venerdì 31 ottobre 2008

Das unsterbliche Gerücht

Chagall

''La diceria immortale'' di Robert Spaemann
Casa editrice Cantagalli - collana : "Come se Dio fosse".
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"Che esista un essere che nella nostra lingua si chiama 'Dio' è una vecchia diceria che non si riesce a mettere a tacere. Questo essere non fa parte di ciò che esiste nel mondo. Dovrebbe essere piuttosto la causa e l’origine dell’universo. Fa parte della diceria, però, che nel mondo stesso ci siano tracce di quest’origine e riferimenti ad essa. E questa è la sola ragione per cui su Dio si possono fare affermazioni tanto diverse".
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Robert Spaemann (Berlino, 5 maggio 1927) è un filosofo e teologo tedesco.
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È professore emerito di Filosofia presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. Dopo gli studi di filosofia, storia e teologia all'Università di Münster, Monaco e Friburgo (Svizzera), ha conseguito l'abilitazione in filosofia e pedagogia insegnando in seguito a Stoccarda e a Heidelberg. È stato invitato come professore nelle Università di Rio de Janeiro, Salisburgo e presso la Sorbona di Parigi. È membro dell'Accademia Cinese delle scienze sociali. Tra le sue opere tradotte in italiano si ricordano "Concetti morali fondamentali", "Persone. Sulla differenza tra qualcosa e qualcuno" e "Natura e Ragione, saggi di antropologia
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giovedì 30 ottobre 2008

Salvador Espriu

(Santa Coloma de Farners, 1913 – Barcelona, 1985)



VORREI DIRLO CON LE MIE LABBRA DI VECCHIO

Con sofferenza ho visto. Già non ricordo il mare.
Vado per l’ultimo solco, dopo verrà il deserto.
Sotto chiarissimi cieli, ascolto come il vento
«Nessuno», mi dice nome, mio guadagnato nome.
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Sarà tempo di riposo, e per l’ultima volta
resto a guardar la luce di un ponente lungo.
Ora, senza paura, io solo me ne andrò
dentro la notte, in Dio, tra la sabbia e tra la sete.
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Pagine da Zurigo

Pissarro

C’è un periodo della mia vita, bellissimo e, di quel periodo, ci sono amici che vorrei rivedere .
A loro dedico le pagine che seguono ... altre, più impegnate, le lascio nel cassetto.
A loro, ai miei amici di Zurigo, se il tempo non ha cancellato il ricordo di come eravamo o siamo stati  chiedo di contattarmi.
Grazie !

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PREMESSA
.Pagine è un libro di bordo.

E’ la storia di un andare di terre in terre. Nostalgia delle partenze e degli arrivi; dei ritorni a casa : nel bagaglio sempre qualcosa di nuovo.
Appunti di viaggio, notazioni; la memoria che ferma le immagini, i sapori, il vissuto.
Pagine prosegue. Non è un vero diario, ma la premessa per raccontare quello che siamo stati, noi, in anni difficili ma bellissimi.
Ricostruire un ambiente è come dipingere un quadro e ''Pagine'', il mio libro di bordo, è la cornice.
È la storia di un sogno e sognare è vivere e vivere è amare.
I sogni richiedono fatica  amare disponibilità all’incontro.
Amare gli alberi, il tram che sferraglia, gioioso, sotto casa, le anatre del lago, il freddo, la neve che cade abbondante, la luce dei lampioni che illumina la notte.
Uscire e mescolarsi tra la folla quando torna primavera …
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“L'amore, scrive  Paulo Coelho ,è sempre nuovo. Non importa che amiamo una, due, dieci volte nella vita: ci troviamo sempre davanti a una situazione che non conosciamo.
L'amore può condurci all'inferno o in paradiso, comunque ci porta sempre in qualche luogo. E' necessario accettarlo, perchè alimenta la nostra esistenza. Se non lo accettiamo, moriremo di fame pur vedendo i rami dell'albero della vita carichi di frutti: non avremo il coraggio di tendere la mano e di coglierli. “ 

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Pagine è la storia di un sogno e di un amore.
La storia di una battaglia a lungo pianificata, combattuta in campo aperto con le sue sconfitte e vittorie.
A volte, succede al '' Il vecchio e il mare 'di Hemingway, rimani con lo scheletro del grande pesce e il pesce era il sogno di una vita.
I sogni richiedono fatica … oggi ho presentato la cornice… domani il grande pesce.

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Pissarro
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Pagine
...Basso di statura, robusto, i capelli di un castano chiaro, leggermente brizzolati, don Arnaldo è, negli anni sessanta e settanta, il responsabile della Missione Cattolica Italiana di Zurigo.
Se vivi in terra straniera, in un luogo di missione, il campanile e la chiesa  diventano il porto dove attraccare la barca se non sai dove andare.
Grazie a don Arnaldo l’integrazione a Zurigo fu rapidissima e in breve tornai a vivere i miei anni.

Sarebbe bello raccontare di noi, del gruppo di giovani che cresceva velocemente intorno alla missione, descrivere i problemi, gli amori, i sentimenti, gli ideali, la strada che ognuno avrebbe preso.
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Essere cattolici, negli anni sessanta a Zurigo, in terra protestante significava vivere la propria identità e cercare negli altri, in ciò che era diverso da te, il meglio.
Dire ‘’ ti amo’’ era facile a Zurigo.
Amare gli alberi, il tram che sferraglia, gioioso, sotto casa, le anatre del lago, il freddo, la neve che cade abbondante, la luce dei lampioni che illumina la notte. ... Uscire e mescolarsi tra la folla quando torna primavera…
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Trovai un lavoro come apprendista alla Shoeller und Co, un lanificio tra i più grandi d’Europa, situato sulla Hartumstr, alla periferia nord della città dove
la Limat, il fiume, si allarga in un’ampia ansa.
Un complesso di grandi dimensioni costituito da più edifici dalle caratteristiche omogenee. 
Intorno all’opificio, appoggiate alla collina, le case per i dipendenti, una vera e propria cittadella. Gli stipendi erano, rispetto ad altre aziende, bassi ma godevi della casa e dei servizi presenti nella cittadella. Poco distante, proseguendo la Hartumstrasse, i campi sportivi e lo stadio del Grassoper la squadra di calcio più importante della Svizzera.

All’inizio fui utilizzato come apprendista nella tintoria, un’impianto con numerose vasche per il lavaggio e la tintura a caldo delle lane. Affiancavo un operaio italiano originario delle puglie. Non era difficile.
Non riesco, adesso, a ricostruire con precisione il ciclo produttivo.
Il lavaggio delle matasse di lana cardata avveniva in grandi vasche. La lana, immersa nell’acqua calda, veniva ripulita con l’immissione di acido prima di procedere alla tintura.


Terminato il periodo di ambientamento e prova venni trasferito nel reparto filatura con compiti di assistenza.
Un reparto composto da donne di origine greca e turca, un misto di lingue che non mi impedì di comunicare e svolgere il mio lavoro. ''Kalimera…Kalispera'' ... furono le donne ad insegnarmi il mestiere.
Il lavoro prevedeva la turnazione, 15 giorni al mattino, dalle 5 alle 14 e 15 giorni fino a sera, dalle 14 alle 23.
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Avevo acquistato una bicicletta usata e con quella raggiungevo la fabbrica con ogni tempo e in ogni stagione.
Il 1966 fu un inverno molto rigido. Una mattina, intorno alle 4 e 30, sotto casa, il barometro della farmacia segnava - 21 gradi.
Non avevo freddo e con la bicicletta raggiunsi, come sempre, la fabbrica che si trovava all’altro capo della città. C'era la neve.
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Preferivo il turno del mattino che mi consentiva di frequentare la missione mentre quello della sera mi permetteva di studiare, disegnare, leggere.
Ero indipendente e progettavo di riprendere gli studi regolari
Grazie alla Missione Cattolica sono anni belli.

C'è il rammarico per gli studi ma torno a vivere i miei anni, a progettare, ad avere fiducia.
La Missione diventa il mio ambiente, la nuova famiglia....
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Entro in un gruppo che si stava formando composto da giovani donne che sono ancora nel cuore e nella mente. Avevamo poco più o meno di 16 anni. Fu grazie alle ragazze che il gruppo potè cementarsi. Divenimmo inseparabili.
Quindi gli altri, quelli arrivati in Missione prima di noi. Giovani appena più grandi. Veneti, Friulani, Lombardi, Svizzeri del Canton Ticino.
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Le immagini si sovrappongono e portano la gioia degli incontri, le gite; di quella volta che insieme, andammo sull’Uetliberg.
Uetli è’ il punto più alto e panoramico di Zurigo.
Prendemmo, a Selnau, il treno di montagna con la guida a gramaglia che scatta e consente di salire fin quasi la vetta posta intorno ai ‘900 metri. Il succedersi dei boschi, il lago che si apre lentamente e, arrivati in cima, la terrazza panoramica: la vista dei monti che circondano Zurigo che veloci corrono verso la vicina Germania. Adriana, la più giovane del gruppo, era alle prime uscite. Parlava un italiano stentato.
Era dolce Adriana
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Tornammo a piedi, all’imbrunire, lungo un sentiero sconnesso, ripido che attraversava veloce i boschi fino alle prime case e alla stazione di Selnau. Eravamo felici. Il pranzo al sacco, il girovagare sulla cresta dell’Uetliberg, i giochi, i profumi e gli odori di un giorno d’estate. 

Ogni anno la Missione organizzava un pellegrinaggio ad Einsiedeln, al Santuario di N.S. degli eremiti, la miracolosa Vergine nera.
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Il Santuario della Madonna nera di Einsiedeln ha una storia che merita un breve cenno. 
Intere comunità, seguendo i deliberati della assemblee cittadine, passavano alla Riforma e le principali cattedrali mariane presenti nella Svizzera vennero occupate dai protestanti che avevano in Zwingli, a Zurigo e in Calvino a Ginevra i loro massimi esponenti (siamo nel XVI secolo). 

Il passaggio alla Riforma comportò la distruzione degli altari e delle immagini sacre; un periodo buio che mise in forse la sopravvivenza del cattolicesimo.. Nonostante la forza dei riformisti, i cattolici riuscirono a difendere alcune posizioni e a stabilire la propria egemonia in Canton Ticino

Possiamo aggiungere che  l’Abazia benedettina di Einsiedeln, fondata al termine del primo millennio, rappresentò in Europa un baluardo della cattolicità alle tesi e alle azioni dei riformisti.
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Ho brevemente tratteggiato un periodo della storia della Svizzera per dare significato al nostro essere cattolici a Zurigo.

Al mattino passavo il tempo a leggere e a studiare. Matematica, fisica; i libri di lettere e filosofia scelti senza una guida,  il disegno, i pastelli… ero bravo.


La passione per il disegno non era una novità ma una dote emersa sui banchi di scuola. Ed ero di gran lunga il migliore.
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A Zurigo uscivo di casa con le matite, i fogli, i pastelli e il carboncino per ritrarre i fiori, le foglie, i paesaggi, la bottega del fruttivendolo, gli alberi e i viali del Rieter Museum.
 Ero in grado di rifare, a carboncino, a matita, con i pastelli i dipinti di artisti famosi e spesso correvo fino al Kunsthaus, il Museo, per visitare le sale, studiare la luce, le armonie, i colori, le ombre  nei quadri dei grandi artisti
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Ero affascinato dal mondo della fisica, dallo studio dell’infinitamente piccolo cioè alla teoria quantistica, la base ultima sulla quale si regge l’intero universo microscopico delle particelle e, indirettamente, a tutto quanto noi possiamo vedere, udire, toccare. In tutto questo ritrovavo facilmente Dio.
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Studiare per comprendere l’armonia della natura e il mistero della vita.
Studiare e comprendere le leggi che regolano l’universo minimo significava, pensavo, comprendere l’universo stesso di cui siamo una infinitesima parte. Andare oltre la dimensione osservabile e indagare.
Giorno dopo giorno elaboravo il mio futuro quello che volevo fare, che avrei fatto
Come fare?!
Discutevo di futuro con Riccardo che voleva studiare medicina ma non aveva ne i mezzi ne gli studi per iscriversi all’università.
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Era difficile per noi, a quei tempi, giovani immigrati senza appoggi immaginare il futuro.
La città offriva molte opportunità di lavoro non strutturato.
Al mattino potevi portare i giornali di casa in casa ed eri subito libero.
Potevi, saltuariamente, trovare impiego alle poste o alla stazione centrale; fare il benzinaio, il fornaio.
Esistevano tutta una serie di lavori che, con un po di fortuna, ti permettevano di guadagnare per vivere e di trovare il tempo per studiare.
Riccardo che aveva frequentato le scuole a Zurigo parlava perfettamente il dialetto zurighese diversamente da me che cominciavo ad esprimermi ma avevo bisogno di tempo.
Studiavo il tedesco ma non bastava ed avevo fretta.
Potevo scendere in Canton Ticino ma dove?! Un bel problema!
Ne parlavo con Riccardo che era più giovane di me ed ascoltava.
Continuavo ad uscire con Marisa e le altre.
Marisa poteva aiutarmi con la lingua ma non ero pronto per un rapporto profondo che ti cambia la vita.
Marisa mi voleva bene, mi avrebbe aiutato, consigliato, sposato la mia causa.
Potevo farlo, potevo imbrigliare nei miei progetti la vita  un’altra persona?

Non potevo.

Il percorso era duro e lungo.…immaginavo una scala, ripida, che saliva fino ad una porta.
Aprire quella porta era l’obbiettivo che volevo raggiungere , gradino dopo gradino, verso il futuro immaginato, lungamente sognato, scelto. 
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Pissarro
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Arrivò Natale e poi capodanno. Le Barizzi organizzarono una festa nella loro casa, un villino posto in cima allo Zollikerberg, una località situata alla periferia a sud- est di Zurigo.
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Da Bellvueplatz, uno dei più importanti nodi stradali, sulla sponda destra della Limat dove il fiume defluisce dal lago, si prende il tram che porta a Rehalp e da lì, proseguendo lungo la Frochstr., passando per Waldburg, si sale fino all’abitato di Zollikerberg.
Eugenio, Nicola, Riccardo. Marisa, Giovanna, Andriana, Maria , Iris, Rosemary. C’era anche Ornella, bellissima Ornella che saltuariamente frequentava il nostro gruppo.

I genitori di Adriana e di Maria nel salotto e noi nello scantinato trasformato in sala da ballo. Ricordo la musica, Adriana che cercava le canzoni di Adamo, l’allegria, i giochi in attesa della mezzanotte. La neve era caduta abbondante.

 A mezzanotte le ragazze decisero di uscire per una passeggiata nel bosco. Il padre di Adriana mi prese da parte e mi disse: “mM raccomando, che non accada nulla” e mi affidò sua figlia.


Tornammo, io e gli altri giovani, a Zurigo a piedi …attraverso il bosco ….
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Zollikerberg 
(le cose che non ho)
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E a te che penso /lungo la strada che scende,/ fredda, / attraverso il bosco, /le luci della notte. / Le cose che ho, / che non ho, / che vorrei avere per dare/ L’amore che cerco, / che non ho, / che vorrei avere per amare / Dire: “ti amo”/ a te che ascolti.. / E’ solo illusione / il sogno che ho fatto / lungo la strada che scende
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Sto per lasciare Zurigo.
E’ una scelta ragionata se scelta si può chiamare quella di uno che non ha nulla per scegliere tranne i suoi anni.

A quei tempi era difficile per un giovane immigrato scegliere il liceo, i saperi, progettare l’università e seguire le proprie vocazioni.
I giovani immigrati  del mio tempo cercavano il lavoro subito.

All’inizio del 1967 lascio la ''Scoeller und co'' ma resto a Zurigo fino ai primi di maggio.
Libero da impegni passo mesi bellissimi.
Amavo mescolarmi tra i giovani che, numerosi,  trovavi   in riva alla Limat, in prossimità di Belvue ... un crocivia di lingue che erano musica.
Ero vivo e felice di esserci.

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I nomi sono di fantasia
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Attraverso queste pagine chiedo agli amici della mia (nostra) gioventù di mettersi in contatto con me

Bertolt Brecht - Poesia politica


Veramente io vivo in tempi oscuri!
La parola sincera è una follia. Una fronte senza rughe
Tradisce l’apatia. Se tu ridi
Non hai ancora saputo
Il terribile annuncio.
Quale epoca! In essa
Un discorso sugli alberi è quasi un delitto
Poiché implica il silenzio su tante malvagità!

sabato 25 ottobre 2008

Barack Obama

Leonardo da Vinci


Il popolo americano ha capito che l'unico modo di far crescere l'economia è dal basso verso l'alto.

Ridurre le tasse ai più ricchi non è negativo soltanto per le famiglie, ma per l'intera economia.
(Barack Obama)

sabato 18 ottobre 2008

Antonio Machado Y Ruiz,

(Cassat)

E queste parole sconnesse
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Oh sola grazia dell'amara terra,
rosai d'aroma, fonte della strada!
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Aure...Amore. Felice primavera!
Felice Aprile in fiore,
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e il solo amato sciame dei miei sogni,
che stilla miele al cuore tenebroso!...
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Cenni biografici
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Antonio Machado y Ruiz, poeta spagnolo (Siviglia 1875-Collioure 1939), il maggiore rappresentante della generazione del '96. Lirico delicato, malinconico, ha fatto del paesaggio castigliano, congeniale al suo spirito, uno dei temi dominanti del suo canto: sempre felicemente conciso, sa suscitare nel giro di pochi versi immagini di vita e schietta essenzialità. Tra le sue opere maggiori: Soledades (1903); Campos de Castilla (1912); scrisse anche opere teatrali in collaborazione con il fratello maggiore Manuel (il più piccolo era Juan). Fervente repubblicano, esule durante la guerra civile, morì in Francia.
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In margine al sentiero un giorno ci sediamo
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In margine al sentiero un giorno ci sediamo.

Tempo è la nostra vita, e nostro unico affanno
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le pose disperate in cui per aspettare
ci atteggiamo....Ma Lei non mancherà al convegno

venerdì 17 ottobre 2008

Papa Wojtyla

(Giorgione)


Papa Wojtyla nella ''Centesimus Annuns'' , scritta all'indomani della caduta del muro di Berlino osservava che, caduto il comunismo, restava solo il capitalismo. Notò infatti che la libertà dei mercati era sì un bene ma occorreva ''sorvegliare'' e guidare l'esercizio dei diritti umani nel settore economico affinchè fosse indirizzato verso il bene di tutti
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Gli stessi principi e valori sono oggi rieffermati da Benedetto XVI che, di fronte alla crisi in atto ha ricordato che '' i soldi scompaiono, sono niente...... solo la parola di Dio è fondamento della realtà''.

giovedì 16 ottobre 2008

Notizie dal campo di battaglia


EUROPA
A denti stretti, anche la Com­missione europea accetta di mettere tra parentesi la re­gola chiave del Patto di stabilità e di crescita: di fronte alla crisi finanzia­ria i governi dell’Ue potranno lasciar salire il deficit di bilancio oltre il 3% del Prodotto interno lordo, e rinvia­re a tempi migliori politiche che por­tino i conti «in pareggio o vicino al pareggio».
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ITALIA Senza limiti Il governo non stanzia una cifra specifica.Via libera alla possibilità del Tesoro di poter acquistare azioni di banche in crisi. Intervento che può arrivare al «commissariamento». Da Bankitalia un paflond di 40 miliardi in titoli di alta qualità da scambiare con asset di qualità inferiore. Garantiti i depositi bancari fino a 103mila euro.
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G li islandesi sembrano ormai rassegnati al proprio desti­no ed accolgono con nor­dica filosofia la notizia che la loro Borsa è crollata del 76.13% nella giornata di ieri, esponendo prati­camente la loro isola al rischio di in­solvenza.
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GERMANIA Locomotiva sul binario della recessione L’economia più grande d’Europa è ormai «sull’orlo della recessione»: il monito arriva dai principali centri studi di Germania, Austria e Svizzera e anche la cancelliera tedesca Angela Merkel – nonostante il maxi piano anti-crisi – mette in guardia il Paese contro gli eccessi di ottimismo.
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Berlusconi: «crisi avra' riflessi sull'economia reale»
«Il Tesoro sta lavorando con la Consob a un emendamento per dare a imprese possibilità di difendersi» ha dichiarato il premier Silvio Berlusconi. «Confermo che il Tesoro sta lavorando con la Consob a un emendamento sulla passivity rule per dare alle imprese la possibilità di difendersi». Berlusconi, conferma così il rischio opa ostile su imprese italiane a causa della crisi internazionale, confermando «le notizie che vengono dai paesi produttori del petrolio» su questo interesse. Berlusconi preannuncia un emendamento che sarà «varato nei prossimi giorni» che consenta «aumenti di capitale, acquisizioni di proprie azioni e fusioni».
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SPECULAZIONE - «La Borsa è anche teatro della speculazione» aveva affermato in precedenza il premier ai cronisti che gli chiedevano un commento sull'andamento negativo delle Borse. «Voi sapete - prosegue - che si possono realizzare utili sia quando le Borse sono al massimo, sia quando sono al minimo livello. Io credo che ci sia in atto un'attività di questo tipo». «Ho notizia - ha poi aggiunto Berlusconi - che i paesi produttori di petrolio che hanno molti fondi stanno acquistando massicciamente sui nostri mercati». Secondo Berlusconi, «ora ci sono ottime occasioni per chi, disponendo di capitali, penso a certi fondi sovrani, volesse proporre opa ostili».
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CRISI - Il presidente del Consiglio oltre ad aver auspicato l'ingresso della Russia nell'Unione Europea, aveva detto che la crisi finanziaria comporterà riflessi negativi sull'economia reale. «Io mi auguro che non ci sia una recessione, ma certo ci sarà qualche riflesso negativo sull'economia reale. Al momento opportuno cercheremo di intervenire con le decisioni più appropriate. Oggi come oggi non ne abbiamo parlato e stiamo a vedere cosa succede». Risponde così il premier Silvio Berlusconi, a margine della riunione del Ppe, ai cronisti che gli chiedono se tema il pericolo di una recessione a seguito della crisi finanziaria.

Picasso 1917 - 1937 L’Arlecchino dell’arte


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Cinquantacinque anni dopo la grande retrospettiva curata dall’artista stesso alla Galleria Nazionale di Arte Moderna nel 1953, Roma rende un nuovo importante omaggio a Pablo Picasso, il più grande artista del Novecento, con una ricchissima esposizione al Complesso del Vittoriano: “Picasso 1917 – 1937 L’Arlecchino dell’arte” dall’11 ottobre 2008 all’8 febbraio 2009. Più di 180 opere tra oli, opere su carta e sculture offrono un quadro straordinario della frenesia creativa originale ed eclettica del maestro spagnolo, nel ventennio tra le due guerre mondiali. Una selezione di importanti capolavori, che si inserisce nel novero delle più importanti rassegne dedicate a Picasso dai più prestigiosi musei del mondo.
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La Mostra, che nasce sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, è promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con la collaborazione del Comune di Roma - Assessorato alla Cultura e alla Comunicazione, Assessorato alla Scuola, alla Famiglia e all’Infanzia – della Provincia di Roma – Presidenza e Assessorato alle Politiche culturali - della Regione Lazio – Presidenza e Assessorato alla Cultura, allo Spettacolo e allo Sport -, con il patrocinio del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati, del Ministero Affari Esteri, dell’Ambasciata di Francia in Italia e dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. La rassegna è organizzata e realizzata da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia.
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La famiglia Picasso, prestigiose collezioni private ed i più importanti musei di tutto il mondo hanno sostenuto questo ambizioso progetto con il prestito di opere di altissima qualità; tra le tante istituzioni spiccano: National Gallery of Canada, Ottawa; Centre Pompidou, Musée national d'art moderne, Centre de création industrielle e Museo Picasso, Parigi; Museu Picasso, Barcellona e Malaga; Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid; Foundation Beyeler, Basilea; Kunstverein Winterthur, Winterthur; Baltimore Museum of Art, Baltimore; Philadelphia Museum of Art, Philadelphia; The Museum of Fine Arts, Houston; The Metropolitan Museum of Art e The Solomon Guggenheim Museum, New York; The National Gallery of Art, Washington D.C.
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L’esposizione “Picasso 1917 – 1937 L’Arlecchino dell’arte” è a cura di Yve-Alain Bois, Ordinario di Storia dell’Arte, School of Historical Studies presso l’Institute for Advanced Study di Princeton, New Jersey nella cattedra inaugurata da Erwin Panowsky. Il prof. Bois si avvale della collaborazione di un prestigioso comitato scientifico composto dai più noti studiosi di arte moderna del mondo: Dawn Ades, Ordinaria di Storia dell’Arte, University of Essex (Regno Unito); Lisa Florman, Professore associato di Storia dell’Arte, Ohio State University (Stati Uniti); Timothy Clark, University of California at Berkeley; Elizabeth Cowling, Ordinaria di Storia dell’Arte, University of Edinburgh


mercoledì 15 ottobre 2008

Il puntinismo... cenni




Il neoimpressionismo (il cui certi­ficato di nascita con la relativa scel­ta del nome viene stilato nel 1886 da Félix Fénéon, ma che nella realtà rimonta a due anni addie­tro) è invece, a detta del suo stes­so fondatore, un metodo.
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Seurat ci tiene molto alla sua definizione, e si capisce, perché intende con ciò rimarcare quell’elemento anti­poetico, e dunque antisoggettivo, che voleva essere l’anima dell’im­pressionismo 'nuovo' destinata a cavare quello 'vecchio' dalle sec­che di una visione empiristica e soggettiva (anche se in questo Seu­rat parrebbe svalutare il forte lega­me con la fotografia che già carat­terizzava la stagione dell’impres­sionismo maturo) che mal si com­poneva con l’esigenza, che a fine secolo si era fatta ormai quasi dog­matica, di fondare la propria vi­sione del mondo sui princìpi certi offerti dalla scienza: nella fattispe­cie, le leggi del «contrasto simulta­neo dei colori » elaborate da Mi­chel- Eugène Chevreul e da Ogden Rood e tradotte da Seurat nella tec­nica ( nel ' sistema meccanico') della scomposizione dei toni cro­matici in piccoli punti di colore pu- ro, impercettibili luoghi di emana­zione della luce destinata a com­porre la forma non sulla tela, ma nell’istante della composizione re­tinica nell’occhio dell’osservatore. Per raccogliere le osservazioni svolte da Silvana Turzio a proposi­to della nascita della fotografia del colore, un «sistema meccanico at­to a fissare con ancora maggior fe­deltà e penetrazione ciò che l’oc­chio umano vede, ma poco e ma­le ».


Oggi diremmo visione titanica e quasi concettuale, che fa della pittura non il luogo dove avviene la rappresentazione, ma l’istante del suo Big Bang. Ecco, quel che il ven­tiquattrenne Seurat voleva dire ai suoi sconcertati interlocutori che lo invitano a smetterla di gigio­neggiare col fare il 'puntinista' è che il suo 'metodo' scardina tal­mente la genesi stessa della pittu­ra da farsi esso stesso stile, total­mente inedito e per la prima volta idoneo a forgiare la vera icona del mondo moderno, col pri­mato dell’immagine che nutre essa stessa la propria realtà


Quel che poi avvenne è che 'il metodo', applicato con un’acribia meramente for­male - ma non fu il caso di Seurat e Signac, o di un Ca­mille Pissarro - , avrebbe potuto facilmente condur­re alla ' maniera', il che ( verrebbe da dire strana­mente) non si verificò se non in casi sporadici, an­che in pittori a noi poco consueti e pertanto spesso sorprendenti come Albert Dubois-Pillet, Léo Gausson (un gioiello il suo Fiume e ponte a Lagny-sur-Marne), Louis Hayet, Maximilien Luce, Hendricus Petrus Bremmen, Henri Edmond Cross ( la sua Vendemmia del 1892 si direbbe una straniante ' variazione ot­tica' sul cliché della grafi­ca giapponese di fine Otto­cento), Johannes Theodorus Toorop e altri della variega­ta compagine divi­sionista che in una manciata d’anni si era sparsa tra Fran­cia, Belgio e Olan­da, fino alle soglie della pittura Fauve.
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. (''Avvenire'' , reportage da Milano di Andrea Beolchi)

. (Palazzo Reale mostra su Georges Seurat, Paul Signac e i Neoimpressionisti - 10 0ttobre 2008 - 25 gennaio 2009)

martedì 14 ottobre 2008

bertold brecht

IL FUMO
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"La piccola casa sotto gli alberi sul lago.
Dal tetto sale il fumo.
Se mancasse
quanto sarebbero desolati
la casa, gli alberi, il lago!"

Verrà il mattino, ma è ancora notte,...

Michelangelo
La sentinella di Isaia a chi domandava quanto sarebbe durata la notte: «Verrà il mattino, ma è ancora notte; se volete domandare, tornate un'altra volta».


Monet
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Caute previsioni
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Se da questa crisi finanziaria usciremo in tempi ragionevoli e con danni limitati — è un esito possibile, forse il più probabile, nonostante la gravità della situazione — quale sarà il modello di capitalismo nel quale entreremo dopo la crisi? Circolano in questi giorni le previsioni più estreme: nuove Bretton Woods, vincoli alla libera circolazione dei capitali, ri-regolazioni incisive dei singoli capitalismi nazionali. Insomma, un modello di capitalismo radicalmente diverso. Per quel che vale (è una previsione, non un auspicio) la mia è più cauta: il modello in cui ci ritroveremo a vivere dopo la fase acuta della crisi non sarà molto diverso da quello che è prevalso in quest'ultimo quarto di secolo, un modello neoliberale, come alcuni lo chiamano.
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Nella sua forma più estrema, si tratta di un modello nel quale i capitali sono liberi di cercare i massimi rendimenti scorrazzando per il mondo intero; i mercati dei prodotti e dei fattori sono deregolati quanto è possibile; le imprese si fanno una concorrenza intensa e i grandi investitori istituzionali premiano quelle che garantiscono nel breve periodo il massimo valore per gli azionisti; le banche e le istituzioni legali e finanziarie assecondano questa «creazione di valore» — chiamiamola così — con strumenti sempre più sofisticati; i grandi manager sono pagati come calciatori e stelle del cinema, perché, al pari di loro, fanno guadagnare molto chi li impiega; la politica, come sempre, è legata a filo doppio all'economia, da cui ricava risorse per campagne elettorali sempre più costose, e non si sogna certo di contrastare il modello prevalente, finché le cose vanno bene. Insomma, è il modello che Robert Reich descrive nel suo recente Supercapitalismo.
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Perché una previsione così cauta di fronte a una crisi così grave? Non certo perché ritenga che il capitalismo abbia giocato o debba giocare sempre con le stesse regole. O che quelle con le quali ha giocato negli ultimi anni, soprattutto in America, siano in qualche modo regole ottimali, se giudicate per i loro esiti di benessere. Di fatto, a livello mondiale, il capitalismo ha giocato con regole molto diverse: per rendersene conto basta confrontare i trent'anni successivi alla seconda guerra mondiale — l'«età dell'oro» — con la fase di deregulation e globalizzazione che è seguita alla presidenza Reagan, il modello neoliberale, appunto. E poi tuttora esiste una grande varietà di «capitalismi» nazionali: quello che abbiamo sommariamente descritto prima, il capitalismo anglosassone, è sicuramente il modello dominante, ma non è affatto esclusivo, neppure tra i Paesi occidentali o a questi assimilabili. Ed è infine controverso quale di questi modelli sia «migliore» dal punto di vista del benessere dei cittadini: quello americano è sicuramente eccellente dal punto di vista della libertà, dell'innovazione, dell'efficienza, della creazione di occasioni di lavoro. Lo è anche dal punto di vista della sicurezza e della distribuzione del reddito?
.Il motivo che mi induce ad una previsione cauta, pur nel contesto degli aggiustamenti di cui si sta discutendo in questi giorni e del ruolo che i poteri pubblici stanno (provvisoriamente?) assumendo, è presto detto: non sono in discussione reali alternative nelle modalità profonde di regolazione del capitalismo. Per quanto fosse prevedibile, questa crisi ha preso in contropiede sia gli economisti, sia le classi dirigenti, economiche e politiche, dei principali Paesi occidentali: persino le sinistre si erano rassegnate a convivere col supercapitalismo e la globalizzazione. Se invece guardiamo all'esperienza del secolo scorso, ai due grandi cambiamenti di modello che allora avvennero — dall'economia liberale all'economia keynesiana negli anni 30 e 40; e poi da questa all'economia neo-liberale e alla globalizzazione negli anni 70 e 80— ci rendiamo conto che essi sono stati accompagnati/ provocati sia da crisi economiche profonde, sia da ri-orientamenti ideologici, culturali, teorici e, da ultimo, politici, altrettanto profondi. Quella keynesiana fu una vera rivoluzione, teorica e culturale ancor prima che politica; e fu una rivoluzione (alcuni direbbero una controrivoluzione) anche quella monetarista e neo-liberale, negli anni 70 e 80 del secolo scorso, anch'essa teorica e culturale, prima che politica. Nulla di questo è visibile oggi, anche se uno degli ingredienti di un cambiamento di modello — la gravità della crisi — sembra essere presente. Si potrebbe obiettare che anche nel '29 le risposte politiche e teoriche non furono subito a portata di mano e si dovettero aspettare i Roosevelt e i Keynes. Faccio però fatica ad assimilare quella congiuntura storica a quella attuale e a vedere in Barack Obama, nel caso dovesse vincere, un nuovo Franklin Delano Roosevelt. Per non dire dell'assenza di un nuovo Keynes. E dunque ricordo, a chi prevede (o auspica) radicali mutamenti, la risposta della sentinella di Isaia a chi domandava quanto sarebbe durata la notte: «Verrà il mattino, ma è ancora notte; se volete domandare, tornate un'altra volta».
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Editoriale del Corriere della Sera di Michele Salvati - lunedì 14 ottobre 2008

Libero mercato e democrazia


«Il libero mercato non è più prodromico della democrazia. Fu sbandierato da Milton Friedman a sostegno di Pinochet. Adam Smith prevedeva, invece, la necessità che lo Stato controllasse il mercato. Secondo una tesi di Robert Reich, contenuta nel suo libro Supercapitalismo, prima della fine degli anni Settanta esisteva un capitalismo democratico. Dopo è iniziato il supercapitalismo, un periodo in cui la concorrenza sfrenata, pur abbassando i prezzi, ha affievolito la democrazia, i diritti di libertà, la sicurezza sul lavoro, la tutela dell’ambiente. Tutte le leggi si sono piegate alla volontà delle grandi corporation e delle grandi banche, che da sole hanno fatturati superiori a quelli di intere nazioni».

Guido Rossi su la Repubblica del 18 marzo 2008.

domenica 12 ottobre 2008


ut pictura poesis
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la poesia è come un quadro
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(ORAZIO)

Ma cos'è la crisi davanti alla Storia?


Economia: Ma cos'è la crisi davanti alla Storia?
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di Max Hastings - - Davanti al pericolo l'essere umano azzarda quasi sempre valutazioni sbagliate. Saggi osservatori si arrovellano su una data questione — il «pericolo rosso», Al Qaeda —, per ritrovarsi alle prese con problematiche diverse.
L'effetto più evidente della crisi finanziaria che scuote l'Occidente è, a quanto pare, la messa in luce della futilità della «Guerra al Terrore» del presidente Bush. Il terrorismo, va da sé, è un problema serio. Ma che non pone alle società occidentali la minaccia di una catastrofe sistemica. A suscitare tanta e tale paura nell'attuale crisi finanziaria, per contro, è il fatto che nessuno si dice certo di comprendere fino a che punto la situazione possa degenerare. I governi statunitense e britannico si arrabattano alla ricerca di palliativi, invece di proporre soluzioni almeno plausibili. Appena due mesi fa, gli economisti tratteggiavano con apprensione il 2009 come un anno pessimo. Oggi, tuttavia, appare evidente che, anche nello scenario più favorevole, sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna avranno bisogno di molto più tempo per riemergere da quest'incubo. Quanti hanno una testa sulle spalle temono giustamente per il proprio posto di lavoro, la propria casa e i propri risparmi. L'atteggiamento compiacente persiste soltanto tra chi è troppo sciocco per comprendere quanto il pasticcio sia grave, o troppo giovane per immaginare una società non più in grado di offrire una gratificazione istantanea ai nostri bisogni e desideri. Ricordo che un giorno, in un normale frangente di vita familiare, mia figlia scandì: «Sai papà, la vita non è fatta che di abitudini».
Mi è sembrata una considerazione di inconsapevole profondità. In tempi di guerra o di pace, gli individui trovano grandi difficoltà ad accettare l'idea che il loro habitat — fisico, sociale o economico — possa subire radicali trasformazioni. Durante la Seconda guerra mondiale, Churchill spiegò tale fenomeno al capo di Stato Maggiore imperiale, il generale Sir Alan Brooke, coniando la teoria del «tubo da tre pollici» con riferimento alle reazioni dell'essere umano.
Gli uomini, sosteneva, hanno una capacità ben limitata di assorbire eventi drammatici; una capacità pari a quella, per l'appunto, di un tubo da tre pollici. Superata la quale, tutto ciò che avviene intorno a loro scivola via, travolto da un'ondata di emozioni. Molti individui, tra cui lo stesso Brooke, fecero esperienza diretta di tutto ciò nella Gran Bretagna del 1940. Così tante e forti sensazioni si affastellavano, allora, che spesso non arrivavano a esercitare l'effetto meritato; a tutto vantaggio, va detto, del morale della nazione. Una discreta conoscenza della Storia può aiutarci a osservare dalla giusta prospettiva le disavventure di cui oggi siamo protagonisti. La lettura, prima di coricarsi, del diario di Samuel Pepys, ad esempio, può servire da formidabile correttivo per chi è tanto sciocco da credere che la nostra epoca sia insidiosa come nessun'altra. Pepys visse e lavorò da funzionario statale, in un'epoca nella quale tutti, o quasi, temevano per la propria testa, salute e sorte.
E anche se si unì ai festeggiamenti per la restaurazione della monarchia nel 1660, negli anni che seguirono al governo di Re Carlo II non sembrò mai affrancarsi da questo stato di precarietà. Pepys fece una brillante carriera al ministero della Marina, ma non poté mai contare su una benché minima sicurezza. Nel 1665, la Grande Peste si abbatté su Londra. L'anno seguente, Pepys assisté al Grande Incendio.
Le finanze della nazione iniziarono a traballare. In data 8 settembre, il diarista scrive: «Mi sono svegliato e (…) in barca a White-hall. Mi sono fermato con Sir G. Carteret per pregarlo di venire con noi e chiedergli ragguagli circa il denaro. Ma nel primo caso spiega che non può, e nel secondo che riuscirà a fare ben poco, ovvero dice: "Dove possiamo procurarcene, o che dobbiamo fare per averlo?" Pare che egli si occupi della corrispondenza giornaliera tra i poteri cittadini e il Re, e di sistemare gli affari». Tutti nutrivano la convinzione, all'epoca, che difficilmente la situazione sarebbe peggiorata, eppure così avvenne.
Nel giugno seguente, la flotta olandese risalì il fiume Medway, a Sud dell'Inghilterra, e diede alle fiamme l'arsenale di Chatham. Pepys, scosso e in preda al terrore, trasferì il suo denaro via da Londra, e scrisse: «(…) Ho così tanta paura che questa sia la fine del nostro regno (…) Che Dio ci protegga, e ci salvi dai disordini nei quali possiamo trovarci sin da domani». (Il diario di Samuel Pepys, Bompiani, 1941). Le crisi in tempo di pace, epidemie, calamità naturali o tracolli finanziari, sono spesso più difficili da fronteggiare delle crisi in tempo di guerra. La gente si scopre relegata a un ruolo di vittima, incapace di influire sul proprio destino.
Un aspetto significativo del genio di Churchill, nel 1940-41, risiedeva proprio nella convinzione che il popolo britannico avesse bisogno di sentirsi coinvolto e partecipe, e non semplicemente uno spettatore passivo, dinanzi al mostro nazista. Il frenetico lavoro nelle trincee e nelle formazioni di milizia territoriale, all'atto pratico, servì a ben poco. Ma ebbe l'inestimabile merito di far sentire alla gente comune che stava «facendo la sua parte».
Nella memoria collettiva del popolo britannico, l'esperienza più travagliata non si rispecchia nella guerra, che offrì importanti stimoli con un'insita forza di compensazione, bensì nel periodo ad essa successivo. Al crepuscolo degli Anni 40, vigeva ancora il razionamento dei beni alimentari. La penuria di combustibili si acuiva.
E, con le nevicate del '47, la popolazione subì mesi e mesi di dolorose privazioni. D'improvviso, i cittadini britannici si resero conto che, pur essendo usciti vincitori dal conflitto, avevano subito una pesante sconfitta sul fronte della pace. Il loro impero stava scomparendo. Il trionfalismo e la ricchezza americana stridevano con l'amarezza e la povertà britannica. Il giorno in cui nacqui, nel dicembre del 1945, mio padre scrisse per me una lettera, che poi ricevetti in occasione del mio 21esimo compleanno, nella quale descriveva il mondo così come allora appariva. «Nell'arco della mia vita — diceva —, questo Paese, da nazione tra le più ricche al mondo qual era, è diventato una delle più povere».
La grigia e mesta austerità del periodo postbellico risultava tragicamente ingiusta agli occhi al popolo britannico, che si era oltremodo sacrificato per opporsi da solo ai dittatori. Ecco, la lezione di Storia può benissimo terminare qui.
La tesi che intendo proporvi è molto semplice: se paragoniamo le odierne sventure a quelle di epoche passate, dovremmo ricavarne sufficiente coraggio per tener testa alla crisi del credito. Il capitalismo occidentale risente del più che meritato colpo inferto alla sua hybris. Ma è quasi indubbio che esso possieda sufficiente reattività, energie e immaginazione per uscirne a testa alta. Oggi non siamo alle prese con una minaccia alla nostra salute o sicurezza fisica e alimentare paragonabile a quelle subite dalle generazioni di Pepys, Churchill e molti altri dall'ultimo millennio a questa parte.
Se il danno peggiore che possiamo subire è la perdita di un po' di denaro, non è certo il caso di ingigantire troppo il problema. Qualche anno fa, mentre cercavo a New York un libro sull'Europa degli anni 1944-45, mi imbattei in un'affascinante signora, di nome Edith Gabor, che era sopravvissuta a diversi campi di concentramento nazisti. Dopo aver ascoltato per circa tre ore la sua storia, mi ritrovai sul marciapiede di fronte al suo appartamento, in attesa di un taxi per l'aeroporto Kennedy, da dove avrei preso il volo di ritorno a Londra. Il taxi non arrivò. All'inizio reagii spazientito, poi visibilmente irritato. Edith, ottuagenaria ebrea ungherese, rotondetta e minuta, si avvicinò e si piazzò al mio di fianco. Rideva di cuore. «Si rilassi!», disse. «Non è così importante! Quando si è stati in un campo di sterminio, si impara a capire che perdere un aereo non è poi la fine del mondo». Mi vergognai di aver ceduto all'ansia e al nervosismo, dinanzi a questa donna, per insulse ragioni, com'è tipico della nostra, oltremodo privilegiata generazione. La crisi del credito desta allarme, certo. Ma vista della cornice degli eventi che hanno segnato l'epoca moderna, come quelli sperimentati in prima persona da Edith Gabor, non sembra poi la fine del mondo.
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Articolo ripreso da Il Corriere della Sera del 09.10.2008
Copyright Guardian News & Media 2008 (traduzione di Enrico Del Sero)

martedì 7 ottobre 2008

CRISI EPOCALE

Greespan lo aveva detto. In un seminario dell'agosto 2006, in occasione dei 18 anni della sua presidenza alla Federal Reserve disse che non invidiava il suo successore.

Di solito pacato, in quell'occasione Greenspan fece un'analisi agghiacciante prevedendo negli Stati Uniti una crisi senza precedenti che avrebbe determinato il crollo del mercato immobiliare, la perdita di milioni di posti di lavoro e la recessione.
Che fare ?
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L'economista Mario Deaglio afferma che, per prima cosa, l'Europa, dovrebbe allentare il patto di stabilità. Nel calcolo del deficit dei singoli Stati non dovrebbero rientrare, egli dice, i capitali spesi per salvare le banche. Ed in ogni caso il tetto del 3% andrebbe allentato per far respirare l'economia.In questo momento, infatti, sarebbe più pericoloso ritrovarsi con milioni di disoccupati.

L'Europa può e deve evitarlo rivedendo il patto di stabilità.

A mio avviso....l'Europa dovrebbe percorrere la via di un nuovo New Deal, cioè un piano di riforme economiche e sociali in grado di risollevare il Vecchio Continente dalla ormai sempre più evidente depressione..
La gente viene prima del capitale, del mercato, del liberismo o di tutti gli ''accidenti'' che impediscono di vivere dignitosamente.
Non è possibile che a pagare il conto più salato siano sempre i più deboli che, è notorio, nulla hanno fatto per arrivare a questo disastro mondiale.
Purtroppo accade il contrario... c'è tutta una generazione che rischia di non incontrare il lavoro, quello vero ... i governi non pensano al lavoro....al mondo reale
L'economia mondiale, ... sotto la spinta della tecnologia, ha subito una mutazione radicale divenendo per il 70 % un'economia dei servizi finanziari. Assurdo ! L'economia che regola la vita di un paese non puo essere virtuale... Non si costruisce sulla sabbia.
Bisogna tornare all'economia reale .... serve coesione in Europa , un nuovo patto di stabilità, un nuovo New Deal .... o tutto si sfascia.
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PRIMA VIENE LA GENTE