mercoledì 13 gennaio 2010

l'urlo di Haiti e una poesia di Louis Philippe Dalembert




Una scossa di magnitudo 7.3 alle 16,53 locali (le 23 in Italia) seguita da altre otto meno forti. Semidistrutta la capitale Port-au-Prince: migliaia di persone sono rimaste sotto le macerie degli edifici. Implosa la cattedrale, tra i cadaveri rinvenuti anche quello dell'arcivescovo Serge Miot. Gravemente danneggiato anche il quartier generale dell'Onu, si teme per la sorte dei funzionari. Calata la notte e senza elettricità la gente scava al buio fra le macerie. I racconti apocalittici dei testimoni: «Urla terribili dalle macerie, corpi senza vita dappertutto, non ci sono soccorsi né comunicazioni dalle autorità». Il premier: «Possibile oltre centomila i morti».




Grazie ad Internet riceviamo le prime testimonianze.

Ho girato Port-au-Prince come potevo. Il centro è completamente distrutto. La bella cattedrale è ridotta ad un cumulo di cemento, tranne qualche parete ancora in piedi. L’arcivescovado è totalmente raso al suolo. Distrutte tutte le chiese anche nella provincia. Sembra che non si sia mai vista una devastazione del genere. Nemmeno in televisione!». La drammatica testimonianza è dell’arcivescovo Bernardito Auza, filippino, da meno di due anni nunzio apostolico in Haiti.

Urla di chi cerca i familiari, folla per strada disperata, gente ferita che cerca soccorsi. Una cronaca drammatica quella fatta da Fiammetta Cappellini, responsabile dell'Avsi (Associazione Volontari per il Servizio Internazionale) in Haiti e raccolta dalla Misna, e una delle poche testimonianze uscite da una città rimasta isolata dal resto del mondo. "Qui è ancora notte - ha raccontato la Cappellini - siamo tutti per strada, si sentono le urla di chi cerca familiari, parenti, amici; i soccorsi non sono mai partiti perchè subito le macerie hanno impedito qualunque spostamento nelle tre ore successive il terremoto, poi è calato il buio e la città, per tre quarti storicamente senza illuminazione, è rimasta drammaticamente immobilizzata; a cercare i sopravvissuti è la gente comune, gli unici mezzi a operare anche grazie a cellule fotoelettriche sono quelli della Minustah, la missione locale dell'Onu".



Dal racconto emerge un dramma di cui ancora non si conoscono i confini che ha colpito il paese più povero d'America, gli ultimi tra gli ultimi: "Appena fatto giorno andremo a Martissant. È la zona che ci preoccupa di più. Dalle notizie in nostro possesso tutto il centro città è stato pesantemente colpito: Canape vert, Delmas, Bourdon, Petionville? Adesso devo chiudere, provare a riposare un pò per poter aiutare tra qualche ora.

(Fonte Avvenire)


Ripenso una bellissima poesia di Louis Delembert...
Tanti morti, dice, ci sono negli occhi della mia isola


kariblues



a john n.


giocare a campana con la morte
fanciullo maldestro che tesse castelli di parole
al rovescio del destino
siepi e sorrisi di un tempo
che gravano l'orizzonte
dita intrecciate a formare
arco di spensieratezza
sul frontone della notte
le parole non esorcizzano la morte
le sentinelle hanno sequestrato il ponte levatoio
tre volte passerà e la morte dirà l'assoluto
senza un solo sguardo per la storia
preferendo l'umano sgomento
per scrivere le sue note all'inverso
tre volte passerà
resterà una favola mattutina
si trovò un mendicante gli occhi crivellati
di disprezzo
(e la notte che se ne andava le mani inzuppate di sangue)


tanti morti ci sono negli occhi della mia isola.




 
Biografia
 
Figlio di due maestri elementari, Louis-Philippe Dalembert è nato a Port-au-Prince l’8 dicembre 1962. La morte del padre, pochi mesi dopo la sua nascita, ha conseguenze drammatiche sulla situazione economica della famiglia. Egli trascorre i primi anni della sua infanzia a Bel-Air, un quartiere popolare della capitale, immerso in un universo femminile: le cugine della madre, che durante la settimana va ad insegnare in provincia, la sorella maggiore, le prozie e la nonna materna. Quest’ultima comanda il suo piccolo mondo a bacchetta, in una Port-au-Prince governata col pugno di ferro da François Duvalier, per tutti "Papa Doc". All’età di sei anni vive la prima traumatica separazione della sua vita: la famiglia lascia, infatti, il quartiere per andare ad abitare altrove. Da questa esperienza nascerà un romanzo intitolato Le crayon du bon Dieu n'a pas de gomme (La matita del buon Dio non ha la gomma), testimonianza di un’infanzia molto religiosa vissuta all’insegna del sabbat.

Port-au-Prince, negli anni 1960-1970, è anche i cinema all’aria aperta, i famosi drive in, uno dei quali si trova dietro la nuova casa, aldilà di un burrone. La sera tutto il quartiere si ritrova in un terreno mezzo abbandonato per assistere alla proiezione dei film. Lì Dalembert vede i western, di cui va pazzo, i primi kung fu e Ultimo Tango a Parigi. Certo, bisogna ovviare alla pessima acustica, immaginando da soli i dialoghi o aspettando che sia uno spettatore ad improvvisarli. Da questo momento, per Dalembert raccontare significa innanzitutto far vedere.
Di formazione letteraria e giornalistica, Dalembert lavora come giornalista nel suo paese natale prima di partire, nel 1986, in Francia dove completa i suoi studi alla Sorbona con un dottorato di ricerca in letteratura comparata sullo scrittore cubano Alejo Carpentier. Dopo la sua partenza da Haïti, questo vagabondo poliglotta (maneggia, infatti, con disinvoltura sette lingue) ha vissuto a Nancy, Parigi, Roma, Gerusalemme, Brazzaville, Kinshasa, Firenze, viaggiando ovunque i suoi passi siano riusciti a condurlo… sempre accompagnato dall’eco della sua terra.
La sua opera porta d'altronde le tracce del suo vagabondaggio, concetto che egli preferisce a quello di erranza, e della tensione permanente tra due età (l'infanzia, da cui deriva il suo sguardo sul mondo, e l'età adulta), tra due o più luoghi.
Dopo aver vissuto a Roma, oggi vive tra Parigi, Port-au-Prince e altrove.

(Fonte  Wikipedia)


2 commenti:

  1. Yo como siempre veo las pinturas pero del resto no me entero.
    Muchos besos

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  2. Bonjour ma chère,
    ... la sensibilité des grands artistes nous aide quand les mots deviennent difficiles

    Hola querida,
    ... de la sensibilidad de los grandes artistas nos ayuda cuando las palabras se hacen difíciles

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