Norberto Proietti (Spello, 18 settembre 1927 – Spello, 9 agosto 2009) è stato un pittore e scultore italiano.
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 È stato uno dei più famosi pittori naif, noto per i suoi frati in 
miniatura sullo sfondo di paesaggi medievali.[1] Nell'ambito della
 scultura, l'artista è noto per le opere realizzate modellando il legno 
di ulivo e per il Pellegrino di pace, posto davanti alla Basilica 
superiore di Assisi, dedicato a San Francesco. (Wikipedia)
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Vittorio Sgarbi lo ha recensito: 
Norberto Proietti nasce a Spello nel 
1927. Non poteva, viste le sue propensioni successive, nascervi per 
caso: Spello è uno dei borghi medievali più integri e poetici 
dell'Umbria, immerso in una natura lussureggiante e serena, arricchita 
dalle testimonianze artistiche di Pinturicchio e di Perugino, oltre che 
di un importante "minore" come Cola Petruccioli o di un grande moderno 
come Prampolini. La scelta artistica di Norberto non è comunque 
immediata. Le difficoltà economiche della famiglia lo costringono a 
lavorare precocemente come sarto presso la bottega di uno zio, 
seguendolo nei suoi trasferimenti, tra gli anni Quaranta e i primissimi 
anni Cinquanta, da Roma a Bergamo. Non mancano di tanto in tanto le 
prime manifestazioni di spirito creativo. Leggo che il giovane Proietti,
 come nelle più classiche leggende sulla formazione degli artisti, 
esibiva il proprio talento abbozzando qualche figura con la punta della 
forbici o completando un'opera iniziata dal fratello Guglielmo. 
Norberto, tornato nel 1951 a Spello dove ha avviato un'attività 
sartoriale autonoma, non sa ancora che sarà presto l'arte ad occupare 
interamente la sua esistenza. La svolta avviene d'improvviso. È una 
rivelazione silenziosa, un "uragano" e non un'apparizione miracolosa, 
eppure allo stesso modo dirompente nelle sue drastiche conseguenze: «.. 
.quella che può apparire una dilettantesca distrazione a poco a poco 
comincia a diventare per Norberto un'esigenza vitale, anche se 
inconscia. E un giorno, servendosi dello stucco lasciato casualmente 
nella sua abitazione da alcuni imbianchini, prepara il fondo di una 
tavoletta, lo incide e lo colora, iniziando per così dire a delineare 
una prima forma di tecnica espressiva del tutto personale. Siamo nel 
1955...» (L.Luisi). La scoperta del proprio destino, come in ogni favola
 che si rispetti, conduce presto al successo.
 
 
 
Dedicatosi esclusivamente 
alla pittura dal 1961, dopo alcune sapienti prove nella scultura, 
Norberto espone nel 1962 in Lussemburgo e nel 1965-1966 in America, a 
Memphis, offrendosi subito al mercato internazionale. Questa dimensione 
dell'artista viene sancita definitivamente dalla sua presenza nei 
Festival dei Due Mondi di Spoleto, quasi continua negli anni compresi 
tra il 1967 e il 1974. È in questa fase che la produzione di Norberto 
riesce a sovrapporsi alle tendenze dell'arte naïf, divenuta in breve 
tempo fenomeno di grande fortuna popolare e commerciale. Proprio il 
massimo promotore del naïf italiano, Cesare Zavattini, diventa un 
convinto estimatore di Norberto e gli fa attribuire il Premio Suzzara 
(1971), l'Oscar dell'arte "ingenua" nazionale. Da allora la storia bella
 di Norberto ha conosciuto una continua coerente maturazione.Chiunque 
abbia visto anche un solo quadro di Norberto, specie se realizzato negli
 anni Settanta e Ottanta, non avrà faticato affatto a identificare 
totalmente il mondo poetico dell'artista con quello della favola. Il 
Medioevo fa da sfondo fisico, temporale e spirituale ai dipinti 
dell'artista. Non è un Medioevo propriamente storico o filologico, ma è 
una categoria dell'anima alla quale Norberto attribuisce il merito di 
aver conseguito la perfetta equazione tra uomo, Dio e natura. Ci sono 
quadri, tra i più riusciti del periodo naïf, nei quali questa coscienza 
viene espressa in composizioni lucidissime con la parte superiore 
occupata dal solito borgo turrito e la parte inferiore dai campi 
lavorati. Due metà equivalenti anche nelle dimensioni, due emisferi, 
quello della città e della campagna, allo stesso tempo uguali e 
contrari. Non cercate nelle immagini di Norberto altro Dio che non sia 
nelle cose, nelle persone o negli eventi illustrati dal pennello. La 
natura è immanenza assoluta e genera spontaneamente nell'uomo il 
sentimento della religione, l'ammirata e rasserenante contemplazione del
 creato, la laude francescana in gloria della perfezione cosmica. 
Nessuna incertezza, il Medioevo metafisico di Norberto è il migliore dei
 mondi possibili. Niente potrebbe intaccare l'aureo equilibrio che 
contrappone solo apparentemente Spello alla vicina Assisi e il bosco 
alla campagna, misurato da soavi alternanze di rette e di curve come in 
un paesaggio gotico, illuminato da colori cristallini come in un diorama
 di vetro. E' un' Umbria sublimata in un magico eden quella di Norberto,
 al cui confronto quella vera, pur bellissima, sembra una copia naïve. 
Quanti monaci, piccoli e attivissimi come formiche nei dipinti di 
Norberto. Credo che la loro presenza venga dettata da ragioni più serie,
 ragioni di intima coerenza con il mondo poetico dell'artista. Se il 
Medioevo metafisico dell'Umbria sublimata è il paradiso in terra, i 
monaci esprimono la condizione ideale attraverso la quale l'uomo può 
mettersi in relazione con esso per godere correttamente dell'armonia 
mundi. Ora et labora, pregare e lavorare, onorare la natura con la 
devozione religiosa e l'operosità manuale. Anche Norberto deve sentirsi a
 suo modo un monaco, impegnato a glorificare con il talento artistico e 
con la fatica del mestiere ciò che ama così profondamente. E Francesco 
d'Assisi è il suo più alto modello morale e intellettuale: la vita va 
spesa lodando la meraviglia del creato e le gioie della comunione di 
Dio. Se si è capaci di tanto, se si riesce a vedere la bellezza delle 
cose nella loro "povertà", nella loro essenza divina che non ha bisogno 
di ornamento alcuno, allora si può intendere il segreto della natura, si
 può parlare con gli uccelli e rabbonire il lupo cattivo. È questa la 
vera, unica santità a cui aspira il pacifico mondo di Norberto che non 
conosce dolore e peccato. Norberto non ama essere considerato un naïf. 
Coloro che si sono occupati di lui sembrano concordare, salvo poi 
trattarlo nella pratica sempre come un naïf . Nessuno si nasconde che la
 produzione artistica più conosciuta di Norberto sia nella scia del 
"boom" commerciale del gusto naïf. 
 
Nessuno potrebbe negare che i 
caratteri stilistici di questa produzione rientrino benissimo nei binari
 generici del naïf nazionale e internazionale.. La riluttanza di 
Norberto a indossare la camicia troppo stretta del naïf è comunque 
comprensibile e del tutto fondata. Lo dicono non le sue convinzioni, ma 
le opere che hanno preceduto e seguito quelle più prevedibilmente 
definibili naïf. La pittura di Norberto ha una matrice intrecciata 
saldamente, anche quando inconsciamente, con la più significativa 
tradizione primitivistica italiana da Alberto Magri a Massimo Campigli. 
Basta osservare le sue prime opere, inspiegabilmente sottovalutate. 
L'Autoritratto e Nanda (1959) respirano l'aria di Strapaese, mostrando 
affinità con l'opera di Rosai. Poco importa che queste ascendenze 
derivino da precise conoscenze: sono gli intenti e gli esiti finali a 
stabilire queste involontarie e neanche troppo singolari parentele. 
Colpisce particolarmente, in questi dipinti d'esordio, la straordinaria 
densità della materia pittorica. È una densità tutta "primitiva" che 
niente ha a che fare con le superfici linde e glassate del naïf più 
convenzionale, vicina nella sua composizione e nel suo effetto a quella 
dell'intonaco grezzo; una crosta scabra che scompone le luci e le ombre 
in delicate nuances pulviscolari, offrendosi al tatto non meno che 
all'occhio. Paradossalmente il Norberto ufficialmente naïf è molto meno 
"ingenuo" e istintivo del Norberto primitivista. L'artista acquisisce 
un'inedita sapienza compositiva, imparando a costruire articolati 
scenari spaziali ai quali spetta la funzione di contenere e sviluppare 
la narrazione aneddotica. Si è voluto mettere in relazione questa nuova 
maturità di Norberto con la conoscenza approfondita dei grandi cicli 
pittorici - il Giotto di Assisi, o chi per lui, in primis, ma anche il 
Simone Martini delle Storie agostiniane - dell'Umbria e della Toscana 
trecentesca. C'è certamente del vero in queste valutazioni, ma non si 
trascuri la costante natura novecentesca della maniera di Norberto, 
ancora una volta riconducibile, sebbene per altri e più remoti versanti,
 alla fucina primitivistica. Osserviamo le griglie cubiste evocate da 
certi dipinti di gusto naïf composti su impianti geometrici 
particolarmente rigorosi. In questo spirito, com'è noto, si è espresso 
anche il Sironi dei primissimi anni Venti. Bene, guardate un borgo 
medievale di Norberto come quelli de I campioni o di Struttura, 
guardatene la paratassi compositiva rigidamente geometrica, empirica ma 
precisa come una scacchiera, e ditemi se non sono la controparte 
popolareggiante delle celebri periferie urbane dipinte da Sironi tra il 
1920 e il 1922. Qui la magia domestica della vita a dimensione d'uomo, 
là la desolante atarassia della vita a dimensione di macchina, qui il 
presente che si ritrova nel passato, là il presente che si perde nel 
futuro; è però equivalente, fatte le debite distinzioni di peso, la 
tendenza all'astrazione del dato reale in una figurazione ideale fatta 
di volumi piatti, di finestre buie e profonde come buchi, di piani netti
 di luce e di ombra. E' davanti a confronti del genere che la 
classificazione di naïf assegnata a Norberto mostra tutta la sua 
debolezza critica, non fornendo alcun elemento chiarificatore sulla 
ricerca formale intrapresa dall'autore. Il Norberto degli anni 
Settanta-Novanta ordina, geometrizza, semplifica, codifica in un sermo 
linguistico d'immediata efficacia comunicativa quegli istinti, quelle 
sommarietà figurative, quelle virulenze materiche che il primo Norberto 
quello davvero naïf, aveva lasciato liberi di esprimersi. C'è stato, 
insomma, un Norberto del primitivismo espressionista al quale ha fatto 
seguito un Norberto "primitivo-classicista"; ma sempre di primitivismo 
si tratta, e non è detto che la scorza impulsiva dell'artista di Spello,
 anche se ormai sottomessa a una forte disciplina della forma, non torni
 a prevalere.