,8-13). Ecco il secondo punto: ricordarsi sempre di Cristo, la memoria di Gesù Cristo, e questo è perseverare nella fede; Dio ci sorprende con il suo amore, ma chiede fedeltà nel seguirlo. Noi possiamo diventare “non fedeli”, ma Lui non può, Lui è “il fedele” e chiede da noi la stessa fedeltà. Pensiamo a quante volte ci siamo entusiasmati per qualcosa, per qualche iniziativa, per qualche impegno, ma poi, di fronte ai primi problemi, abbiamo gettato la spugna. E questo purtroppo, avviene anche nelle scelte fondamentali, come quella del matrimonio. La difficoltà di essere costanti, di essere fedeli alle decisioni prese, agli impegni assunti. Spesso è facile dire “sì”, ma poi non si riesce a ripetere questo “sì” ogni giorno. Non si riesce ad essere fedeli.

Maria ha detto il suo “sì” a Dio, un “sì” che ha sconvolto la sua umile esistenza di Nazaret, ma non è stato l’unico, anzi è stato solo il primo di tanti “sì” pronunciati nel suo cuore nei suoi momenti gioiosi, come pure in quelli di dolore, tanti “sì” culminati in quello sotto la Croce. Oggi, qui ci sono tante mamme; pensate fino a che punto è arrivata la fedeltà di Maria a Dio: vedere il suo unico Figlio sulla Croce. La donna fedele, in piedi, distrutta dentro, ma fedele e forte.

E io mi domando: sono un cristiano “a singhiozzo”, o sono un cristiano sempre? La cultura del provvisorio, del relativo entra anche nel vivere la fede. Dio ci chiede di essergli fedeli, ogni giorno, nelle azioni quotidiane e aggiunge che, anche se a volte non gli siamo fedeli, Lui è sempre fedele e con la sua misericordia non si stanca di tenderci la mano per risollevarci, di incoraggiarci a riprendere il cammino, di ritornare a Lui e dirgli la nostra debolezza perché ci doni la sua forza. E questo è il cammino definitivo: sempre col Signore, anche nelle nostre debolezze, anche nei nostri peccati. Mai andare sulla strada del provvisorio. Questo ci uccide. La fede è fedeltà definitiva, come quella di Maria.

3. L’ultimo puntoDio è la nostra forza. Penso ai dieci lebbrosi del Vangelo guariti da Gesù: gli vanno incontro, si fermano a distanza e gridano: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!” (Lc 17,13). Sono malati, bisognosi di essere amati, di avere forza e cercano qualcuno che li guarisca. E Gesù risponde liberandoli tutti dalla loro malattia. Fa impressione, però, vedere che uno solo torna indietro per lodare Dio a gran voce e ringraziarlo. Gesù stesso lo nota: dieci hanno gridato per ottenere la guarigione e solo uno è ritornato per gridare a voce alta il suo grazie a Dio e riconoscere che Lui è la nostra forza. Saper ringraziare, saper lodare per quanto il Signore fa per noi.

Guardiamo Maria: dopo l’Annunciazione, il primo gesto che compie è di carità verso l’anziana parente Elisabetta; e le prime parole che pronuncia sono: “L’anima mia magnifica il Signore”, cioè un canto di lode e di ringraziamento a Dio non solo per quello che ha operato in lei, ma per la sua azione in tutta la storia della salvezza. Tutto è suo dono. Se noi possiamo capire che tutto è dono di Dio, quanta felicità nel nostro cuore! Tutto è suo dono. Lui è la nostra forza! Dire grazie è così facile, eppure così difficile! Quante volte ci diciamo grazie in famiglia? E’ una delle parole chiave della convivenza. “Permesso”, “scusa”, “grazie”: se in una famiglia si dicono queste tre parole, la famiglia va avanti. “Permesso”, “scusami”, “grazie”. Quante volte diciamo “grazie” in famiglia? Quante volte diciamo grazie a chi ci aiuta, ci è vicino, ci accompagna nella vita? Spesso diamo tutto per scontato! E questo avviene anche con Dio. E’ facile andare dal Signore a chiedere qualcosa, ma andare a ringraziarlo: “Mah, non mi viene”.

Continuando l’Eucaristia invochiamo l’intercessione di Maria, perché ci aiuti a lasciarci sorprendere da Dio senza resistenze, ad essergli fedeli ogni giorno, a lodarlo e ringraziarlo perché è Lui la nostra forza. Amen

 * * *
ATTO DI AFFIDAMENTO A MARIA

Beata Maria Vergine di Fatima,
con rinnovata gratitudine per la tua presenza materna
uniamo la nostra voce a quella di tutte le generazioni
che ti dicono beata.

Celebriamo in te le grandi opere di Dio,
che mai si stanca di chinarsi con misericordia sull’umanità,
afflitta dal male e ferita dal peccato,
per guarirla e per salvarla.

Accogli con benevolenza di Madre
l’atto di affidamento che oggi facciamo con fiducia,
dinanzi a questa tua immagine a noi tanto cara.

Siamo certi che ognuno di noi è prezioso ai tuoi occhi
e che nulla ti è estraneo di tutto ciò che abita nei nostri cuori.

Ci lasciamo raggiungere dal tuo dolcissimo sguardo
e riceviamo la consolante carezza del tuo sorriso.

Custodisci la nostra vita fra le tue braccia:
benedici e rafforza ogni desiderio di bene;
ravviva e alimenta la fede;
sostieni e illumina la speranza;
suscita e anima la carità;
guida tutti noi nel cammino della santità.

Insegnaci il tuo stesso amore di predilezione
per i piccoli e i poveri,
per gli esclusi e i sofferenti,
per i peccatori e gli smarriti di cuore:
raduna tutti sotto la tua protezione
e tutti consegna al tuo diletto Figlio, il Signore nostro Gesù.


Amen.

fonte: vatican.va


sabato 12 ottobre 2013

Piero Jahier - Vogliono sempre impedirmi di essere triste


Giovanni Fattori

Giovanni Fattori


Vogliono sempre impedirmi di essere triste;
ma se è la mia sola gioia essere triste:
cresce solo piangendoquesta gemma d'albero che volete asciugare.
.

Piero Jahier
 Poesie, ed. Vallecchi, 1964

Giovanni Fattorii
                                  Giovanni Fattori



 
Fattóri, Giovanni. - Pittore italiano (Livorno 1825 - Firenze 1908); uno dei maggiori pittori italiani del sec. 19º. Condusse una vita modesta, tenendosi in disparte anche dalle polemiche dei macchiaioli di cui è considerato il massimo esponente. Dopo aver studiato a Livorno con G. Baldini e a Firenze con G. Bezzuoli, si dedicò soprattutto a dipingere battaglie e scene di vita militare. Verso i nuovi modi pittorici fu orientato da Nino Costa, giunto a Firenze nel 1859. Da allora andò sempre più discostandosi dalle forme accademiche per cercare negli umili aspetti della vita quotidiana - personaggi, animali, scene di vita rustica, ecc. - una più genuina fonte d'ispirazione. Fu anche ottimo ritrattista (ritratti della Cugina Argia, della Prima moglie, della Figliastra, Autoritratto, ecc.), e acquafortista di grande originalità. Nel 1869 fu nominato professore nell'accademia di Firenze. Il F. nel gruppo dei macchiaioli non ebbe mai una posizione di punta; tuttavia nella purezza espressiva della sua pittura emerge, meglio che in altri, la forza rinnovatrice di quella corrente. Le idee dei puristi orientarono il F. verso lo studio dei quattrocentisti, ma fu suo merito l'averlo condotto a fondo, mirando piuttosto alle qualità profonde dell'espressione che ai motivi esteriori. La parte migliore della sua opera è costituita da rapidi, piccoli abbozzi, in cui la rappresentazione è affidata all'accordo di poche, essenziali macchie di colore.

 Enciclopedie on line Treccani


Giovanni Fattori
Giovanni Fattori

venerdì 11 ottobre 2013

Giovenale Nino Sassi - Piove !


Fabian Perez
Fabian Perez



                              Tace il silenzio sui tetti
                  piove !


                                   gsn


Fabian Perez
Fabian Perez



Fabian Perez, nasce nel 1967 e vive i suoi primi 22 anni a Buenos Aires, in Argentina.
Da adolescente studia Karate. C’è chi dice che questa arte marziale lo aiuterà a sviluppare in lui una grande disciplina, oltre che una apertura verso le altre forme d’arte.
A 22 anni si trasferisce in italia, per 7 anni. Qui la sua carriera, sia come pittore che come scrittore, subisce una forte impennata: è in Italia che riceve l’ispirazione per il suo libro “Reflections of a Dream”.Dopo i 7 anni trascorsi in Italia, Fabian Perez decide di trasferirsi in Giappone. Vive lì per un anno, giusto il tempo di dipingere “The Japanese Flag” e “A Meditating Man”, entrambe oggi esposte al Palazzo del Governo. Poi decide di recarsi a Los Angeles, dove vive dal 2007, impiegando la propria vita nel tentativo di inspirare gli altri con i suoi scritti e le sue opere pittoriche.
Lo stile di Fabian è unico. Lui non desidera che la sua arte venga inserita in una qualche categoria, perché sostiene che ciò limiterebbe tanto l’artista quanto le sue opere. In pratica, fa quel che sente, senza un necessario senso di appartenenza ad un genere o una corrente artistica specifica.
Ama dipingere con colori acrilici, perché si asciugano velocemente e gli consentono di seguire i suoi impulsi, senza che l’attesa di un colore ancora bagnato lo limiti nel generare un nuovo tratto col pennello.
Nel suo libro c’è un breve passo che recita pressappoco così: “Sono tredici anni che le mie ruote viaggiano su una strada sabbiosa. Lungo il mio cammino mi sono lasciato alle spalle molte cose, e tante altre ormai le ho perse. Ma le ruote continuano a girare e io vedo la strada dritta davanti a me, e so che quella strada mi condurrà a numerose nuove esperienze”.

Fonte : Pensieri parole


Fabian Perez
Fabian Perez