Emigrare è anche bello. È bello conoscere ed apprendere lingue nuove, sensazioni che si muovono in spazi diversi; strade , monti e boschi, fiumi e laghi.. volti ..che si aprono per diventare memoria.E ami le terre avute in dono dalla vita e le strade e le piazze e nuovi ricordi, nel tempo, affollano la mente raccontati in lingue diverse dalla tua e non ci fai caso tanto ti appartengono e sono tuoi.Conosci l’inglese, apprendi il tedesco, hai fatto nuove amicizie e ti è piaciuto. Diritti riservati
sabato 31 dicembre 2011
Buon anno ! auguro ad ognuno di noi serenità, salute e pace nonostante la crisi, gli spread e tutti gli accidenti che, economisti e finanzieri senza scrupoli hanno messo sul nostro presente.
Guantanamera - Wikipedia
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Brevemente…
Siamo davanti a caratteristiche congiunturali di limite, cioè in un momento di valle, non di picco, di un immaginario processo evolutivo.
Abbiamo infatti permesso ai problemi di precederci, puntualmente, e il costo della recessione è davanti a tutti, è pesante.
E’ un momento di valle, dicevo, oscuro e incerto ma ricco di promesse se i governanti dell’Europa cominceranno ad affrontare i problemi con una sola voce.
E’ questa la speranza …
E’ questo l’augurio che faccio ad ognuno di noi, ai cassintegrati, ai disoccupati, ai giovani senza futuro, a quanti non arrivano alla fine del mese e attendono risposte.
Lo faccio con una canzone popolare cubana …che ‘’ha come sfondo le lotte di indipendenza che infiammarono la allora colonia spagnola alla fine del XIX secolo’’..
Attualizzando auspico indipendenza dagli spread e da tutti gli accidenti inventati da economisti e finanzieri privi di scrupoli che, noncuranti del bene comune, pensano solo a se stessi .
BUON ANNO A TUTTI, quindi e grazie per la vostra amicizia e vicinanza. ....
serenità, salute e pace per ogni giorno dell'anno che viene e non solo.
mercoledì 28 dicembre 2011
sabato 24 dicembre 2011
Madre Teresa di Calcutta - E' Natale ...
E' Natale ogni volta che sorridi
a un fratello e gli tendi una mano.
E' Natale ogni volta che rimani
in silenzio per ascoltare l'altro.
E' Natale ogni volta che non accetti
quei principi che relegano gli oppressi
ai margini della società.
E' Natale ogni volta che speri
con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
E' Natale ogni volta che riconosci
con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza.
E' Natale ogni volta che permetti
al Signore di rinascere per donarlo agli altri."
venerdì 23 dicembre 2011
La Natività secondo Botticelli, Caravaggio, Guido Reni, Barocci , Lotto
Botticelli |
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta
Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge.
Guido Reni |
Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore.
Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama».
Lorenzo Lotto |
giovedì 22 dicembre 2011
Che la rievocazione della discesa del Figlio di Dio sulla terra sia per tutti fonte di gioia e di speranza per ogni giorno della vita.
Felicità, salute e pace. Parole d’amore accendano i giorni … tutti i giorni… ad Multos Annos !
Felicità, salute e pace. Parole d’amore accendano i giorni … tutti i giorni… ad Multos Annos !
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Jean-Michel Folon - Wikipedia
Buon Natale !
ti contempliamo
nella povertà di Betlemme,
rendici testimoni del tuo amore,
di quell'amore
che ti ha spinto a spogliarti
della gloria divina,
per venire a nascere
fra gli uomini
e a morire per noi.
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Infondi in noi il tuo Spirito,
perché la grazia dell'Incarnazione
susciti in ogni credente l'impegno
di una più generosa corrispondenza
alla vita nuova
ricevuta nel Battesimo.
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Fa' che la luce di questa notte
più splendente del giorno
si proietti sul futuro
e orienti i passi dell'umanità
sulla via della pace.
Tu, Principe della Pace,
tu, Salvatore nato oggi per noi,
cammina con la Chiesa
sulla strada che le si apre dinanzi
nel nuovo millennio.
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( Giovanni Paolo II)
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mercoledì 21 dicembre 2011
martedì 20 dicembre 2011
Gianni Grillo, un poeta e scrittore contemporaneo
Renato Guttuso - Wikipedia
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Alla controra
.Oggi è una di quelle giornate camurriosamente sciroccose. Tipica di ogni inizio d’estate qui a Marzamemi: l’aria appena smossa da qualche sbrinziata di vento, col sole che pare appiso immobile nel cielo e contorna nette le ombre. Me ne sto chiuso dentro la putìa all’ura ‘i cauru, le pale del ventilatore che girano, un languore alla vucca dell’anima: è già tardi e ancora penso a cosa mi posso preparare. Silenzio assoluto, nessuno peri peri, anche i cani vinti dalla calura, hanno smesso di rincorrersi e sonnecchiano ansimanti all’ombra della “Casa del marinaro”.
Un improvviso attenuarsi della luce mi dà la sensazione che sia entrato qualcuno. Ma è soltanto un’impressione. Sono un poco sciassato, seduto con la testa riversa sul bancone, un forte odore di melanzane fritte che viene dalla signora che abita di fronte mi fa ricordare che non ho ancora mangiato. Penso di andare in cucina a prepararmi qualcosa. Mi sollevo dalla sedia e l’impressione diventa percezione: no, non sono solo.
All’ingresso, tra i battenti della porta accostati, si staglia incerta la figura di una donna dalla pelle color del latte di capra appena munto. Bianca, diafana, che a vederla sembra un pilu di palumma che abbola leggero nell’aria. La circonda l’intenso profumo dei gelsomini di notte. Le gambe mi si ammosciano. Lo scirocco fa brutti scherzi,penso. Ma non me la sono immaginata, è viva, messa lì al centro della stanza, con le gambe aperte e i piedi minuti dentro a sandali di cuoio. Le unghia pittate di rosso corallo spiccano sul bianco della pelle ed il nero della vestina.
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Museo Guttuso
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La ragazza ha un sorriso indeciso e due occhi di un azzurro intenso che mi stanno interrogando timidi.
< Vuole bere o magari ha fame? >, faccio con la voce che mi resta in gola.
< Quello che vuoi tu>, mi risponde, mentre l’intera corporatura, alta ma abbastanza minuta, sembra sciogliersi.
< Stavo appunto pensando di prepararmi qualcosa >.
E allora me la porto in cucina. Ma prima chiudo a chiave dall’interno la porta del negozio dopo avervi appeso il cartello “Sono andato a mangiare”, che è pure vero; e mi avvio a cucinare calmo e col cuore in festa, sicuro che i paesani sfacinnati, con questo caldo non hanno la valìa di uscire in strada. E comunque il cartello li terrà lontani.
Tra i fornelli sono molto bravo; retaggio di quando ho fatto il militare, da imboscato nelle cucine. In un niente riesco a preparare certe prelibatezze che chi ha la fortuna di assaggiarle resta amminchiunutu e pretende il bis. L’odore di melanzane fritte mi ha messo un disio di caponata; e che caponata sia!
Per uno sprattico sarebbe un’operazione lunga e complicata, ma per me che negli anni ho imparato a dovere dare spesso arenzia ai forestieri che si presentano accaldati e affamati in cerca di qualcosa da mangiare, è diventata quasi un’abitudine, come ad ottemperare un’opera di misericordia. E poi cucinare a me piace, specie quando riesco a dare spazio alla fantasia, apportando delle varianti alle ricette classiche: mi fa sentire bravo ed importante.
< Vuole bere o magari ha fame? >, faccio con la voce che mi resta in gola.
< Quello che vuoi tu>, mi risponde, mentre l’intera corporatura, alta ma abbastanza minuta, sembra sciogliersi.
< Stavo appunto pensando di prepararmi qualcosa >.
E allora me la porto in cucina. Ma prima chiudo a chiave dall’interno la porta del negozio dopo avervi appeso il cartello “Sono andato a mangiare”, che è pure vero; e mi avvio a cucinare calmo e col cuore in festa, sicuro che i paesani sfacinnati, con questo caldo non hanno la valìa di uscire in strada. E comunque il cartello li terrà lontani.
Tra i fornelli sono molto bravo; retaggio di quando ho fatto il militare, da imboscato nelle cucine. In un niente riesco a preparare certe prelibatezze che chi ha la fortuna di assaggiarle resta amminchiunutu e pretende il bis. L’odore di melanzane fritte mi ha messo un disio di caponata; e che caponata sia!
Per uno sprattico sarebbe un’operazione lunga e complicata, ma per me che negli anni ho imparato a dovere dare spesso arenzia ai forestieri che si presentano accaldati e affamati in cerca di qualcosa da mangiare, è diventata quasi un’abitudine, come ad ottemperare un’opera di misericordia. E poi cucinare a me piace, specie quando riesco a dare spazio alla fantasia, apportando delle varianti alle ricette classiche: mi fa sentire bravo ed importante.
La faccio assittare comoda nella poltrona di vimini comprata alla fiera, da un marocchino che ne giurava l’originalità magrebina; e lei comincia ad aprirsi, senza che io le faccia particolari domande. Si chiama Rasa ed è lituana. < Conosci Vilnius? È la capitale. > La guardo ammammaluccuto; mai sentita nominare prima, al meno così mi pare al momento. < Ma tu non sei qui di passaggio; parli troppo bene l’italiano. > Mi guarda intensamente e sorride divertita. A me sembra di annaspare nell’azzurro del suo sguardo. < Sono in Italia da cinque anni oramai. Studio informatica applicata alle scienze bancarie, presso l’università di Perugia. > Dentro di me le domande abortiscono prima di vedere la luce delle labbra. Già mi ha messo in soggezione ed ho paura di fare un’altra brutta fiura. Mi limito anche a guardarla per paura di anniare nel mare dei suoi occhi. Non riesco a concentrarmi. Ma intanto mi ha preso un disìo di mangiarmela!
Taglio le melanzane a cubetti e le metto in una ciotola con acqua salata. Forse ho abbondato; ma chi se ne importa? Avanzerà per domani: la caponata, mangiata il giorno dopo è sempre più saporita! La buccia delle melanzane è lucida e morbida, e mentre la maneggio mi sembra di carezzare la sua pelle. Sento che mi guarda attenta. Avverto il suo respiro come una promessa trattenuta. Prendo il sedano dal frigo e lo lascio bollire per cinque minuti. Metto i capperi nell’acqua calda per togliere il sale. Mi chino per prendere la padella, sotto il lavandino. Avverto il peso del suo sguardo e per un attimo sbando, come travolto dall’onda di uno tzunami. Verso l’olio e la osservo regalandole un sorriso che vuole essere una promessa. La cipolla mi fa lacrimare; gli occhi si fanno lucidi e mi danno un’aria indifesa, rassicurante, così da dissimulare le mie vere intenzioni. Non so se in maniera tale da tranquillizzarla. O, vai a capirle le donne, forse in cuor suo ne rimane delusa.
Le olive! A forza di fantasticare, quasi me ne dimenticavo. Quattro pomodori maturi, li sbuccio e, senza semi, li aggiungo. Si forma una salsina densa e rossa; giro con la cucchiaia di legno mentre accenno, fischiettando, “ciuri ciuri”. Lo sento: “ho il cuore nello zucchero”! Nella vita ci vuole passione e pazienza, vado rimuginando; non so se sto pensando alla caponata, però. Le mie mani si muovono tra i fornelli come guidate da un ritmo silenzioso. Strizzo le melanzane, le asciugo tirando un forte sospiro, le friggo. Metto il tutto nella salsa, mescolo per cinque minuti a fuoco molto lento. E’ quasi pronta, manca ancora la cosa più importante: l’agrodolce. Sembra un dettaglio, ma è fondamentale indovinare il dosaggio. Mentre lascio decantare il tutto, quasi in cerca di ispirazione, mi avvicino a lei e le rubo una carezza. Lei tace, ma ricambia con un sorriso imbarazzato. E’ il segnale che attendevo. Assaggio un pizzico di salsina e accosto le labbra ancora umide alla sua bocca. Per un attimo resto stordito, ma torno subito ai fornelli. In un bicchiere d’aceto bianco faccio sciogliere un cucchiaio colmo di zucchero, lo verso nel tegame, poi aggiungo mandorle e basilico. Il rito si è consumato.
.Taglio le melanzane a cubetti e le metto in una ciotola con acqua salata. Forse ho abbondato; ma chi se ne importa? Avanzerà per domani: la caponata, mangiata il giorno dopo è sempre più saporita! La buccia delle melanzane è lucida e morbida, e mentre la maneggio mi sembra di carezzare la sua pelle. Sento che mi guarda attenta. Avverto il suo respiro come una promessa trattenuta. Prendo il sedano dal frigo e lo lascio bollire per cinque minuti. Metto i capperi nell’acqua calda per togliere il sale. Mi chino per prendere la padella, sotto il lavandino. Avverto il peso del suo sguardo e per un attimo sbando, come travolto dall’onda di uno tzunami. Verso l’olio e la osservo regalandole un sorriso che vuole essere una promessa. La cipolla mi fa lacrimare; gli occhi si fanno lucidi e mi danno un’aria indifesa, rassicurante, così da dissimulare le mie vere intenzioni. Non so se in maniera tale da tranquillizzarla. O, vai a capirle le donne, forse in cuor suo ne rimane delusa.
Le olive! A forza di fantasticare, quasi me ne dimenticavo. Quattro pomodori maturi, li sbuccio e, senza semi, li aggiungo. Si forma una salsina densa e rossa; giro con la cucchiaia di legno mentre accenno, fischiettando, “ciuri ciuri”. Lo sento: “ho il cuore nello zucchero”! Nella vita ci vuole passione e pazienza, vado rimuginando; non so se sto pensando alla caponata, però. Le mie mani si muovono tra i fornelli come guidate da un ritmo silenzioso. Strizzo le melanzane, le asciugo tirando un forte sospiro, le friggo. Metto il tutto nella salsa, mescolo per cinque minuti a fuoco molto lento. E’ quasi pronta, manca ancora la cosa più importante: l’agrodolce. Sembra un dettaglio, ma è fondamentale indovinare il dosaggio. Mentre lascio decantare il tutto, quasi in cerca di ispirazione, mi avvicino a lei e le rubo una carezza. Lei tace, ma ricambia con un sorriso imbarazzato. E’ il segnale che attendevo. Assaggio un pizzico di salsina e accosto le labbra ancora umide alla sua bocca. Per un attimo resto stordito, ma torno subito ai fornelli. In un bicchiere d’aceto bianco faccio sciogliere un cucchiaio colmo di zucchero, lo verso nel tegame, poi aggiungo mandorle e basilico. Il rito si è consumato.
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Artisti: Renato Guttuso.
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Accendo il ventilatore. Sulla tavola, il pane di casa e una bottiglia di “Damaschino” bianco gelato. Mi siedo accanto a Rasa e in un silenzio quasi mistico attacchiamo quel cibo che fin dall’inizio mi tormenta l’anima e la pancia. Lei si lascia condurre docilmente e con gesti calmi mangia lentamente come una vecchia compagna di vita. L’imbarazzo iniziale sembra svanito e un’atmosfera di profonda intimità sembra rivestire le pareti del mio negozietto.
La caponata è tiepida, sugosa. Le melanzane colano un umore gelatinoso, e quel poco di rosa dell’estratto di pomodoro ha il colore della pelle delle bionde. I capperi, nascosti tra gli ingredienti, li puoi indovinare quando li schiacci tra lingua e palato. La cipolla è talmente fina, quasi evanescente, che nemmeno te ne accorgi, e si accompagna in maniera ideale con le altre verdure. Avvicino la bottiglia col vetro verde ricoperto di brina al viso di Rasa. Mi regala un sorriso colmo di sollievo. Verso un bicchiere abbondante e quasi all’unisono parte il cin cin! Un dolce odore di pesca bianca, pompelmo, foglie di pomodoro e timo selvatico si spande nell’aria. Bevo a piccoli sorsi e le note speziate e agrumate mi solleticano il naso mescolandosi con l’odore di donna che mi si è materializzata all’improvviso in maniera così insperata. Lei non parla, ma mi sorride, non desidera altro che io mi avvicini un po’ di più. La sfioro leggermente, con la lingua piatta e morbida. Sospira un poco, si vede che non ce la fa più; ma abbiamo deciso in maniera tacita, che prima dobbiamo finire quella pietanza il cui profumo ora minaccia ora promette. L’attesa non può che aumentare il desiderio. Il piatto è quasi vuoto quando mi accorgo del caldo insopportabile e mi tolgo la maglietta. Le sorrido e farfuglio una scusa: <…il caldo,…il vino >. Lei annuisce comprensiva e di botto si libera della sua veste di cotone nero, esibendo il candore della pelle.
< Così va meglio >, sospira.
Allora mi alzo e sollevandola di peso la conduco nell’angolo più buio del negozio. Quasi l’appendo al muro, a lato di un mazzo di peperoncini, all’altezza dei miei occhi. Il silenzio si spande denso di misteri come quello di una cattedrale durante un rito solenne. Ascolto il suo respiro ansioso sul collo, i suoi occhioni blu perduti chissà in quale savana. Le gambe sembrano tralci di vite innestate alle mie. Sento il piacere spandersi per ogni centimetro della mia pelle. Devo controllarmi, gustarla lentamente, come si fa con la caponata. Comincio a muovermi sapientemente, senza esitazione, mentre sento gli artigli delle sue dita che affondano dietro la nuca. Se poco rallento il ritmo, per riprendere ciato, lei mi si avvinghia di più, procurandomi una fitta dolorosa dietro la schiena. Vorrei non dovesse finire mai, mentre avverto che sta per scoppiare. I mugolii si fanno sempre più intensi ed ecco che si mette ad urlare. Faccio appena in tempo a tapparle la bocca con la mano. Non vorrei diventare la novella estiva per i vicini; meglio lasciare che il segreto resti tra i confini dei nostri corpi. Anch’io, quasi all’istante, mi perdo nel suo mare accogliente. Ancora un attimo e mi volto di fianco. Di botto lei si alza e sparisce; penso sia andata di là per ricomporsi. Intanto vino e caponata fanno sentire i primi effetti. Approfittando di questo momento di solitudine mi sciolgo in un rutto liberatorio.
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La caponata è tiepida, sugosa. Le melanzane colano un umore gelatinoso, e quel poco di rosa dell’estratto di pomodoro ha il colore della pelle delle bionde. I capperi, nascosti tra gli ingredienti, li puoi indovinare quando li schiacci tra lingua e palato. La cipolla è talmente fina, quasi evanescente, che nemmeno te ne accorgi, e si accompagna in maniera ideale con le altre verdure. Avvicino la bottiglia col vetro verde ricoperto di brina al viso di Rasa. Mi regala un sorriso colmo di sollievo. Verso un bicchiere abbondante e quasi all’unisono parte il cin cin! Un dolce odore di pesca bianca, pompelmo, foglie di pomodoro e timo selvatico si spande nell’aria. Bevo a piccoli sorsi e le note speziate e agrumate mi solleticano il naso mescolandosi con l’odore di donna che mi si è materializzata all’improvviso in maniera così insperata. Lei non parla, ma mi sorride, non desidera altro che io mi avvicini un po’ di più. La sfioro leggermente, con la lingua piatta e morbida. Sospira un poco, si vede che non ce la fa più; ma abbiamo deciso in maniera tacita, che prima dobbiamo finire quella pietanza il cui profumo ora minaccia ora promette. L’attesa non può che aumentare il desiderio. Il piatto è quasi vuoto quando mi accorgo del caldo insopportabile e mi tolgo la maglietta. Le sorrido e farfuglio una scusa: <…il caldo,…il vino >. Lei annuisce comprensiva e di botto si libera della sua veste di cotone nero, esibendo il candore della pelle.
< Così va meglio >, sospira.
Allora mi alzo e sollevandola di peso la conduco nell’angolo più buio del negozio. Quasi l’appendo al muro, a lato di un mazzo di peperoncini, all’altezza dei miei occhi. Il silenzio si spande denso di misteri come quello di una cattedrale durante un rito solenne. Ascolto il suo respiro ansioso sul collo, i suoi occhioni blu perduti chissà in quale savana. Le gambe sembrano tralci di vite innestate alle mie. Sento il piacere spandersi per ogni centimetro della mia pelle. Devo controllarmi, gustarla lentamente, come si fa con la caponata. Comincio a muovermi sapientemente, senza esitazione, mentre sento gli artigli delle sue dita che affondano dietro la nuca. Se poco rallento il ritmo, per riprendere ciato, lei mi si avvinghia di più, procurandomi una fitta dolorosa dietro la schiena. Vorrei non dovesse finire mai, mentre avverto che sta per scoppiare. I mugolii si fanno sempre più intensi ed ecco che si mette ad urlare. Faccio appena in tempo a tapparle la bocca con la mano. Non vorrei diventare la novella estiva per i vicini; meglio lasciare che il segreto resti tra i confini dei nostri corpi. Anch’io, quasi all’istante, mi perdo nel suo mare accogliente. Ancora un attimo e mi volto di fianco. Di botto lei si alza e sparisce; penso sia andata di là per ricomporsi. Intanto vino e caponata fanno sentire i primi effetti. Approfittando di questo momento di solitudine mi sciolgo in un rutto liberatorio.
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Renato Guttuso - Il Bosco d'amore
lunedì 19 dicembre 2011
Frontiera (Prima di cena)
I giocatori di carte - Wikipedia
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FRONTIERA (prima di cena)
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Passo un’ora prima di cena
dopo un giorno oltre frontiera.
Se scendo è buio
e l’orizzonte inquadrato
racconta una teoria di luci disperse:
i confini del lago.
Il corpo assapora momenti di pace
ma ogni cosa rientra nella solitudine.
Ci vorrebbe una donna per cambiare il discorso,
per riempire la casa ed accenderla
ma giù, a quest’ora, dopo un giorno oltre frontiera
resta solo chi gioca a carte.
Dovrei uscire per cercare
ma non escono le donne di famiglia la sera.
Resta il flipper, il biliardo,
i soliti che al bar raccontano il fatto del giorno.
Viviamo per andare oltre frontiera
spinti da un male incurabile:
il bisogno!
dopo un giorno oltre frontiera.
Se scendo è buio
e l’orizzonte inquadrato
racconta una teoria di luci disperse:
i confini del lago.
Il corpo assapora momenti di pace
ma ogni cosa rientra nella solitudine.
Ci vorrebbe una donna per cambiare il discorso,
per riempire la casa ed accenderla
ma giù, a quest’ora, dopo un giorno oltre frontiera
resta solo chi gioca a carte.
Dovrei uscire per cercare
ma non escono le donne di famiglia la sera.
Resta il flipper, il biliardo,
i soliti che al bar raccontano il fatto del giorno.
Viviamo per andare oltre frontiera
spinti da un male incurabile:
il bisogno!
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sabato 17 dicembre 2011
Buon Natale !
Era la sera di Natale racconta il maestro Grubber: “la piccola Chiesa dominava con la sua torre campanaria gli innevati tetti dell’abitato circostante, come una gallina che protegge i suoi pulcini.
Nella canonica il giovane sacerdote Josef ...Moor, di solo 26 anni, ripassava il Vangelo preparando l’omelia di quella notte. Un bussare alla porta rompe il silenzio. E’ una contadina che chiama il Parroco perché visiti un bambino nato in quella notte. Senza indugio, il sacerdote lascia il calore della sua casa e dopo una faticosa camminata in montagna giunge alla umile baita dove era nato il bambino.
Appena di ritorno, solo, solo, illuminato dal tenue chiarore delle stelle che si riflette sulla bianca coltre di neve, il Padre Moor medita sulla scena che ha appena visto.
Quel bambino, quella famiglia di contadini, quella umile casetta lo hanno impressionato.
Gli ricordano un altro bambino, un altro matrimonio, un’altra casetta in Betlemme di Giudea. Dopo la Messa di Mezzanotte padre Moor, poiché non riusciva a dormire, compose un poema che terminò scrivendo il testo di Stille Nacht.
***
Stille Nacht, heilige-Nacht (notte silenziosa, notte santa)... Così comincia il più tenero dei canti natalizi. La sua melodia esprime con proprietà la unzione della Natività di un tempo, quando al centro delle commemorazioni vi era la Sacra Famiglia, gli angeli, i Magi e i pastori.
lunedì 12 dicembre 2011
I miei pensieri
Vincent van Gogh - Wikipedia
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Misuro i miei limiti di uomo e penso che l’Amore vince il niente e profuma di eternità.
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domenica 11 dicembre 2011
Buonanotte !
Sposta le tende, amico di Dio e amico mio...
calpesta l'erba, attendi la notte che viene al tramontare del sole,
e sui tuoi passi alla luce dei lampioni
potrai intravedere l'ombra di un tu fare compagnia alla tua solitudine...
Ascolta la voce del Silenzio, Mistero dell'Eterno,
tu che abiti in un cuore diroccato...
Fa' in modo che l'altro entri nel tuo cuore a tutte le ore
e lasci tutto spalancato e ti costringa a vivere con il cuore aperto,
che entri nella tua vita e prenda di te quel che desidera:
vivrai in un perenne dialogo d'amore.
Il chiarore dell'aurora plachi l'angoscia della tua disperazione
e le stelle cui ogni notte affidi i tuoi sogni di luce...
ritirandosi discrete alla luce del giorno,
ti restituiranno la speranza del domani:
la certezza di poter essere "amore"che sa farsi accanto.
(preghiera dei monaci carmelitani)
calpesta l'erba, attendi la notte che viene al tramontare del sole,
e sui tuoi passi alla luce dei lampioni
potrai intravedere l'ombra di un tu fare compagnia alla tua solitudine...
Ascolta la voce del Silenzio, Mistero dell'Eterno,
tu che abiti in un cuore diroccato...
Fa' in modo che l'altro entri nel tuo cuore a tutte le ore
e lasci tutto spalancato e ti costringa a vivere con il cuore aperto,
che entri nella tua vita e prenda di te quel che desidera:
vivrai in un perenne dialogo d'amore.
Il chiarore dell'aurora plachi l'angoscia della tua disperazione
e le stelle cui ogni notte affidi i tuoi sogni di luce...
ritirandosi discrete alla luce del giorno,
ti restituiranno la speranza del domani:
la certezza di poter essere "amore"che sa farsi accanto.
(preghiera dei monaci carmelitani)
giovedì 8 dicembre 2011
Preghiera alla Madonna da parte di S. Bernardo
Dante Alighieri
Preghiera alla Madonna da parte di S. Bernardo
"Canto XXXIII Paradiso"
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Vergine madre, figlia del tuo Figlio
umile ed alta più che creatura
termine fisso d’eterno consiglio
tu sé colei che l’umana natura
nobilitasti sì che il suo Fattore
non disdegnò di farsi sua fattura
nel ventre tuo si riaccese l’amore
per lo cui caldo nell’eterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra i mortali
sei di speranza fontana vivace.
Donna, sei tanto grande e tanto vali
che, qual vuol grazia ed a te non ricorre
sua disianza vuol volar senz’ali.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al domandar precorre,
in te misericordia, in te pietate
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate.
mercoledì 7 dicembre 2011
Li Bai - La luna sul valico di montagna
HAN WU SHEN pittore biografia opere
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Una pallida luna spunta da dietro il Tianshan,
in un mare di larghe nuvole scure.
Un vento che ha percorso quasi mille leghe
soffia forte sullo Yumenguan.
in un mare di larghe nuvole scure.
Un vento che ha percorso quasi mille leghe
soffia forte sullo Yumenguan.
I nostri scendono dalla strada di Baideng,
i barbari li spiano dalle rive del Lago Azzurro.
i barbari li spiano dalle rive del Lago Azzurro.
L’attacco è imminente e si sa che dal campo di battaglia
ci sarà chi non farà ritorno.
ci sarà chi non farà ritorno.
Perciò i soldati scrutano il confine
e pensano alle loro famiglie
ed un’espressione di intensa pena
si dipinge sui loro volti.
e pensano alle loro famiglie
ed un’espressione di intensa pena
si dipinge sui loro volti.
E in questa stessa notte, nelle case lontane,
c’è chi singhiozza e sospira e non riesce ad addormentarsi.
c’è chi singhiozza e sospira e non riesce ad addormentarsi.
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Li Bai
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Art by Han Wu Shen
martedì 6 dicembre 2011
È stato il succedersi degli anni
Munch
.
…. È stato il succedersi degli anni,
e lungo gli anni
il succedersi dei governi
a costruire l’iniquità di oggi.
.
Il governo dei tecnici [ ....... ],
stretto dall’eredità del passato…
dai paletti alzati dai poteri dominanti
e da un' Europa incapace di diventare Nazione
altro non poteva fare.
Forse !
Strepita il sindacato
inghiotte bocconi amari
colpevolmente discutono i partiti
Assisto !
Che altro potrei fare
se non ripetere, lo faccio da anni,
‘’un paese, un sistema paese
che dimentica e umilia i suoi giovani
non ha futuro’’.
.
Munch