giovedì 20 gennaio 2011

Giovanni Paolo II - CAVA DI PIETRA



Non era solo
. 
I muscoli che alzavano la mazza,
gonfi di energia, lo innestavano
in una folla immensa.

Durò sinchè i suoi piedi
calcarono la terra.

Poi una pietra
gli frantumò le tempie,
gli spezzò le fibre del cuore.

Raccolsero il suo corpo, lo portarono
via in una lunga fila silenziosa.

Da lui grondava ancora la fatica,
i torti subiti.

Loro vestiti con le tute grigie,
le scarpe grosse nel fango,
erano il simbolo di tutto ciò che deve
cambiare nella situazione dell’uomo.

Il tempo si fermò sui contagiri,
le lancette scattarono
precipitando sullo zero.

La pietra bianca si avvinghiò al suo essere,
fece di lui stesso una pietra.

Chi toglierà la pietra dal suo corpo?
Chi crescerà di nuovo
pensieri fra le tempie fracassate?
Così si sgretola l’intonaco sui muri.

Lo stesero in silenzio
sopra un mucchio di ghiaia.
Venne affranta la moglie, venne
il figlio da scuola.

Fino a quando?
Deve passare ad altri la sua collera.
Essa era vista in lui
ad un amore suo, ad una
verità tutta sua.

Possono le generazioni utilizzarla
soltanto come pietra, privarlo del
suo significato autentico?

E di nuovo rimossero la ghiaia.
Il carrello riprese
a muoversi, tra i fiori.
La sega elettrica incise
nuovamente la cava.

Ma il compagno si porta via con lui
la struttura più intima del mondo.

Esploderà l’amore finalmente,
un giorno,
quanto più alimentato
dall’ira dell’oppresso.

.
 Karol Wojtyla 
.
Scritta da Sua Santità Giovanni Paolo II in
occasione di un incidente mortale sul lavoro, avvenuto
nella cava di calcare in cui aveva lavorato come manovale
dal 1940 al 1944.

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