domenica 5 luglio 2015

MARINA CVETAEVA Dalla raccolta Dopo la Russia [E non siamo partiti – tu e io –]


E non siamo partiti – tu e io –
l’oceano può anche aspettare!
Non è alla portata – alla mia –
ai miei cinque franchi – quel mare.
A noi pane asciutto, a noi acqua
alla gola, miseria, sorsate
di sabbia. A noi il mare è secca:
la bevono gli altri – l’estate!
Trasudano grasso: il lustro
del burro – e dei nostri cervelli.
Leggiadri cannibali, mostri eleganti,
gourmets di stornelli e canzoni.
Degustazione? Un franco l’ingresso.
Si sciacqua la bocca coi versi
immortali, come acqua di cessi,
il poetico branco. E poi vi saluto,
vi stringo la mano – al pugno un prurito –
vi porgo il mio palmo e – un gesto deciso:
per la bontà, la cortesia squisita –
un autografo – in faccia!– sul muso!

MARINA CVETAEVA
Dalla raccolta Dopo la Russia
[E non siamo partiti – tu e io –]

Nata a Mosca, figlia di Ivan Vladimirovich Tsvetaev, professore di Belle Arti all'Università di Mosca e della pianista Marija Alexandrovna Mejn, fu una delle voci più originali della poesia russa del XX secolo e l'esponente più di spicco del locale movimento simbolista; il suo lavoro non fu ben visto dal regime staliniano, anche per via di opere scritte negli anni venti che glorificavano la lotta anticomunista dell'armata bianca, in cui il marito Sergej Jakovlevič Efron militava come ufficiale; emigrò prima a Berlino e poi a Praga nel 1922. Seguendo gli orientamenti della comunità russa emigrata, si trasferì a Parigi nel novembre 1925. Tornò a Mosca insieme al figlio Mur nel 1939, nella speranza di ricongiungersi al marito, di cui si erano perse le tracce e che in realtà era fuggito in Spagna, e alla figlia Ariadna Efron, tornata a Mosca nel 1937 e subito mandata in un campo di lavoro. In uno stato di estrema povertà e di isolamento dalla comunità letteraria, il 31 agosto 1941 s'impiccò nell'ingresso dell'izba che aveva affittato da due pensionati. La riabilitazione della sua opera letteraria avvenne solo a partire dagli anni sessanta, vent'anni dopo la sua morte. La poesia della Cvetaeva unisce l'eccentricità a un rigoroso uso della lingua, non priva di metafore paradossali. Se durante la prima fase creativa, Cvetaeva risentì dell'influenza di Majakovskij e del suo vigore poetico, in seguito se ne distaccò grazie alla sua cultura basata sui romantici tedeschi, e quindi si accostò maggiormente sia a Pasternak sia all'animo poetico di Puškin


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