mercoledì 31 marzo 2010

Stefania Caledda - Rincorrendo il futuro

Antonello da Messina

A lungo
ho sospirato il futuro,
sanguinando la mia disperazione,
pareva essersi perso, ad un tratto,
ed io mi rassegnavo,
indolente.
Oggi lo rincorro
perché so
che non è poi così lontano.


Stefania Calledda, 17 marzo 2010
da Mulini a vento )

martedì 30 marzo 2010

E. Montale - Ossi di seppia - Movimenti

Ernest Bieler


I LIMONI

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

Provo a cambiare vestito.
Se non va torno al passato.

lunedì 29 marzo 2010

Leonardo, Caravaggio, Ciseri e Mantegna raccontano il Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 22,14-71.23,1-56


Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E preso un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio». Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi». «Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo dal quale è tradito!». Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò. Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande. Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele. Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi». Poi disse: «Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla». Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine». Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli rispose «Basta!».





Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione». Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?». Allora quelli che eran con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate, basta così!». E toccandogli l'orecchio, lo guarì. Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre».

Dopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro. Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: «Anche questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «Donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei di loro!». Ma Pietro rispose: «No, non lo sono!». Passata circa un'ora, un altro insisteva: «In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell'istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito, pianse amaramente. Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano, lo bendavano e gli dicevano: «Indovina: chi ti ha colpito?». E molti altri insulti dicevano contro di lui. Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero: «Se tu sei il Cristo, diccelo». Gesù rispose: «Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma da questo momento starà il Figlio dell'uomo seduto alla destra della potenza di Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono». Risposero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re». Pilato lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: «Non trovo nessuna colpa in quest'uomo». Ma essi insistevano: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui». Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme. Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. C'erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza. Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia tra loro. Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, disse: «Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò». .


Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «A morte costui! Dacci libero Barabba!». Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà. Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?». Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati.

Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso». Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò. Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: «Veramente quest'uomo era giusto». Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti. C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatèa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. Era il giorno della parascève e gia splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.



Federico García Lorca - Io pronuncio il tuo nome

Renoir


Io pronuncio il tuo nome

nelle notti oscure,
quando giungono gli astri
a bere nella luna,
e dormono i rami
delle fronde occulte.
Ed io mi sento vuoto
di passione e di musica.
Folle orologio che canta
antiche ore defunte.

Io pronuncio il tuo nome

in questa notte oscura,
e il tuo nome mi suona
più lontano che mai.
Più lontano di tutte le stelle
e più dolente della mite pioggia.
Ti amerò come allora
qualche volta? Che colpa
ha commesso il mio cuore?
Se la nebbia si scioglie
quale nuova passione mi aspetta?
Sarà tranquilla e pura?
Se potessi sfogliare
con le dita la luna!!

Federico García Lorca

venerdì 26 marzo 2010

In ritardo auguro a Mina Mazzini i miei migliori auguri per i suoi primi '70 anni

giovedì 25 marzo 2010

Stéphane Mallarmé - Brezza marina

Claude Monet

La carne è triste ahimè! e ho letto tutti i libri.
Fuggire! laggiù fuggire! io sento uccelli ebbri
d'essere tra l'ignota schiuma e i cieli!
Niente, nè antichi giardini riflessi dagli occhi
terrà questo cuore che già si bagna nel mare
o notti! nè il cerchio deserto della mia lampada
sul vuoto foglio difeso da suo candore
nè giovane donna che allatta il suo bambino.
I partirò! Vascello che dondoli l'alberatura
l'ancora sciogli per una natura straniera!
E crede una Noia, tradita da speranze crudeli
ancora nell'ultimo addio dei fazzoletti!
E gli alberi forse, richiamo dei temporali
son quelli che un vento inclina sopra i naufraghi
sperduti, nè antenne, nè antenne, nè verdi isolotti...
Ma ascolta, o mio cuore, il canto dei marinai!

Scritta nel 1865 è una delle prime liriche di Malarmè.
Racconta il desiderio di fuga che il l poeta prova ( ma, in generale l’uomo ) quando è messo a confronto con una realtà insoddisfacente e una vita priva di senso.

Il poeta è stanco, sfiduciato e deluso delle sue esperienze… l’amore e la cultura non lo salvano : ‘’la carne’’ dice il poeta ’’ è triste, ahimè ! e ho letto tutti i libri ‘’.
E allora sorge prepotente il desiderio, anzi la volontà di fuggire, di evadere in un mondo di incontaminata purezza.

mercoledì 24 marzo 2010

Trilussa - Nummeri e La politica



Nummeri

Conterò poco, è vero:
diceva l'Uno ar Zero,
ma tu che vali? Gnente: propio gnente.
sia ne l'azzione come ner pensiero
rimani un coso vôto e inconcrudente.
Io, invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento? Centomila.
È questione de nummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore
più so' li zeri che je vanno appresso.




La politica

Ner modo de pensà c'è un gran divario:
mi' padre è democratico cristiano,
e, siccome è impiegato ar Vaticano,
tutte le sere recita er rosario;

de tre fratelli, Giggi ch'er più anziano
è socialista rivoluzzionario;
io invece so' monarchico, ar contrario
de Ludovico ch'è repubbricano.

Prima de cena liticamo spesso
pe' via de 'sti principî benedetti:
chi vò qua, chi vò là... Pare un congresso !

Famo l'ira de Dio ! Ma appena mamma
ce dice che so' cotti li spaghetti
semo tutti d'accordo ner programma.

Trilussa - La verità

Renè Magritte

La Verità che stava in fonno ar pozzo
Una vorta strillò: - Correte, gente,
Chè l’acqua m’è arivata ar gargarozzo! -
La folla corse subbito
Co’ le corde e le scale: ma un Pretozzo
Trovò ch’era un affare sconveniente.
- Prima de falla uscì - dice - bisogna
Che je mettemo quarche cosa addosso
Perchè senza camicia è ‘na vergogna!
Coprimola un po’ tutti: io, come prete,
Je posso dà’ er treppizzi, ar resto poi
Ce penserete voi...

- M’assoccio volentieri a la proposta
- Disse un Ministro ch’approvò l’idea. -
Pe’ conto mio je cedo la livrea
Che Dio lo sa l’inchini che me costa;
Ma ormai solo la giacca
È l’abbito ch’attacca. -

Bastò la mossa; ognuno,
Chi più chi meno, je buttò una cosa
Pe’ vedè’ de coprilla un po’ per uno;
E er pozzo in un baleno se riempì:
Da la camicia bianca d’una sposa
A la corvatta rossa d’un tribbuno,
Da un fracche aristocratico a un cheppì.

Passata ‘na mezz’ora,
La Verità, che s’era già vestita,
S’arrampicò a la corda e sortì fôra:
Sortì fôra e cantò: - Fior de cicuta,
Ner modo che m’avete combinata
Purtroppo nun sarò riconosciuta!




Trilussa è lo pseudonimo di Carlo Alberto Salustri (1871-1950), un poeta famoso lper le sue poesie e i sonetti in dialetto romanesco.
Personaggio popolarissimo, ricevette grandi apprezzamenti sia per i suoi testi sia per la sua abilità di lettore delle proprie opere.
I suoi brani si contraddistinguono per una spiccata nota di satira politica e sociale.
Trilussa è stato nominato Senatore a vita nel 1950

martedì 23 marzo 2010

Nazim Hikmet - Poesie dall'esilio - I pesci

Matisse - I pesci rossi


Nuotano nel boccale, i pesci di corallo
nel boccale, in mezzo alle stelle,
com'è bizzarro, mia rosa, com'è bizzarro
la stupidità dei pesci di corallo
sanguina dalla ferità di tante canzoni.

Mosca, 1955

Artur Rimbaud - Le bateau Ivre


Io, battello perduto nei crini delle cale,
Spinto dall'uragano nell'etra senza uccelli,
- né i velieri anseatici, né i Monitori avrebbero
Ripescato il mio scafo ubriacato d'acqua;

Libero, fumigante, di brume viole carico,
Io che foravo il cielo rossastro come un muro
Che porti, leccornie per i buoni poeti,
Dei licheni di sole e dei mocci d'azzurro;

Io che andavo chiazzato dalle lunule elettriche,
Folle trave, scortato dagli ippocampi neri,
Quando il luglio faceva crollare a scudisciate
I cieli ultramarini dai vortici infuocati;

Io che tremavo udendo gemere acento leghe
I Behemot in foia e i densi Maelstrom,
Filando eternamente sulle acque azzurre e immobili,
Io rimpiango l'Europa dai parapetti antichi!

Ho visto gli arcipelaghi siderei e delle isole
Dai cieli deliranti aperti al vogatore:
- E' in queste notti immense che tu dormi e t'esili
Stuolo d'uccelli d'oro, o Vigore futuro?

Ma basta, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna mi è atroce ed ogni sole amaro:
L'acre amore mi gonfia di stordenti torpori.
Oh, la mia chiglia scoppi! Ch'io vada in fondo al mare!

Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
Nera e gelida, quando, nell'ora del crepuscolo,
Un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,
Un battello leggero come farfalla a maggio.

Non posso più, bagnato da quei languori, onde,
Filare nella scia di chi porta cotone,
Né fendere l'orgoglio dei pavesi e dei labari,
Né vogar sotto gli occhi orrendi dei pontoni.

E' la parte finale de ''Il battello ebbro''.
Il battello protagonista della lirica, rimasto senza marinai e privo di ormeggi, è il simbolo del poeta. Come il battello anche il poeta va incontro alle sue avventure liberamente e senza vincoli. Come il battello anche il poeta è ormai stanco; e come il battello non vuol tornare in acque sicure alla sua funzione di battello di merci, così il poeta non può nemmeno pensare di ritornare ad una vita normale: '' basta, ho pianto troppo ! le albe sono strazianti, / ogni luna mi è atroce ed ogni sole amaro / [ ... ] Che la mia chiglia scoppi! Che vada in fondo al mare.
Artur Rimbaud scrive questa lirica a soli diciassette anni ed è uno dei capolavori indiscussi della Poesia di tutti i tempi.

domenica 21 marzo 2010

John Keats – "Ella dimora insieme alla Bellezza"


Ella dimora insieme alla Bellezza,
la Bellezza che morir deve; e insieme
alla Gioia che tien sempre sui labbri
la mano a dire addio; presso al Piacere
che duole e in velen muta mentre sugge

ape la bocca. Sì, nel tempio stesso
del Piacere ha il sacrario la velata
Malinconia benché la veda solo
chi con strenua lingua sa schiacciare
contro al palato il grappolo di gioia;

l'anima di colui assaggerà
la tristezza inerente al suo potere,
e andrà fra i suoi trofei capi sospesa.




La bellezza è verità, la verità è bellezza: questo è tutto ciò che voi sapete in terra, e tutto ciò che vi occorre sapere.

giovedì 18 marzo 2010

18 marzo

Marc Chagall


Sono nato un giorno di marzo,
il 18 del mese,
un padre partigiano,
l’anno è lontano
[ ... ]

mercoledì 17 marzo 2010

Giovenale Nino Sassi - Una giornata particolare

André Derain

Preparo la borsa
Faccio la doccia
Lavo i capelli
Taglio la barba
Vado a dormire
Provo a dormire
. ...
Domani
Alle 7,30 in ospedale
. ...
Rientro in casa
Disfo la borsa
Metto il pigiama
Entro nel letto
Ripasso gli eventi.

sabato 13 marzo 2010

Giovenale Nino Sassi - Il succedersi degli anni




Il succedersi degli anni
ha soffocato la voce interiore;
quella capacità unica di capire ed amare.


Ho conosciuto la lotta e ho ceduto
alle lusinghe e alle tentazioni;
alla noia di giorni uguali ma sempre,
dopo ogni caduta, ho cercato la luce.

Ho perso,
ho vinto nel labirinto di passi che si succedono
ininterrotti
ed ora sono qui
né sconfitto né vincitore a reclamare i sogni.




I quadri sono di Pablo Picasso - periodo blu

giovedì 11 marzo 2010

Vittorio Gassman recita Trilussa (1995) * L'incontro de li sovrani e * L'onestà de mi' nonna

IL tempo secondo Sant'Agostino

Henri de Toulouse-Lautrec - Wikipedia


Il tempo?

‘’Allora cosa è il tempo?’’ si chiede Sant’Agostino
‘’Se nessuno me lo domanda’’ aggiunge ‘’io lo so’’
‘’Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più’’
‘’Eppure posso affermare con sicurezza di sapere che se nulla passasse, non esisterebbe un passato; se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe un futuro; se nulla esistesse, non vi sarebbe un presente.

martedì 9 marzo 2010

lunedì 8 marzo 2010

8 marzo ... Io e te

Hopper

Conosci la vita,
compagna dei giorni che passano ?

Ha con se una valigia, la vita,
dove ripone gli eventi. …
ricordi lontani che si mescolano,
che riemergono,
che riaffiorano dal calendario degli anni.

Certe sere,
quando il sole tramonta e fai sosta,
apri la valigia e tra i ricordi
trovi una gonna stropicciata e la luna,
che è sempre la stessa,
che è quella di adesso….
un lampione che illumina
il blu della notte e due valigie che,
da quella notte,
camminano insieme profumate di ginestra.


(Giovenale Nino Sassi)

akatalēpsía o degli infiniti ritorni



A volte, scrive Clelia Mazzini, per dire tutto compiutamente, bisogna dare voce al silenzio.

http://akatalepsia.blogspot.com/

Ha ragione… ha quasi sempre ragione, Clelia:
il silenzio, il mio, stasera, racconta storie lontane, quasi dimenticate
.

Un albero, uno steccato, nubi cariche di pioggia e un prato che somiglia a un deserto.
Sembra il presente, il mio o il nostro; nostro di questo paese che dimentica il passato.

domenica 7 marzo 2010

8 marzo .... Sarebbe bello !


Sarebbe bello averti vicina
adesso che tramonta il giorno

Questa stanza da pittore
troverebbe luce e spazio
e
arriverebbe
silenziosa la sera
a sussurrare parole d’amore.

Che ne so perché
di quest’ansia strana
che sale e stringe il petto,
perché non dormo.

Che fai …
.....Dove stai…
........Con chi sei …
E’ triste star soli
adesso che tramonta il giorno.

Il Presidente Napolitano risponde ai cittadini

Giorgio Napolitano, dal sito del Quirinale, risponde a due cittadini sulla firma del Decreto salva elezioni regionali.
Prima di continuare ovvero prima di riportare lettera presidenziale desidero affermare che mi sento, pienamente rappresentato dal Presidente Napolitano.




Signor Presidente della Repubblica,
le chiedo di non firmare il decreto interpretativo proposto dal governo in quanto in un paese democratico le regole non possono essere cambiate in corso d'opera e a piacimento del governo, ma devono essere rispettate da tutte le componenti politiche e sociali per la loro importanza per la democrazia e la vita sociale dei cittadini italiani.
Confidando nella sua serenità e capacità di giudizio per il bene del Paese e nel suo alto rispetto per la nostra Costituzione.
Cordiali saluti
Alessandro Magni


Signor Presidente Napolitano,
sono a chiederle di fare tutto quello che lei può per lasciarci la possibilità di votare in Lombardia chi riteniamo che ci possa rappresentare. Se così non fosse, sarebbe un grave attentato al diritto di voto.
In fede
M. Cristina Varenna



Egregio signor Magni, gentile signora Varenna,


ho letto con attenzione le vostre lettere e desidero, vostro tramite, rispondere con sincera considerazione per tutte le opinioni dei tanti cittadini che in queste ore mi hanno scritto.
Il problema da risolvere era, da qualche giorno, quello di garantire che si andasse dovunque alle elezioni regionali con la piena partecipazione dei diversi schieramenti politici. Non era sostenibile che potessero non parteciparvi nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo, per gli errori nella presentazione della lista contestati dall'ufficio competente costituito presso la corte d'appello di Milano. Erano in gioco due interessi o "beni" entrambi meritevoli di tutela: il rispetto delle norme e delle procedure previste dalla legge e il diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi. Non si può negare che si tratti di "beni" egualmente preziosi nel nostro Stato di diritto e democratico.
Si era nei giorni scorsi espressa preoccupazione anche da parte dei maggiori esponenti dell'opposizione, che avevano dichiarato di non voler vincere - neppure in Lombardia - "per abbandono dell'avversario" o "a tavolino". E si era anche da più parti parlato della necessità di una "soluzione politica": senza peraltro chiarire in che senso ciò andasse inteso. Una soluzione che fosse cioè "frutto di un accordo", concordata tra maggioranza e opposizioni?



Ora sarebbe stato certamente opportuno ricercare un tale accordo, andandosi al di là delle polemiche su errori e responsabilità dei presentatori delle liste non ammesse e sui fondamenti delle decisioni prese dagli uffici elettorali pronunciatisi in materia. In realtà, sappiamo quanto risultino difficili accordi tra governo, maggioranza e opposizioni anche in casi particolarmente delicati come questo e ancor più in clima elettorale: difficili per tendenze all'autosufficienza e scelte unilaterali da una parte, e per diffidenze di fondo e indisponibilità dall'altra parte.
Ma in ogni caso - questo è il punto che mi preme sottolineare - la "soluzione politica", ovvero l'intesa tra gli schieramenti politici, avrebbe pur sempre dovuto tradursi in soluzione normativa, in un provvedimento legislativo che intervenisse tempestivamente per consentire lo svolgimento delle elezioni regionali con la piena partecipazione dei principali contendenti. E i tempi si erano a tal punto ristretti - dopo i già intervenuti pronunciamenti delle Corti di appello di Roma e Milano - che quel provvedimento non poteva che essere un decreto legge


Diversamente dalla bozza di decreto prospettatami dal Governo in un teso incontro giovedì sera, il testo successivamente elaborato dal Ministero dell'interno e dalla Presidenza del consiglio dei ministri non ha presentato a mio avviso evidenti vizi di incostituzionalità. Né si è indicata da nessuna parte politica quale altra soluzione - comunque inevitabilmente legislativa - potesse essere ancora più esente da vizi e dubbi di quella natura.
La vicenda è stata molto spinosa, fonte di gravi contrasti e divisioni, e ha messo in evidenza l'acuirsi non solo di tensioni politiche, ma di serie tensioni istituzionali. E' bene che tutti se ne rendano conto. Io sono deciso a tenere ferma una linea di indipendente e imparziale svolgimento del ruolo, e di rigoroso esercizio delle prerogative, che la Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica, nei limiti segnati dalla stessa Carta e in spirito di leale cooperazione istituzionale. Un effettivo senso di responsabilità dovrebbe consigliare a tutti i soggetti politici e istituzionali di non rivolgersi al Capo dello Stato con aspettative e pretese improprie, e a chi governa di rispettarne costantemente le funzioni e i poteri.

Cordialmente

Giorgio Napolitano



Palazzo del Quirinale


Manifattura dei Gobelins atelier Laforest, L'ultima predica di santo Stefano
arazzieri Jean Sollier e Pierre Desroy, da un dipinto di Abel de Pujol

venerdì 5 marzo 2010

Situazioni pericolose - Cade l’aquilone all’incrocio dei venti

Strage degli innocenti (1611), Pinacoteca Nazionale, Bologna


La strage degli armeni fu genocidio

Per la Commissione Affari Esteri del Senato degli Stati Uniti quello avvenuto tra il 1915 e il 1917 a danno degli armeni fu «genocidio.
Non appena a Washington si è diffusa la notizia che la Commissione aveva approvato il testo, immediata da Ankara è arrivata la notizia che
la Turchia richiamerà in patria il suo ambasciatore.

Si aprono scenari pericolosi per l'occidente.
La Turchia è infatti un membro importante della Nato... un ponte e una frontiera tra occidente e' oriente

Cade l’aquilone all’incrocio dei venti

Una foto,
immagine del demone che nutre
e divora questo nostro tempo
fissa gli artigli del niente,
descrive l’abisso ...

Cade l’aquilone all’incrocio dei venti.

Rivedo l’attimo ed io che esco nel bosco...
muti alberi che piangono,
sentieri che fuggono in cerca di un’ oasi,
rabbia impotente, tristezza. ..
rumori di guerre lontane, ora vicine,
più vicine, bussano all’uscio dei giorni.

giovedì 4 marzo 2010

La bellezza (II)

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Bellezza, nella Grecia classica, è parola inscindibile da quell’idea di armonia, di proporzione delle parti, di misura da cui scaturiscono anche la giustizia, il valore, la sapienza: kalokagathos è la celebre crasi che unisce il bello e il buono, il buono a-, “colui che è atto” non a qualche particolare azione ma aplos, buono “semplicemente”, in quanto tale, in generale: buono a- tutto è colui che in ogni cosa riafferma la sua misura. Si parla qui dunque, in primo luogo, di bellezza di un uomo, dell’uomo bello, e di bontà dell’uomo che è “atto” alla vita, che vive fino in fondo ciò che è. Ciò non esclude che si possa parlare anche di una bellezza sensibile delle forme, della scultura, dell’architettura, o della parola del poeta: la bellezza sensibile è anzi ricercata e acclamata come perfetta armonia, corrispondenza delle parti. Ma tale riconoscimento non ci rinvia ad una settoriale bellezza sensibile dell’arte separata della vita: è la crasi del kalokaagthos ad impedircelo, è la Grecia tutta a negare la separabilità del bello dalla vita nel suo insieme, dalle azioni del quotidiano, dalla polis. .
(da pratiche filosofiche)


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Il tema della bellezza che salverà il mondo viene riportato a galla in età moderna dal grande romanziere russo F. Dostoevskij. In particolare, nell'opera L'Idiota, che vede protagonista un essere assolutamente buono, il principe Myskin, alle prese con un mondo invece completamente malvagio. La missione di questo eroe atipico sarà appunto quella d'instillare il seme della bellezza, di cui lui è portatore, in un contesto di assoluta desolazione spirituale. Missione che lui stesso fallirà inesorabilmente; così come fallì Cristo portatore del divino, ma che tuttavia non fu creduto dagli uomini e per questo fu crocifisso.
La bellezza domina questo capolavoro dostoevskijano, dalla prima all'ultima riga, aleggiandovi ed esercitando sui lettori un'irresistibile fascinazione. Bellezza che, in altri termini, non può che essere di derivazione platonica, visto l'indiscutibile platonismo della cultura ortodossa, di cui Dostoevskij fu uno dei massimi esponenti. Per l'appunto uno dei testi fondativi del misticismo russo s'intitola Filocalia, che vuol dire proprio: amore per la bellezza. Riassumendo: sia Platone che Dostoevskij non credevano in questo mondo, preda della bruttezza, bensì non smisero mai di credere nell'oltremondo della bellezza - intesa come fuoriuscita da un mondo inferiore. Entrambi corroborarono, dunque, la profezia sulla bellezza salvatrice.

mercoledì 3 marzo 2010

Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur

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I disoccupati di Antonio Berni - Wikipedia
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Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur
(mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata )
(Tito Livio, Storie, XXI, 7).
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Mentre a Roma si discute, la crisi economica mette in ginocchio il paese:
tre milioni di italiani sono sotto la soglia di poverta alimentare‎.
Aumenta
la disoccupazione e gli istituti di ricerca raccontano che l'Italia non è un Paese per giovani …..per loro non c’è lavoro, futuro.
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martedì 2 marzo 2010

UMBERTO SABA _ PREGHIERA ALLA MADRE

Pablo Picasso
PREGHIERA ALLA MADRE

Madre che ho fatto soffrire
(cantava un merlo alla finestra, il giorno
abbassava, sì acuta era la pena
che morte a entrambi io m'invocavo)
madre ieri in tomba obliata,
oggi rinata; presenza,
che dal fondo dilaga quasi vena
d'acqua, cui dura forza reprimeva,
e una mano le toglie abile o incauta
l'impedimento;
presaga gioia io sento
il tuo ritorno, madre mia che ho fatto,
come un buon figlio amoroso, soffrire.

Pacificata in me ripeti antichi
moniti vani. E il tuo soggiorno un verde
giardino io penso, ove con te riprendere
può a conversare l'anima fanciulla,
inebbriarsi del tuo mesto viso,
sì che l'ali vi perda come al lume
una farfalla. È un sogno,
un mesto sogno; ed io lo so. Ma giungere
vorrei dove sei giunta, entrare dove
tu sei entrata
- ho tanta gioia e tanta stanchezza! -
farmi, o madre,
come una macchia dalla terra nata,
che in sé la terra riassorbe ed annulla.



Umberto Saba

Il ricordo della madre morta, dopo un periodo di oblio, riemerge nella coscienza del figlio, che ne prova gioia, anche se riaffiorano i sensi di colpa che lo hanno sempre tormentato per averla fatta soffrire e non averla amata abbastanza.
Il poeta vorrebbe tornare fanciullo e riprendere con la madre pacificata dalla morte come è ora, un colloquio sereno, ma sa che si tratta di un sogno impossibile. Non è invece irrealizzabile il desiderio di raggiungerla annullandosi con lei nella terra.
Con questo pensiero della morte si chiude la straziante preghiera alla madre.
La lirica tratta da Cuor morituro (1925 – 1930) - raccolta incentrata sui ricordi dell’infanzia – rievoca il dramma famigliare che ha segnato l’esistenza del Saba e che costituisce il nucleo doloroso di tanta sua poesia.

lunedì 1 marzo 2010

1 Marzo 2010 - primo sciopero europeo dei migranti


Emigrare è un po’ morire .

Muori alla terra che stai lasciando, alla madre che ti ha visto crescere, all’ambiente che ti ha formato, alla sposa…... Perdi l’orizzonte che hai conosciuto, i monti e le strade, le tue strade…
Emigrare è anche bello. È bello conoscere ed apprendere lingue nuove, sensazioni che si muovono in spazi diversi; strade , monti e boschi, fiumi e laghi…. volti ….che si aprono per diventano memoria.E ami le terre avute in dono dalla vita e le strade e le piazze e nuovi ricordi, nel tempo, affollano la mente raccontati in lingue diverse dalla tua e non ci fai caso tanto ti appartengono e sono tuoi.Conosci l’inglese, apprendi il tedesco, hai fatto nuove amicizie e ti è piaciuto. Il lavoro va bene, guadagni bene e sei un giovane in grado di cogliere tutte le opportunità che si presentano … hai lasciato gli argini del borgo antico che ti ha generato … quasi dimenticato i volti e le armonie che quei volti racchiudevano.

Non per tutti e così…

Particolarmente triste, in certe sere, il ricordo del primo e dell’ultimo distacco: il ricordo del travaglio che impose la prima decisione di partire e non conoscevi il mondo. E piangi, in segreto, il domani che ti aspetta fatto di ombre, silenzio. Sono le ombre delle paure che l’ignoto suscita in ciascuno. Vai verso un mondo che non conosci tra gente che non comprendi.Nel paese straniero l’emigrante si sente nessuno, anonimo È duro il lavoro ma più duro è vivere in mezzo a gente che non ti capisce; fra volti enigmatici che ti scrutano come sfingi e senti salire alla gola un moto di pianto e ti chiedi a che giova la tua sofferenza: .. a che serve l’attesa e l’inganno di sentirsi vivi ?Anche avendo un lavoro e un salario, anche avendo una casa e la possibilità di uno svago ti manca intorno il tuo mondo che anche tornando non potrai più ricomporre. E’ il dramma di ogni emigrato.Un dramma sofferto soprattutto la sera quando stanchi ci si getta sul giaciglio ma il sonno non viene e se viene è popolato di fantasmi.Ne hanno esperienza molti emigrati, sia quelli che hanno superato la prova sia quelli che non hanno retto e sono tornati.

La journée sans immigrés: 24h sans nou - primo sciopero dei migranti


Vestito idealmente di Giallo aderisco simbolicamente allo sciopero indetto dal movimento non violento 1 Marzo che riunisce persone di ogni provenienza, genere, fede, educazione e orientamento politico.



Ripenso alle nostre migrazioni, a quando noi italiani, spinti dalla necessità di trovare un lavoro emigravamo verso il ''Nord'' che chiedeva braccia capaci di produrre ricchezza e benessere.
Ripenso ai sentimenti che abbiamo provato lasciando la terra, la casa e la famiglia che ci aveva generati spinti da un male incurabile : il bisogno!

Un fenomeno che riguardò un gran numero di uomini e di donne .


La valigia vecchia
legata con lo spago
ha preso il treno
per andare a nord.

S’è fermata alla stazione
grigia oltre frontiera ...

è scesa
e adesso sta
in un canto ad aspettare
di tornare
verso il sole dei paesi del sud.




Emigrare è un po’ morire .
Muori alla terra che stai lasciando, alla madre che ti ha visto crescere, all’ambiente che ti ha formato, alla sposa…... Perdi l’orizzonte che hai conosciuto, i monti e le strade, le tue strade…

Conosco storie
e odori di terre diverse.

Colline verdi,
ieri,
fresca acqua di fonte.
Vecchia casa ad angolo sul mondo
da te partono
le mie traiettorie
sempre
il giorno dopo il riposo.


"La journée sans immigrés: 24h sans nous"
dicono gli immigrati

L’iniziativa si collega alla protesta che avrà luogo, nello stesso giorno, in Francia . Anche altri paesi, come la Grecia e la Spagna, si stanno mobilitando per mettere insieme sotto la stessa tshirt gialla stranieri, cittadini dell’Unione Europea, seconde generazioni di immigrati e «chiunque condivida il rifiuto del razzismo e di ogni forma discriminatoria». L’iniziativa si ispira al movimento di protesta dei latino-americani negli Stati Uniti nel 2006 contro la politica di immigrazione. In Italia saranno sessanta le piazze che domani si tingeranno di giallo, «per sostenere l’importanza dell’immigrazione per la tenuta socio-economica del Paese», come ha annunciato il comitato
Primo Marzo 2010 - Una giornata senza di No
i.

Tam - Tam
e tutto tace.
Tam,
e sale la protesta.
Tam,
è un coro.
Tam - Tam
sui tubi di ferro per dire rinnovo.
Tam,
poi basta: domani al lavoro
sperando che resti
il rumore del suono