Il neoimpressionismo (il cui certificato di nascita con la relativa scelta del nome viene stilato nel 1886 da Félix Fénéon, ma che nella realtà rimonta a due anni addietro) è invece, a detta del suo stesso fondatore, un metodo.
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Seurat ci tiene molto alla sua definizione, e si capisce, perché intende con ciò rimarcare quell’elemento antipoetico, e dunque antisoggettivo, che voleva essere l’anima dell’impressionismo 'nuovo' destinata a cavare quello 'vecchio' dalle secche di una visione empiristica e soggettiva (anche se in questo Seurat parrebbe svalutare il forte legame con la fotografia che già caratterizzava la stagione dell’impressionismo maturo) che mal si componeva con l’esigenza, che a fine secolo si era fatta ormai quasi dogmatica, di fondare la propria visione del mondo sui princìpi certi offerti dalla scienza: nella fattispecie, le leggi del «contrasto simultaneo dei colori » elaborate da Michel- Eugène Chevreul e da Ogden Rood e tradotte da Seurat nella tecnica ( nel ' sistema meccanico') della scomposizione dei toni cromatici in piccoli punti di colore pu- ro, impercettibili luoghi di emanazione della luce destinata a comporre la forma non sulla tela, ma nell’istante della composizione retinica nell’occhio dell’osservatore. Per raccogliere le osservazioni svolte da Silvana Turzio a proposito della nascita della fotografia del colore, un «sistema meccanico atto a fissare con ancora maggior fedeltà e penetrazione ciò che l’occhio umano vede, ma poco e male ».
Oggi diremmo visione titanica e quasi concettuale, che fa della pittura non il luogo dove avviene la rappresentazione, ma l’istante del suo Big Bang. Ecco, quel che il ventiquattrenne Seurat voleva dire ai suoi sconcertati interlocutori che lo invitano a smetterla di gigioneggiare col fare il 'puntinista' è che il suo 'metodo' scardina talmente la genesi stessa della pittura da farsi esso stesso stile, totalmente inedito e per la prima volta idoneo a forgiare la vera icona del mondo moderno, col primato dell’immagine che nutre essa stessa la propria realtà
Quel che poi avvenne è che 'il metodo', applicato con un’acribia meramente formale - ma non fu il caso di Seurat e Signac, o di un Camille Pissarro - , avrebbe potuto facilmente condurre alla ' maniera', il che ( verrebbe da dire stranamente) non si verificò se non in casi sporadici, anche in pittori a noi poco consueti e pertanto spesso sorprendenti come Albert Dubois-Pillet, Léo Gausson (un gioiello il suo Fiume e ponte a Lagny-sur-Marne), Louis Hayet, Maximilien Luce, Hendricus Petrus Bremmen, Henri Edmond Cross ( la sua Vendemmia del 1892 si direbbe una straniante ' variazione ottica' sul cliché della grafica giapponese di fine Ottocento), Johannes Theodorus Toorop e altri della variegata compagine divisionista che in una manciata d’anni si era sparsa tra Francia, Belgio e Olanda, fino alle soglie della pittura Fauve.
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. (''Avvenire'' , reportage da Milano di Andrea Beolchi)
. (Palazzo Reale mostra su Georges Seurat, Paul Signac e i Neoimpressionisti - 10 0ttobre 2008 - 25 gennaio 2009)
hi :*
RispondiEliminaI'm back on my blog with new foto and lot of energy :)
Have a nice day :*
grazie x ho approfondito questa scuola pittorica ciao
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