sabato 26 marzo 2011

Una poesia di Neruda suggerita da Rosdaii

Umberto Boccioni


Non incolpare nessuno

Non incolpare nessuno,
non lamentarti mai di nessuno, di niente,
perché in fondo
Tu hai fatto quello che volevi nella vita.

Accetta la difficoltà di costruire te stesso
ed il valore di cominciare a correggerti.
Il trionfo del vero uomo
proviene delle ceneri del suo errore.

Non lamentarti mai della tua solitudine o della tua sorte,
affrontala con valore e accettala.
In un modo o in un altro
è il risultato delle tue azioni e la prova
che Tu sempre devi vincere.

Non amareggiarti del tuo fallimento
né attribuirlo agli altri.

Accettati adesso
o continuerai a giustificarti come un bimbo.
Ricordati che qualsiasi momento è buono per cominciare
e che nessuno è così terribile per cedere.

Non dimenticare
che la causa del tuo presente è il tuo passato,
come la causa del tuo futuro sarà il tuo presente.

Apprendi dagli audaci,
dai forti
da chi non accetta compromessi,
da chi vivrà malgrado tutto
pensa meno ai tuoi problemi
e più al tuo lavoro.

I tuoi problemi, senza alimentarli, moriranno.
Impara a nascere dal dolore
e ad essere più grande, che è
il più grande degli ostacoli.

Guarda te stesso allo specchio
e sarai libero e forte
e finirai di essere una marionetta delle circostanze,
perché tu stesso sei il tuo destino.

Alzati e guarda il sole nelle mattine
e respira la luce dell'alba.
Tu sei la parte della forza della tua vita.
Adesso svegliati, combatti, cammina,
deciditi e trionferai nella vita;
Non pensare mai al destino,
perché il destino
è il pretesto dei falliti.
-- Pablo Neruda
(Antonello da Messina )


L’umanità ha fatto molti errori. Ma per fortuna , non si è mai sbagliata su un punto… Prima o poi si è sempre ricordata dei grandi geni della letteratura, dell’arte e della filosofia. Quelli che hanno espresso la ricchezza spirituale dell’uomo
(pensieri)

Intorno alla poesia


La parola poetica, per molti, rappresenta una modalità conoscitiva privilegiata, complementare e necessaria alla ricerca di se o alla comprensione del mondo in cui viviamo. Segna i passi, raccoglie le distanze e le racconta.In alcuni, la ricerca poetica porta i segni di una continua spoliazione sino alla nudità estrema mentre per altri l’effervescenza creativa delle metafore scopre e rinnova simboli già acquisiti all’uso da immettere, ex novo, nel circuito letterario.Altri sono alla ricerca continua di un dialogo ….. ininterrotto e intenso ….. con gli autori antichi e moderni, poeti o artisti realizzando una sorta di polifonia entro la quale il lavoro (la ricerca) artistico a latere agisce come impulso poetico.Un tentativo di arte totale. Forse ….




C’è poi chi, io probabilmente tra questi , scrive e basta, felice di farlo e non pretende altro cioè non cerca il consenso della critica e non pensa di arrivare a livelli più elevati. (Non entra nella ‘’commercializzazione delle parole ‘’ …non mercanteggia l’essere, se lo è, poeta)Scrive, ed io lo sono quando mi riesce, felice di farlo, per vivere e comunicare. E vivere è amare.C’è chi, io tra questi, ‘’ legge il grande libro del creato facendo memoria della terra dell’origine cui il cuore aspira tornare ‘’. Dio è buono !C’è poi chi ….Non comprende l’atto poetico perché è troppo ‘’giovane’’ e quindi incapace di scendere nel vissuto e nella ricerca dell’altro o troppo ‘’vecchio’’ (vecchio dentro) per comprendere i percorsi che l’arte e la ricerca artistica inevitabilmente comportano.



La vita ?


la vita … è fatta di porte che si aprono, si chiudono, di paesaggi che scorrono a volte montuosi altre volte pianeggianti. Fare poesia è raccontare l’orizzonte dei passi che si succedono … che investono ogni aspetto dell’esistenza: la gioia e il dolore, la commozione, la preghiera, i momenti di angoscia, di solitudine esistenziale, il deserto interiore, la stanchezza del vivere: La speranza !

Vivere la poesia significa … che continuiamo ad esistere; che continuiamo a soffrire e amare. Soprattutto amare . Se siamo nel deserto (della poesia e quindi della vita) lottiamo per uscirne.

Buona vita, Giovenale Nino Sassi.


domenica 20 marzo 2011

Commento dell'Art. 11 della Costituzione a cura de ‘’ La Costituzione Esplicata - Edizione Simone’’

Albert Anker

Art. 11L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

*****


Commento a cura de ‘’ La Costituzione Esplicata - La Carta fondamentale della Repubblica Spiegata Articolo per Articolo
Edizione Simone’’ … utilizzato da alcune Facoltà di Scienze Politiche ...
( finito di stampare nel mese di ottobre del 1997 - Lire. 18.000)



Questa norma sancisce il principio pacifista che propugna il ripudio della guerra come strumento di offesa agli altri popoli e come modo di risolvere le controversie internazionali.
Ciò perché alla fine del 1945, l’Italia usciva stremata da una guerra in cui era stata trascinata dall’esasperato nazionalismo fascista e dalla sciagurata alleanza col regime nazista.
Aspirazione comune di tutte le forze politiche rappresentata in Assemblea Costituente era, quindi, l’istanza pacifista dettata dalla volontà di non ripetere i tragici errori del passato.
Per questo motivo la Costituzione stabilisce che l’Italia non può ricorrere alla guerra per risolvere eventuali contrasti che insorgano con altri Stati sul piano politico o su quello giuridico.
A maggior ragione tale divieto sussiste qualora lo Stato italiano voglia ledere l’indipendenza o l’integrità territoriale di uno Stato estero o imporre con la forza un certo ordinamento ad un’altra popolazione.
Altri principi sanciti dall’articolo riguardano la limitazione della sovranità a favore della pace e giustizia e l’opzione per l’adesione alle organizzazioni sovrannazionali che perseguono istituzionalmente tale obiettivo.

venerdì 18 marzo 2011



La vita ? … è fatta di porte che si aprono,

che si chiudono;

di paesaggi che scorrono a volte montuosi

altre volte pianeggianti, di volti ....

E' corsa via, la vita...

ieri passeggiavo in riva alla Limat ...

oggi sono quì,

testimone del tempo che consuma il tempo...

ne sconfitto ne vincitore reclamo i sogni

Il 18 del mese


Sono nato un giorno di marzo
Il 18 del mese
Un padre partigiano
L’anno è lontano
[ ... ]

giovedì 17 marzo 2011

Rainer Maria Rilke - Elegie Duinesi

 .
 
                           Riprendo dal blog di Clelia Mazzini (http://akatalepsia.blogspot.com/) una delle Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke
 .
Nell'aprile del 1910 fu invitato dalla principessa Maria della Torre Tasso nel suo castello di Duino. In questo splendido luogo Rilke compose le prime elegie, poi terminate in un piccolo castello a Muzot, presso Sierre, nel Canton Vallese in Svizzera, pubblicate nel 1923 con il titolo Duineser Elegien (Elegie duinesi). 
 .
Si racconta che fu la vista della suggestiva scogliera di Duino ad offrirgli il primo spunto. 
In una rigida mattina di gennaio 1912 il poeta camminava a stento lungo la scogliera mentre la bora soffiava impetuosa sconvolgendo le acque del mare.
 All'improvviso si dice avvertisse una misteriosa voce interiore che gli dettò i due versi iniziali di quella che sarebbe diventata la prima elegia: 
 .
Ma chi - se gridassi - mi udrebbe 
dalle schiere degli Angeli?
E se a un tratto un Angelo mi stringesse al suo cuore 
la sua essenza più forte 
mi farebbe morire,
perchè il bello 
non è che il tremendo al suo inizio
noi lo possiamo reggere ancora,
lo ammiriamo anche tanto,
perchè esso
calmo
sdegna di distruggerci. 
Degli Angeli ciascuno è tremendo
 .
***
.
 Wer, wenn ich schrie, hörte mich denn aus der Engel Ordnungen? Und gesetzt selbst , es nähme einer mich plötzlich ans Herz: ich verginge von seinem stärkeren Dasein. Denn das Schöne ist nichts als des Schrecklichen Anfang , den wir noch gerade ertragen, und wir bewundern es, weil es gelassen verschmäht, uns zu zerstören. Ein jeder Engel ist schrecklich… R.M.Rilke, 1. Elegie

Rainer Maria Rilke - Elegie Duinesi



Riprendo dal blog di Clelia Mazzini (http://akatalepsia.blogspot.com/) una delle Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke


Nell'aprile del 1910 fu invitato dalla principessa Maria della Torre Tasso nel suo castello di Duino. In questo splendido luogo Rilke compose le prime elegie, poi terminate in un piccolo castello a Muzot, presso Sierre, nel Canton Vallese in Svizzera, pubblicate nel 1923 con il titolo Duineser Elegien (Elegie duinesi).
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Si racconta che fu la vista della suggestiva scogliera di Duino ad offrirgli il primo spunto. In una rigida mattina di gennaio 1912 il poeta camminava a stento lungo la scogliera mentre la bora soffiava impetuosa sconvolgendo le acque del mare. All'improvviso si dice avvertisse una misteriosa voce interiore che gli dettò i due versi iniziali di quella che sarebbe diventata la prima elegia:



Ma chi se gridassi, mi udrebbe, dalle schiere
degli Angeli? E se anche un Angelo a un tratto
mi stringesse al suo cuore: la sua essenza più forte
mi farebbe morire. Perché il bello non è
che il tremendo al suo inizio, noi lo possiamo reggere ancora,
lo ammiriamo anche tanto, perch'esso è calmo, sdegna
distruggerci. Degli Angeli ciascuno è tremendo.
E così mi rattengo e il richiamo di oscuri singhiozzi
lo soffoco in gola. Ah, di chi mai
ci possiamo valere? Degli Angeli no, degli uomini no,
e i sagaci animali lo notano che , di casa nel mondo interpretato,
non diamo affidamento. Ci resta, forse,
un albero, là sul pendio,
da rivedere un giorno;
ci resta la strada di ieri [...]

(traduzione E. e I. de Portu)

Wer, wenn ich schrie, hörte mich denn aus der Engel
Ordnungen? Und gesetzt selbst , es nähme
einer mich plötzlich ans Herz: ich verginge von seinem
stärkeren Dasein. Denn das Schöne ist nichts
als des Schrecklichen Anfang , den wir noch gerade ertragen,
und wir bewundern es, weil es gelassen verschmäht,
uns zu zerstören. Ein jeder Engel ist schrecklich…

R.M.Rilke, 1. Elegie

martedì 15 marzo 2011

James Joyce LE IMPALCATURE DELLE ROVINE

Bosch


SAGGIO CRITICO DI J.T.PARREIRA.

LE IMPALCATURE DELLE ROVINE


Lo scrittore irlandese James Joyce, il cui alter ego era Stephen Dedalus, protagonista dell’omonimo romanzo, creò il moderno Ulisse, nell’altro suo romanzo dai complicati congegni narrativi. Questo romanzo è un ‘’magnifico accumulo di rovine’’, come scrisse qualche tempo dopo uno storico della letteratura, Walter Allen. Un cumulo di rovine che tuttavia non mancava di impalcature che lo sostenessero, il termine usato da Ezra Pound per definire la struttura del celebre romanzo di Joyce.
Leggendo, a lungo e con pazienza, il libro (quelli che riescono a farlo!), si comprende il senso di quella parola usata da Pound.
Non c’è tanto la descrizione di una giornata qualsiasi della vita di Leopold Bloom, con tutti i suoi pezzi organizzati in una struttura. Assistiamo alla giornata di un nuovo Ulisse, la figura che dà il titolo al romanzo e ne costituisce il nume tutelare.
Le figure archetipiche dell’antenato Omero riappaiono nel romanzo moderno di Joyce. Della mitica Odissea resta solo il protagonista. Come dire: l’archetipo letterario si trasforma da universale in particolare. Si trasforma da ciclo mitico in storia particolare.
Dal mito perduto nella sua lontananza all’esperienza reale di una giornata come il 16 giugno 1904.
L’archetipo, con la sua forma consolidata, viene stravolto attraverso un uso particolare della lingua, la stessa che in Omero garantisce la compattezza del racconto mitico e la sua autorità.
Da un modello cosmogonico fisso alle storie particolari di vari personaggi sempre in movimento e in trasformazione, cittadini comuni di una grande città. Il senso è una critica alla mentalità e al costume del primo Novecento. Il passaggio dal modello alla sua riscrittura creativa avviene attraverso il trapianto di elementi della vita moderna.
L’opera dell’aedo cieco, Omero, padre dell’Odissea, trova nell’Ulisse di Joyce la sua ricreazione concentrata, un decennio in una giornata di 18 ore.
L’incipit:
Cantami, o Musa, dell’uomo d’ingegno,che dopo aver distrutto la sacra città di Troia, molto errò per terre e mari…
Il viaggio di Bloom, l’Ulisse di Joyce, ha un inizio meno difficoltoso:
Leopold Bloom mangiava con gusto gli organi interni di quadrupedi e uccelli(…) ma più di tutto gli piacevano le reni di montone alla griglia…(…)-Darò un colpo nell’angolo. Di ritorno in un minuto. E dopo aver udito la propria voce aggiunse:-vuoi qualcos’altro adesso?
Anche chi non è un lettore assiduo di Ulysses, sa che Leopold Bloom esce di casa il giorno 16 giugno per andare alla macelleria per comprare del rognone. Il celebre schema di Gilbert (che mette in parallelo le vicende dell’Odissea e dell’Ulysses) dice che ‘’Leopold Bloom fece colazione prima di salutare la moglie Molly, che era ancora a letto’’.
Nella comparazione proposta dallo ‘’Schema Gilbert’’, nella seconda parte del romanzo, come nella seconda dell’Odissea, Leopold Bloom incontra la ninfa Calypso. Il rapporto tra i due personaggi nel romanzo è opposto a quello delineato nel poema. Nel poema classico di Omero, Calypso, figlia di Atlante tiene in uno stato di languorosa prigionia Odisseo per molti anni. Leopold Bloom, il personaggio principale del romanzo di Joyce, ha quel rapporto di sottomissione con la moglie Molly, arrivando a servirle, come uno schiavo, la colazione a letto, prima di uscire.
Iniziando la sua giornata, che verrà chiamata più tardi Bloomsday, saluta la moglie che è ancora sdraiata nel letto alle otto del mattino.
Alla fine di quella stessa giornata, nell’Ulysses, Leopold rientra casa rigenerato: gli avvenimenti del giorno lo hanno fatto come rinascere. Sebbene la sua ‘’Itaca’’, la casa al numero 7 di Eccles Street dove ritorna, rappresenti ancora la routine della sua vita ordinaria, e la sua ‘’Penelope’’ non sia una moglie del tutto fedele che a volte cede alle proposte di altri uomini.
Al contrario, nell’Odissea omerica, la sposa di Odisseo oppone resistenza i suoi pretendenti che, durante i dieci anni di assenza del marito, tentano di prenderne il posto.
L’idea della rinascita di Bloom ci sembra in linea con il pensiero dell’autore.
In uno dei tre soli libri di poesia di Joyce, Pomes Penyeach, si ripetono i temi dell’Ulysses.
Soprattutto nella poesia ‘’Il Sant’Uffizio’’: iconoclasta, anticlericale, schierata contro il cattolicesimo romano, come tutta l’opera di Joyce: una difesa e al tempo stesso una satira dell’Irlanda, contro le istituzioni, contro W.B. Yeats e altri intellettuali della sua generazione.
Il testo meta-letterario e satirico è costruito con molti riferimenti intertestuali, usati come argomenti di critica e di invettiva ad hominem, che vengono paragonati, per la loro irriverenza, a certi passaggi delle satire di Quevedo, o ad altri scrittori satirici medievali, per esempio nella censura delle indulgenze che salvano l’anima di chi le riceve da una futura permanenza in Purgatorio. Citiamo alcuni versi come prova:
‘’Per arrivare in cielo, devi passare dall’inferno,/ essere pietoso e terribile,/un uomo ha bisogno realmente del sollievo/che danno le indulgenze plenarie’’.

(TRADUZIONE DI ALESSANDRA SCIACCA BANTI)

http://alexandra3.splinder.com/post/15640494/le-impalcature-delle-rovine

domenica 13 marzo 2011

Il partigiano Luciano


Albert Anker
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Premessa
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Luciano per i compagni, Sesto per l'anagrafe, è mio padre morto troppo presto e troppo giovane. Di lui ricordo il volto, il fucile a due canne, i racconti della montagna; il racconto delle notti passate all'addiaccio, di quando, insieme ad un partigiano slavo prese a fucilate una colonna di tedeschi in procinto di catturare un gruppo di combattenti rimasto intrappolato dove il fiume Nera si apre e allontana il bosco.Un fatto realmente accaduto.

Albert Anker

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“Vado” disse al padre Stefano “ vado con i partigiani”
. Le mani smisero di accarezzare il legno e lentamente ripose la sgorbia ; un silenzio assordante avvolse la bottega , i trucioli sparsi sul pavimento, i mobili in attesa, l’odore delle colle, le tavole accatastate di legno asciutto, stagionato.
Muti i macchinari respirarono il silenzio .
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Lentamente alzò gli occhi di un azzurro bagnato, impastato dagli anni e guardò il figlio, l’ultimo maschio rimasto, gli altri dispersi e non sapeva dove; quel figlio avuto in vecchiaia , il più amato…
.
Non c’era altro da fare e lo sapeva ma come fai a staccarti da un figlio, il solo in grado di proseguire l’impresa che faticosamente avevi realizzato..
Una vita spesa per costruire, riparare mobili, sedie, tavoli.
I primi apprendisti da guidare, il lavoro che cresce, la prima esposizione, i clienti che aumentano ma sei solo . Resisti perché hai un figlio, intelligente, istruito, capace.
Puoi fidarti e allora attendi.
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Due sono andati dispersi, scomparsi lungo gli anni della guerra; quella guerra che aveva subito odiato .
Socialista della prima ora era rimasto fedele ai suoi ideali. Non aveva aderito al fascismo ed era rimasto quieto .. in disparte.
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Le mani rimaste immobili ripresero ad accarezzare il legno.
Immaginò la curva e la profondità dell’intaglio. Riprese lo sgorbio.
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“ non c’è altro da fare “ disse e aggiunse “ non sai nulla della guerra: stai attento! “
tracciò la curva e un truciolo cadde sul pavimento...

Renoir
.
L’adolescenza e la gioventù raccolta in quella decisione.
Lui, con i nazi – fascisti non sarebbe andato.
Ne parlava con gli amici, lo aveva detto ad Emma, la ragazza che amava e al prete.
“Don Franco, con quelli non vado” e il povero prete, disperato, aveva annuito.
Era anche colpa sua se i ragazzi come Luciano detestavano i fascisti, la guerra, quella guerra, le leggi razziali, le riunioni oceaniche e l’ipocrisia delle parole, le tante che ascoltavano come : “Vincere!” Vincere cosa?Sentivano la mancanza della libertà; la possibilità di dissentire, di proporre, di poter esprimere un loro pensiero.

Rifiutavano l’appartenenza alla folla solitaria plaudente e remissiva.
A quell’idea del destino inevitabile a cui la nazione tutta era votata.
E il destino, quel destino fondato sulle baionette stava rapidamente maturando in catastrofe.
No, lui non intendeva rispondere alla chiamata alle armi.
Meglio la montagna, i boschi ….la lotta armata contro i nazi-fascisti.

E un brivido l’assaliva pensando alla battaglia, ai morti, alla vita presa o lasciata.
Abbracciò Emma, la strinse forte, forte.
Riempì gli occhi dei suoi, accarezzo i lunghi capelli bruni, Emma pianse i suoi 16 anni e quelli che avrebbe voluto passare con lui...
Renoir

Partì all’alba di un giorno di settembre. I compagni, alcuni, erano già andati.
Penso di raggiungere Gavelli, sede del comando partigiano, con un giorno di marcia.
Raggiunse la cresta del monte che sovrasta la città …… indietro la valle sfumata di bianche trasparenze ……. l’autunno cominciava a giocare con i colori e il bosco di licino sempre verde.
Immerse gli occhi nella valle e la città aggrappata alla collina, all’estate appena trascorsa, ………. alla treccia bruna che la sua Emma aveva sciolto per lui.
Un profumo dolcissimo invase la mente.
Raccolse i pensieri, le emozioni e riprese a salire verso Patrico lungo sentieri che conosceva lontano dai villini e dai casolari.
Andava verso i monti più alti dell’Appennino , lo zaino leggero sulle spalle , la roncola e un bastone per sostenere i passi, le salite e le discese.
Non aveva armi tranne la roncola e un coltello a serramanico.
Le armi erano sul posto.
Le avevano trafugate con vari colpi di mano dalle caserme di Spoleto, complici alcuni militari in servizio ed erano state portate, di notte, a dorso di mulo fino a Gavelli.
Stavolta non andava a funghi o a caccia di selvaggina ma verso un futuro ignoto …di lotta….. un futuro di libertà … diceva a se stesso …. da costruire insieme alla sua Emma.
C’era da attraversare il Nera dove un palo gettato tra le sponde e una fune tesa tra due alberi consentiva di raggiungere l’altra riva e non essere visti.
Conosceva quel punto e i boschi circostanti.



“Non sai nulla della guerra: stai attento! “
Il monito del padre risuonava nella mente e accompagnava i passi, i pensieri.
Che poteva sapere, lui, a vent’anni della guerra.
Era rimasto affascinato dai racconti del genero, un piemontese figlio di militari che la guerra, la grande guerra l’aveva fatta.
Lui, giovane tenente degli alpini era dove i monti sono più alti e il nemico davanti, sull’altra cima uniti dal freddo di quell’ultimo inverno.
C’era stata la disfatta e nessuno sapeva cosa bisognava fare, se andare in soccorso o restare dove faticosamente erano giunti.
Rimase a difesa dei passi del Pasubio, delle piccole Dolomiti.
Attacchi e contrattacchi e restare vivo.
Un giorno scese e risali la montagna e la successiva e quella più avanti perché a valle, finalmente, avevano sfondato le linee nemiche.
Andò avanti, attacchi e contrattacchi poi solo avanti al comando della compagnia, di quello che restava perché il capitano era morto, ucciso all’alba di un mattino e non seppe mai della vittoria.



Era rimasto affascinato da quei racconti ma ora che c’era , che toccava a lui, figlio di un falegname, saliva e scendeva con rabbia i suoi monti .. non c’era altro da fare … .

In città , nelle riunioni clandestine, ne avevano discusso insieme agli ufficiali.
La loro, quella partigiana non era una guerra di posizione … dovevano attaccare e scomparire; occupare il territorio, rendere insicure le strade, impraticabili i boschi, le comunicazioni.
Non era una guerra di posizione ma un mordi e fuggi….. piccoli gruppi sparsi nei punti nevralgici.
Azioni di sabotaggio di impianti, di ponti, e vie di fuga tracciate nella mente .
Niente attacchi e contrattacchi lungo i pendii tortuosi dell’Appennino ma nascondigli protetti dal fitto della boscaglia e caverne nei dirupi montani per fare sosta e ripartire.
La loro era una guerra d’attesa.
Gli alleati erano sbarcati a Salerno …. Bisognava occupare il territorio, renderlo insicuro e attendere...






Prese il sentiero che scende verso Scheggino e la Valle del Nera.
Attraversò il Nera e il tratto che in leggera salita precede la mulattiera; un sentiero che s’inerpica tortuoso e veloce tra i boschi e i pianori che precedono il passo del Terminaccio.
Misurò i passi, le distanze, il sole del mezzogiorno.
L’umidità della terra accompagnava la salita verso il turbolento Vallone di Gavelli che da un lato guarda il Monte dell’Ostite e dall’altro il massiccio del Coscerno con le sue fiancate rocciose, impervie, corrugate da canaloni pietrosi.
“Questa” pensò “è la mia nuova casa.”
Autunni precoci e brevi, inverni lunghi e rigidi, nevicate abbondanti, forzosi isolamenti.In lontananza un rumore di campanacci raccontava la presenza dei pascoli d’altura…. intravide le mucche chianine che si abbeveravano in un laghetto naturale ritagliato dal cielo tratteggiato di nubi.
A settentrione pioveva.
Accelerò il passo.
Pensò ad Emma, a come sarebbe stato bello averla con lui, alla sua treccia bruna.
In lontananza, bellissimo ma fragile scendeva l’arcobaleno.
Il dio della Montagna li avrebbe aiutati.Finalmente era in vista del Castello fortificato aggrappato ad uno sperone del Coscerno a strapiombo sul Fossato; il Castello di Gavelli e le case che messe subito sotto degradano verso il basso. ..


Il capitano chiamò Luciano e Ivan, uno slavo fuggito dal campo di concentramento di Colfiorito.
“Ho un compito per voi “ disse “ dovete sorvegliare la mulattiera che sale da Scheggino…”
Prese la mappa e indicò la zona
“ State nascosti ed evitate i tedeschi, è importante “ e aggiunse“ stiamo organizzando la fuga degli inglesi e degli slavi prigionieri a Spoleto…. dovete controllare la strada carrabile e la mulattiera e proteggere il loro arrivo “
Scesero verso Sant’Anatolia di Narco in cerca del luogo adatto che trovarono … da un lato la strada e poco distante la mulattiera; la posizione ideale per controllare entrambe le vie di comunicazione.
Scelsero un luogo sicuro protetto dalla macchia e dal bosco.
Provarono la via di fuga, il percorso che avrebbero seguito in caso di attacco.
“Costruiamo un capanno” suggerì Ivan.
“Come sei finito qui “ chiese Luciano
“ La guerra ! ero iscritto alla facoltà di filosofia di Belgrado quando i tedeschi ci hanno invaso. … ho raggiunto la resistenza jugoslava ed eccomi qui ……”
“ ……senti Luciano, ci conviene mettere un telo mimetico sul tetto … rischia di piovere “
“ Va bene … mettiamo un telo coperto con frasche verdi”
“….Ti dicevo, durante un’azione sono stato catturato dagli italiani..”
“ Che ti hanno internato in Italia piuttosto che in Germania. Ti è andata bene “
“ Sono andato con Tito per combattere i nazisti …. e da allora non ho notizie della mia famiglia, di mio padre e di mia madre, delle mie sorelle…. non sanno che sono vivo”
“Maledizione ! “
Tremò la sigheretta, cadde, abbassò gli occhi per riprenderla
“ Maledetti nazisti ! “
Rabbioso con la roncola tagliò un ramo e poi un altro…“ Maledetti tedeschi…! “
Poggiò la schiena ad un albero, scivolò lungo il tronco, si accovacciò… guardò il capanno e quella orribile guerra, i giorni che si succedevano, quella guerra che li stava maciullando nel più orribile dei modi.
Non c’era altro da fare che quella guerra per non farsi spazzare via…. e tornare a casa.
Il buio li sorprese.
Veloce attraversò i cespugli, nascose i rami più alti, scese lungo i tronchi, li avvolse.
Scomparve la strada e il pianoro che la precedeva.Entrarono nel capanno.
Luciano appese una lanterna ad acetilene, l’accese.
Preparò il fornello ad alcol.Sistemarono le armi e gli zaini.
Avevano l’acqua, pane, qualche patata e salcicce.
Lo slavo buttò nell’acqua una patata e le erbe che aveva raccolto scendendo da Gavelli...
.
*******
.
Il freddo umido, bagnato, sempre più gelido, attraversò la coperta di lana, i vestiti e non riusci a dormire.. …..… i pensieri raccolsero il respiro del bosco, le ore, il silenzio .
Era la sua prima notte da combattente partigiano ed altre ne sarebbero venute, diverse, peggiori di quella. Pensò all’inverno e alla neve che sempre cadeva abbondante.
Come avrebbero fatto a resistere lui e il fratello che aveva trovato, quello slavo così diverso da lui, così lontano dalla sua terra… che combatteva la stessa guerra per restare vivo, libero, in un paese libero …. sentimenti mai vissuti agitavano la mente per quello stare lì , in quel silenzio irreale.
Era lì e lo aveva voluto, cercato… aveva cercato la, guerra …. per fuggire dalla gioventù negata, per riprendersi la vita che voleva avere.
Albeggiava .
Non ne poteva più di quel freddo e decise di accendere un fuoco per scaldare le mani .
Un piccolo fuoco e bere una gavetta d’orzo caldo, bollente.
“ Non sei riuscito a dormire …..che pensi ? “ chiese Ivan
“ Non lo so. ….di tutto. È un po’ come sentirsi morire …… questa attesa, la bellezza dei monti, il pensiero della famiglia, di Emma …”
“ Paura ? …….. .. che vuoi fare.. dargliela vinta ? sono assassini ! “
“ Non è paura ma qualcosa di diverso che ti arriva addosso, d’improvviso …cosa sia non lo so.
Forse è ansia, qualcosa che non avevo mai provato… è un po’ come sentirsi morire……..Per quello che potrebbe succedere… la battaglia.. difendersi e prendere la vita di un altro e devi farlo, riuscire a farlo, per non perdere la tua o quella dei tuoi compagni…….Devi difenderti e uccidere …. per non perdere i tuoi, quelli che ami.. la Emma che aspetta, mio padre che conta sul mio aiuto, mia madre che attende i figli dispersi e non riesce a darsi pace….. . i compagni saliti come noi su questi monti…”
“ Ho provato le stesse tue sensazioni “ disse Ivan.
“ I pensieri arrivano da soli… e non puoi fermarli… impossibile farlo … potresti morire .. ci pensi e il cuore ti batte dentro …lo senti… senti di morire per i pensieri che arrivano da soli e non danno pace… e spaventano. “
“ La guerra sta per finire. Gli Americani sono a Salerno, non sono lontani…. Pensa a questo … pensa alla tua Emma ….. al futuro che ti aspetta … “
“ Il tempo ! … . Ieri uscivo con i compagni ed ora sono qui, armato, pronto a difendere questi monti e il futuro che vorrei avere. “
“ Zitto ! “
Tacque il silenzio.
La brezza del mattino adagiò, leggera, le prime foglie d’autunno, tacque l’autunno.
“ Spegni il fuoco ….. presto ! “
Un rumore di automezzi che frenano, voci che tagliano l’aria come frecce, la brezza che riprende, più forte …e imperiosa agita il bosco.
“ Ci hanno visto …! “.
.
.
Le campane della chiesa battevano il mattutino quando iniziò la battaglia.
Il crepitio di una mitragliatrice investì il bosco.
Erano stati individuati. Risposero con una scarica di fucileria tenendo d’occhio il lato di sinistra , dove gli alberi sono più fitti ; la via scelta per scomparire.
Avevano provato l’azione, la tattica da seguire in caso di scontro con i tedeschi.
Avevano provato la via di fuga.
Cominciarono a muoversi, velocemente, tra un albero e l’altro, lungo una linea a lungo immaginata, provata, avanti, indietro, brevi soste e ancora avanti, avanti.
Ricaricavano durante la corsa...
Decisero di rispondere al fuoco per avvisare gli altri, quelli di vedetta tra Scheggino e Ceselli e dare loro il tempo di trovare rifugio e prepararsi allo scontro.
Caricavano e si spostavano per sparare e dare al nemico l’idea di un gruppo numeroso disposto a ventaglio. Avanti, avanti e poi indietro, distanziati tra di loro, lungo la linea immaginata e provata nei giorni di quiete, da un albero all’altro, caricando e sparando.
Durò a lungo la battaglia poi il silenzio.
Decisero di sganciarsi per non essere aggirati e presi in trappola … decisero di tagliare verso il fiume dove le rocce e i dirupi consentono una posizione dominante e facili nascondigli.
Scesero veloci verso il fiume, sfiorarono il paese, un casolare e poi giù verso le rocce e il dirupo dove il fiume restringe e vedi l’ansa, la strada e il ponte che attraversa.
Scendevano quando lo slavo indico il ponte che ormai si intravedeva e la strada .
Una camionetta tedesca seguita da un automezzo più grande si era fermata Dalla camionetta scesero i tedeschi.
Uno di questi, pistola in mano cominciò a sparare ad un ragazzo che correva lungo il ponte .
Correva il ragazzo e il tedesco sparava quando dal bosco tagliato un gruppo di partigiani provenienti da Fionchi aprì il fuoco.
Una mossa avventata perché subito dal camion la mitragliatrice cominciò a battere il terreno.
Si rifugiarono dietro una carbonaia composta ma non ancora arsa , bloccati dal fuoco nemico, ormai persi.
I tedeschi, quelli della camionetta e quelli scesi dall’automezzo cominciarono ad avanzare. Erano persi.
Il bosco tagliato non offriva ripari ; solo la carbonaia ma nulla potevano contro il numero, le armi automatiche e la mitragliatrice che batteva il terreno.
Avevano perso la speranza quando da sinistra , dalla macchia che precede le rocce e i dirupi un nutrito fuoco di fucileria investì il nemico costringendolo ad arretrare velocemente verso gli automezzi.
Erano scesi veloci, il partigiano Luciano e lo slavo, verso quel punto privilegiato, vicino alle rocce e in alto, ben sopra la strada e il ponte che attraversa il Nera.
Presi tra più fuochi i tedeschi fuggirono precipitosamente..
.
.
Rimasero in zona. L’ordine era di attendere l’arrivo dei prigionieri slavi in fuga dal carcere di Spoleto. L’ordine era di accompagnare verso la montagna di Gavelli i 94 evasi.
Passarono quella notte e le successive all’addiaccio nascosti nel fitto della boscaglia.Le notti fra il 10 e il 14 ottobre del 1943(continua)

***
(Sesto per l’anagrafe, Luciano per i compagni, il Partigiano Luciano era mio Padre . I fatti che racconto sono realmente accaduti e alcuni dei protagonisti sono ancora vivi)



venerdì 4 marzo 2011

Ewa Lipska - Manifesto


Jan Vermeer - La lattaia



Divinità della Terra unitevi!
Create un partito che abbia cuore e fegato,
proteggete il lattaio
che alle cinque di mattina
attraversa all'alba la nebbia
cantando canzoni di libertà.

giovedì 3 marzo 2011

Cade l'aquilone all'incrocio dei venti


Una foto,
immagine del demone che nutre
e divora questo nostro tempo
fissa gli artigli del niente,
descrive l’abisso ...
Cade l’aquilone all’incrocio dei venti.

Rivedo l’attimo ed io che esco nel bosco...
muti alberi che piangono,
sentieri che fuggono in cerca di un’ oasi,
rabbia impotente, tristezza. ..
rumori di guerre lontane, ora vicine,
più vicine, bussano all’uscio dei giorni.

(Giovenale Nino Sassi)