domenica 29 gennaio 2012

Convalescenza

 
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Le otto del mattino: mi alzo.
Che noia ! ... piove.
Metto il borsalino,
l'impermeabile alla Bogart,
immagino Casablanca.
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Casablanca (film) - Wikipedia

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Scendo le scale, apro il portone, esco.
Rivoli d'acqua accompagnano i passi.
Costeggio le case, entro in un bar,
ordino un caffè, una brioche.
Bevo il caffè,
la brioche sa di forno caldo.
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Fabian Perez

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Il locale ?
odora di muffe e piedi sudati.
Non è un bel posto.
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I quadri di Fabian Perez

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Vado dal giornalaio, leggo di M….
e della sua ombra.
Non è una bella giornata: piove !
Immagino Casablanca.
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Casablanca - MYmovies

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Rientro a casa.
Ripongo l'impermeabile e il cappello borsalino.
Siedo sul divano, mi alzo, prendo un libro,
apro il libro, mi siedo, inizio a leggere.
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Finalmente il sole mentre fuori piove.
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(GSN)
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Édouard Manet


Che cosa ispira i poeti ?

 Carlo Carrà
 .

''Non so'', scrive Wisława Szymborska,
 che cosa ispira i poeti
ed io sono daccordo con lei.
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Ma 

 .
Nel silenzio della notte
  trovo  il riassunto del giorno.
E' l'amore, il racconto,
quello che c'è, 
che non c'è e lascia stanchi. 
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  Carlo Carrà

sabato 28 gennaio 2012

La Farfalla - Pavel Friedann


 E' un disegno di Helga, ragazzina ebrea,
nel lager-fortezza di Terezin (vicino a Praga)
 .
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L'ultima, proprio l'ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una goccia bianca
- così gialla, così gialla! -
l'ultima,
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto:
i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere del castagno
nel cortile.
Ma qui non ho visto nessuna farfalla.
Quella dell'altra volta fu l'ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.

Pavel Friedann
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Helga

venerdì 27 gennaio 2012

Primo Levi - Se questo è un uomo





Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.


Primo Levi, nato a Torino nel 1919, laureato in chimica, fu deportato ad Auschwitz ai promi del '44 con gli altri ebrei italiani del campo di concentramento di Fossoli, nel Modenese... morì nel 1987.
La mostruosa esperienza del Lager nazista, chiamato campo di lavoro [ ARBEIT MACHT FREI (il lavoro rende liberi). ] ma in realtà campo di sterminio, gli ispirò Se questo è un uomo (1947), uno dei libri più notevoli della letteratura europea ispirata ai campi di concentramento.
La sua forza sta nell'assenza di ogni indugio descrittivo, di ogni abbandono emotivo, persino di ogni rancore e di ogni protesta nei confronti di quella che è stata la pagina più atroce e vergognosa della storia della Germania moderna.
Levi, mi riferisco soprattutto al romanzo, è un narratore sobrio, asciutto che lascia parlare i fatti...egli vuol essere soltanto uno dei pochi superstiti che sente il dovere di dare testimonianza di ciò che avvenne.

martedì 24 gennaio 2012

Artur Rimbaud - Le bateau Ivre ( Il battello Ebbro)


 ,
Nel ‘’Battello ebbro’’ – l’Io narrante – sentendosi non più guidato dalle alzaie, comincia a discendere ‘’dove vuole’’ , fino al mare,  benedetto dalla tempesta, danzando sui flutti ‘’più leggero di un sughero’’ , ‘’senza rimpiangere l’occhio idiota dei fari’’ , senza più timone ne ancora:

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 .
 Poiché andavo scendendo lungo i Fiumi impossibili,
sentii che i bardotti non mi guidavan più:
ignudi ed inchiodati ai pali variopinti,
i Pellerossa striduli li avevan bersagliati.

Col mio cotone inglese, col mio grano fiammingo,
non mi curavo più di avere un equipaggio.
Quando, assieme ai bardotti, si spinsero i clamori,
i Fiumi mi lasciarono scender liberamente.

Dentro lo sciabordare aspro delle maree,
l'altro inverno, più sordo di una mente infantile,
io corsi! E le Penisole strappate dagli ormeggi
non subirono mai sconquasso più trionfante.

La tempesta ha sorriso ai miei risvegli in mare.
Più lieve di un turacciolo ho danzato sui flutti
che eternamente spingono i corpi delle vittime,
dieci notti, e irridevo l'occhio insulso dei fari!

Più dolce che ai fanciulli qualche acida polpa,
l'acqua verde filtrò nel mio scafo di abete
e dalle macchie rosse di vomito e di vino
mi lavò, disperdendo il timone e i ramponi.

Da allora sono immerso nel Poema del Mare
che, lattescente e invaso dalla luce degli astri,
morde l'acqua turchese, dentro cui, fluttuando,
scende astatico un morto pensoso e illivido;

dove, tingendo a un tratto l'azzurità, deliri
e ritmi prolungati nel nel giorno rutilante,
più stordenti dell'alcol, più vasti delle lire,
fermentano i rossori amari dell'amore!

Io so i cieli che scoppiano in lampi, so le trombe,
le correnti e i riflussi: io so la sera e l'Alba
che si esalta nel cielo come colombe a stormo;
e qualche volta ho visto quel che l'uomo ha sognato;

ho visto il sole basso, fosco di orrori mistici,
che illuminava lunghi coaguli violacei,
somiglianti ad attori di antichi drammi, i flutti
che fluivano con tremito di persiane, lontano!

Sognai la notte verde delle nevi abbagliate,
bacio che sale lento agli occhi degli Oceani,
la circolazione delle linfe inaudite,
E, giallo e blu, il destarsi dei fosfori canori! [...]

Ho cozzato in Floride incredibili: fiori
sbocciavano fra gli occhi di pantere con pelli
d'uomo! In arcobaleni come redini tesi
a glauche mandrie sotto l'orizzonte dei mari!

Ho visto fermentare gli stagni enormi, nasse
dove frammezzo ai giunchi marcisce un Leviatano!
Frane d'acqua scuotevano le immobili bonacce,
cateratte lontane crollavano nei baratri!

Ghiacciai, soli d'argento, flutti madreperlacei,
cieli ardenti! Incagliavo in fondo a golfi bruni
dove immensi serpenti mangiati dalle cimici
cadon, da piante torte, con oscuri profumi!

Ai bimbi, avrei voluto mostrare le dorate
dell'onda cupa e azzurra, o quei pesci canori.
- Schiume di fiori, mentre salpavo, m'han cullato,
e talvolta ineffabili venti m'han dato l'ali.

Martire affaticato dai poli e dalle zone,
il mare che piangendo mi addolciva il rullio
faceva salir fiori d'ombra, gialle ventose,
ed io restavo, simile a una donna in ginocchio,

quasi isola, scuotendo sui miei bordi i litigi
e lo sterco degli uccelli dagli occhi biondi, e urlanti.
Vagavo ed attraversavo i miei legami fragili
gli affogati a ritroso scendevano a dormire!
 .
 Segue la parte finale de ''Il battello ebbro''.
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 .
Il battello protagonista della lirica, rimasto senza marinai e privo di ormeggi, è il simbolo del poeta. Come il battello anche il poeta va incontro alle sue avventure liberamente e senza vincoli. Come il battello anche il poeta è ormai stanco; e come il battello non vuol tornare in acque sicure alla sua funzione di battello di merci, così il poeta non può nemmeno pensare di ritornare ad una vita normale: '' basta, ho pianto troppo ! le albe sono strazianti, / ogni luna mi è atroce ed ogni sole amaro / [ ... ] Che la mia chiglia scoppi! Che vada in fondo al mare.

Artur Rimbaud scrive questa lirica a soli diciassette anni ed è uno dei capolavori indiscussi della Poesia di tutti i tempi.
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Fonte: http://ebbri4ever.blogspot.com/2008/05/il-battello-ebbro.html?cp
Il blog Ebbro è Bello ed i suoi contenuti sono distribuiti con licenza CC BY-NC-SA 3.0 Italia.
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La zattera della Medusa - Gericault

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Io, battello perduto nei crini delle cale,
Spinto dall'uragano nell'etra senza uccelli,
- né i velieri anseatici, né i Monitori avrebbero
Ripescato il mio scafo ubriacato d'acqua;

Libero, fumigante, di brume viole carico,
Io che foravo il cielo rossastro come un muro
Che porti, leccornie per i buoni poeti,
Dei licheni di sole e dei mocci d'azzurro;

Io che andavo chiazzato dalle lunule elettriche,
Folle trave, scortato dagli ippocampi neri,
Quando il luglio faceva crollare a scudisciate
I cieli ultramarini dai vortici infuocati;

Io che tremavo udendo gemere acento leghe
I Behemot in foia e i densi Maelstrom,
Filando eternamente sulle acque azzurre e immobili,
Io rimpiango l'Europa dai parapetti antichi!

Ho visto gli arcipelaghi siderei e delle isole
Dai cieli deliranti aperti al vogatore:
- E' in queste notti immense che tu dormi e t'esili
Stuolo d'uccelli d'oro, o Vigore futuro?

Ma basta, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna mi è atroce ed ogni sole amaro:
L'acre amore mi gonfia di stordenti torpori.
Oh, la mia chiglia scoppi! Ch'io vada in fondo al mare!

Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
Nera e gelida, quando, nell'ora del crepuscolo,
Un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,
Un battello leggero come farfalla a maggio.

Non posso più, bagnato da quei languori, onde,
Filare nella scia di chi porta cotone,
Né fendere l'orgoglio dei pavesi e dei labari,
Né vogar sotto gli occhi orrendi dei pontoni.
,


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 Rimbaud scrive di se stesso:

Dei miei antenati, i Galli, ho l'occhio biancazzurro, il cervello stretto, e l'inefficienza nella lotta. Il mio modo di vestire mi sembra barbaro quanto il loro. Però non mi spalmo di burro i capelli.
I Galli erano scorticatori di bestie, bruciatori d'erbe: i più inabili del loro tempo.
Di loro, ho: l'idolatria e l'amore per il sacrilegio; ah! tutti i vizi, ira, lussuria, - magnifica, la lussuria; soprattutto menzogna e accidia.
I mestieri, li odio tutti. Padroni e operai, tutti bifolchi, ignobili. La mano da penna vale la mano da aratro. - Che secolo di mani! - Io non avrò mai la mia mano. Dopo, la famigliarità porta chissà dove. L'onestà della mendicità mi affligge. I criminali sono disgustosi come i castrati: io, sono intatto, e per me fa lo stesso.
Ma! chi ha reso la mia lingua tanto perfida, da guidare e tutelare fino ad oggi la mia pigrizia? Senza servirmi nemmeno del mio corpo per vivere, e più fannullone d'un rospo, ho vissuto dappertutto. Non una sola famiglia, in Europa, che mi sia sconosciuta. - Famiglie come la mia, voglio dire, che devono tutto alla dichiarazione sui Diritti dell'Uomo . - Io ho conosciuto tutti i figli di famiglia!
(Sangue cattivo, in Una stagione in inferno)

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Queste sono le radici che Jean Nicolas Arthur Rimbaud  riconosce a se stesso; per il resto, vige l’ortodossa rivendicazione di un’identità vergine e guerriera, in perenne lotta contro il Super – Io  che il tempo – passato, ma anche presente  e futuro – tende a incorporare. Il risultato è una non identità : quella appunto che Rimbaud cercherà sempre di mantenere, libera da etiche prestabilite.

sabato 21 gennaio 2012

Destinatario sconosciuto - lavorare meno ma lavorare tutti

Stati Uniti :  uomini in fila in attesa di un lavoro durante la grande depressione del  1930
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 Purtroppo l’Europa non è ancora una Nazione e appare divisa mentre bisognerebbe affrontare con una sola voce i problemi.
Ricordo la Crisi del 1973/4, quella del petrolio … avevo un impiego in un’azienda svizzera e, d’accordo con le maestranze, per evitare i licenziamenti, decidemmo di ridurre il monte ore di lavoro settimanale. 
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‘’LAVORARE MENO MA LAVORARE TUTTI’’ 

Lavorare per superare i problemi e ricominciare. Andò bene … nessuno perse il lavoro.

Monti è il nostro
Franklin Delano Roosevelt ? . 
Appena eletto, Roosevelt disse : « Sono convinto se c'è qualcosa da temere è la paura stessa, il terrore sconosciuto, immotivato e ingiustificato che paralizza. Dobbiamo sforzarci di trasformare una ritirata in una avanzata. [..] Chiederò al Congresso l'unico strumento per affrontare la crisi. Il potere di agire ad ampio raggio, per dichiarare guerra all'emergenza. Un potere grande come quello che mi verrebbe dato se venissimo invasi da un esercito straniero. »

Ecco… ‘’Non dobbiamo avere paura’’ di cambiare, di rinnovare per ricominciare … tenendo presente il bene di tutti, soprattutto delle giovani generazioni
Come ? io sono per un nuovo
New Deal  ma, realizzo, non va di moda tra gli economisti.

venerdì 20 gennaio 2012

Else Lasker-Schüler - O Gott






...............O Dio
Dovunque solo più breve sonno
Nell’uomo, nel verde, nel calice del convolvolo.
Ognuno fa ritorno nel suo morto cuore.
– Vorrei che il mondo fosse ancora un bambino –
E a me sapesse raccontare dal primo respiro.
Prima era una grande devozione per il cielo,
Le stelle si mettevano a leggere la Bibbia.
Potessi una volta prendere la mano di Dio
O vedere la luna al suo dito.
O Dio, Dio, come ti sono lontana io!


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Nel 1910 Karl Kraus definisce Else Lasker-Schüler “il più forte e il più impervio fenomeno lirico della Germania”.
Gottfried Benn, quando lei era già morta, la ritrasse in una memorabile pagina:
“Era piccola, allora aveva l’esilità di un ragazzo e capelli neri come la pece, tagliati corti, cosa ancora rara a quel tempo, grandi occhi molto neri e molto mobili, con uno sguardo sfuggente e inesplicabile.
Né allora né poi si poteva andare in giro con lei senza che tutti si fermassero a guardarla: gonne o pantaloni erano larghi e stravaganti, il resto dell’abbigliamento impossibile, collo e braccia coperti di vistosi gioielli falsi, catene, orecchini, anelli d’oro falso alle dita; e poiché era continuamente occupata a scostare dalla fronte i ciuffi di capelli, quegli anelli da donna di servizio – bisogna pur chiamarli così – erano sempre al centro degli sguardi di tutti. Non mangiava mai regolarmente, mangiava pochissimo, spesso viveva di noci e frutta per settimane.
Dormiva spesso sulle panchine, e fu sempre povera in tutte le situazioni e le fasi della sua vita” (trad. Luciano Zagari, Lo smalto sul nulla, Adelphi 1992). Qualche riga più sotto si legge che questa donna “era la più grande poetessa che la Germania avesse mai avuto”.





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...............O Gott


Überall nur kurzer Schlaf
Im Mensch, im Grün, im Kelch der Winde.
Jeder kehrt in sein totes Herz heim.
– Ich wollt die Welt wär noch ein Kind –
Und wüßte mir vom ersten Atem zu erzählen.
Früher war eine große Frömmigkeit am Himmel,
Gaben sich die Sterne die Bibel zu lesen.
Könnte ich einmal Gottes Hand fassen
Oder den Mond an seinem Finger sehn.
O Gott, o Gott, wie weit bin ich von dir!


http://it.wikipedia.org/wiki/Else_Lasker-Sch%C3%BCler



giovedì 19 gennaio 2012

Tre fiammiferi accesi di Jacques Prévert

 

William Whitaker paintings

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Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L' ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo fra le braccia.

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Jacques Prévert

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william whitaker

Stefania Convalle - Lenticchie e melagrana.

Il sogno del melograno - Felice Casorati

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Tra le tue dita
scivolano
chicchi di melagrana
che prepari per me

agrodolce alchimia

avvolge le tue mani
che affondano
nel mare sensuale
fatto di lenticchie

che sorridono

al rituale
scaramantico
di una scintilla
prima della mezzanotte.
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Felice Casorati (pittore) - Wikipedia

lunedì 16 gennaio 2012

La poesia



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La parola poetica, per molti, rappresenta una modalità conoscitiva privilegiata, complementare e necessaria alla ricerca di se o alla comprensione del mondo in cui viviamo. Segna i passi, raccoglie le distanze e le racconta.  In alcuni, la ricerca poetica porta i segni di una continua spoliazione sino alla nudità estrema mentre per altri l’effervescenza creativa delle metafore scopre e rinnova simboli già acquisiti all’uso da immettere, ex novo, nel circuito letterario.Altri sono alla ricerca continua di un dialogo ….. ininterrotto e intenso ….. con gli autori antichi e moderni, poeti o artisti realizzando una sorta di polifonia entro la quale il lavoro (la ricerca) artistico a latere agisce come impulso poetico.Un tentativo di arte totale. Forse ….


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C’è poi chi, io probabilmente tra questi , scrive e basta, felice di farlo e non pretende altro cioè non cerca il consenso della critica e non pensa di arrivare a livelli più elevati. (Non entra nella ‘’commercializzazione delle parole ‘’ …non mercanteggia l’essere, se lo è, poeta)Scrive, ed io lo sono quando mi riesce, felice di farlo, per vivere e comunicare. E vivere è amare.  C’è chi, io tra questi, ‘’ legge il grande libro del creato facendo memoria della terra dell’origine cui il cuore aspira tornare ‘’. Dio è buono !C’è poi chi ….Non comprende l’atto poetico perché è troppo ‘’giovane’’ e quindi incapace di scendere nel vissuto e nella ricerca dell’altro o troppo ‘’vecchio’’ (vecchio dentro) per comprendere i percorsi che l’arte e la ricerca artistica inevitabilmente comportano.
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La vita ?

la vita … è fatta di porte che si aprono, si chiudono, di paesaggi che scorrono a volte montuosi altre volte pianeggianti. Fare poesia è raccontare l’orizzonte dei passi che si succedono … che investono ogni aspetto dell’esistenza: la gioia e il dolore, la commozione, la preghiera, i momenti di angoscia, di solitudine esistenziale, il deserto interiore, la stanchezza del vivere: La speranza !
Vivere la poesia significa … che continuiamo ad esistere; che continuiamo a soffrire e amare. Soprattutto amare . Se siamo nel deserto (della poesia e quindi della vita) lottiamo per uscirne.
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Buona vita, Giovenale Nino Sassi.

sabato 14 gennaio 2012

Wisława Szymborska, “Il poeta e il mondo”

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Arrivava il momento in cui il poeta si chiudeva la porta alle spalle, si liberava di tutti quei mantelli, orpelli e altri accessori poetici, e rimaneva in silenzio, in attesa di se stesso, davanti a un foglio di carta ancora non scritto. Perché, a dire il vero, solo questo conta.
[…]

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Il loro lavoro non è per nulla fotogenico. Una persona seduta al tavolino, o sdraiata sul divano fissa con lo sguardo immobile la parete o il soffitto, di tanto in tanto scrive sette versi, dopo un quarto d’ora ne cancella uno, e passa un’altra ora in cui non accade nulla… Quale spettatore riuscirebbe a regge un simile spettacolo?
Ho menzionato l’ispirazione. Alla domanda su cosa essa sia, ammesso che esista, i poeti contemporanei danno spesso risposte evasive. Non perché non abbiano mai sentito il beneficio di tale impulso interiore. Il motivo è un altro. Non è facile spiegare a qualcuno qualcosa che noi stessi non capiamo.
Anch’io talvolta, di fronte a questa domanda, eludo la sostanza della cosa. Ma rispondo così: l’ispirazione non è un privilegio esclusivo dei poeti e degli artisti in genere. 

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Carrà Carlo: Biografia

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 C’è, c’è stato e sempre ci sarà un gruppo di individui visitati dall’ispirazione. Sono tutti quelli che coscientemente si scelgono un lavoro e lo svolgono con passione e fantasia. Ci sono medici siffatti, ci sono pedagoghi siffatti, ci sono giardinieri siffatti e ancora un centinaio di altre professioni. Il loro lavoro può costituire un’incessante avventura, se solo sanno scorgere in esso sfide sempre nuove. Malgrado le difficoltà e le sconfitte, la loro curiosità non viene meno. Da ogni nuovo problema risolto scaturisce per loro un profluvio di nuovi interrogativi. L’ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”.
[…]

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p.15-16, Wisława Szymborska, “Il poeta e il mondo”, in Vista con granello di sabbia, poesie 1957-1993, Adelphi, Milano, 1998
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carlo carrà

Quinto Orazio Flacco - Odi, I, 31

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 Cosa ti chiedo, mentre prego / Apollo vate? / Forse vino nuovo / da mescere nella pàtera? /
No, non abbondanti messi di Sardegna / non mandrie della calda Calabria / non oro o avorio indiani / o le terre del Liri / piene di pace / che il fiume tocca / in silenzio, consumandole.
Io sono pago delle viti calene / le ho avute dalla dea Fortuna / qualcuno berrà in coppe d'oro / il vino che la Siria dà in offerta / saranno senz'altro amati dagli dèi / coloro che stanno sempre sull'Atlantico / a guardare, senza paura.
A me bastano l'oliva / la cicoria, un po' di malva tenera.
Questo ti chiedo / figlio di Latona / di essere felice per ciò che già possiedo / in salute / con mente integra / invecchiando serenamente.
Avendo ancora la forza di cantare.
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Quinto Orazio Flacco

Odi, I, 31

mercoledì 11 gennaio 2012

La sera si è fatta notte

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La sera si è  fatta notte
un buio di ombre
 silenzio
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 Immagini relative a norberto
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Amo il silenzio…
lo cerco e lui mi trova
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Nel silenzio
ascolto il tempo che scorre,
gli odori, i sapori,
il tanto o il niente lontano dai passi:
un refolo di vento.
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Amo il silenzio,
lo cerco e lui mi trova,
memoria dell’Assoluto,
mistero della vita.
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Museo Norberto


Lucìa Rivadeneyra - Solidarietà

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Vorrei essere il tuo bottone
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Mi sono affezionata all’attaccapanni
perché riceve con umiltà
la tua giacca, la tua camicia, i tuoi pantaloni.
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E’ il mio complice più fedele
perché bada con zelo ai tuoi abiti quando mi ami.
Non dice che li accarezzo mentre dormi
né che alle loro asole abbottono i miei sogni.
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L’attaccapanni soffre con me
se stacchi i tuoi indumenti per andartene
a camminare senza grinze per le strade
 .
(Lucía Rivadeneyra)

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