giovedì 30 settembre 2010

Adesso che tramonta il giorno



Sposta le tende, amico di Dio e amico mio...
calpesta l'erba, attendi la notte che viene al tramontare del sole,
e sui tuoi passi alla luce dei lampioni
potrai intravedere l'ombra di un tu fare compagnia alla tua solitudine...
Ascolta la voce del Silenzio, Mistero dell'Eterno,
tu che abiti in un cuore diroccato...
Fa' in modo che l'altro entri nel tuo cuore a tutte le ore
e lasci tutto spalancato e ti costringa a vivere con il cuore aperto,
che entri nella tua vita e prenda di te quel che desidera:
vivrai in un perenne dialogo d'amore.
Il chiarore dell'aurora plachi l'angoscia della tua disperazione
e le stelle cui ogni notte affidi i tuoi sogni di luce...
ritirandosi discrete alla luce del giorno,
ti restituiranno la speranza del domani:
la certezza di poter essere "amore"che sa farsi accanto.

(preghiera dei monaci carmelitani)

mercoledì 29 settembre 2010

James Joyce


James Joyce (1882-1941), scrittore irlandese, dopo Gente di Dublino (1914) e Dedalus (1916), pubblica nel 1922 il suo capolavoro, Ulisse, che rivoluziona la forma del romanzo. Finora le coordinate spazio-temporali contenevano l'esperienza psichica del personaggio, ma con Joyce, il flusso di sensazioni, sentimenti, ricordi, il cosiddetto flusso di coscienza, travalicando le consuete strutture sintattiche, arriva a toccare il fondo oscuro e finora inconfessato dell'animo umano. L'opera di Joyce avrà ripercussioni su tutta la letteratura del Novecento.

lunedì 27 settembre 2010

Giovanni Ramon Jmenez - canzone

Rosa, l'autunno è tutto
in codesta tua foglia che già cade
sola.
.
Bimba, il dolore è tutto,
è tutto sulla tua guancia di sangue
rossa.
.
La rosa è ancora rossa, ma già una sua foglia cade: segno che l'autunno è giunto.
Il volto della bimba è tutto roseo ma già vi incombe sopra l'ombra del dolore che verrà ad oscurarlo.
E' una poesia pura, dalle forme dense ed essenziali che fa pensare ad una Tanka giapponese ma più accesa nei colori e nel significato.

Juan Ramón Jiménez Mantecón (Moguer, 24 dicembre 1881San Juan, 29 maggio 1958) è stato un poeta spagnolo. Premio Nobel per la letteratura nel 1956,
Leggi tutta la voce...

da "http://it.wikipedia.org/wiki/Portale:Premi_Nobel/In_evidenza/22"

giovedì 23 settembre 2010

Il gatto e la luna - Di W.B. Yeats


Anche il grande William Butler Yeats ha dedicato una poesia al gatto.
Non è giocosa come quella di Rodari o ironica come quella di Neruda.
‘’Il gatto e la luna’’ di Yeats è una poesia legata all’aspetto più notturno del gatto, al suo muoversi nell’ombra nel silenzio delle notti baciate da argentei raggi di luna.




Il gatto andava qua e là e la luna
girava in tondo come una trottola
e il più prossimo parente della luna,
il gatto strisciante, guardò su.
Il nero Minnaloushe fissava la luna,
ché, nel suo gemere e vagare,
la pura luce fredda su nel cielo
agitava il suo sangue d’animale.
Minnaloushe corre nell’erba
levando le zampe delicate.
Danzi, Minnaloushe, danzi?
Quando due parenti stretti s’incontrano,
cosa c’è di meglio che ballare?
Forse la luna può imparare,
stanca di quelle maniere regali,
un nuovo giro di danza.
Minnaloushe striscia nell’erba
da un luogo all’altro al chiaro di luna,
il sacro astro lassù
è entrato in una nuova fase.
Lo sa Minnaloushe che le sue pupille
andranno di mutamento in mutamento,
passando dal plenilunio alla falce,
dalla falce al plenilunio?
Minnaloushe striscia nell’erba
solo, compreso e guardingo,
e alza alla mutevole luna
i suoi occhi mutevoli.

mercoledì 22 settembre 2010

Konstantinos Kavafis - Aspettando i barbari

Dalì

Che aspettiamo, raccolti nella piazza?

Oggi arrivano i barbari.

Perché mai tanta inerzia in Senato?
E perché i senatori siedono e non fan leggi?

Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori?
Quando verranno le faranno i barbari.

Perché l’imperatore s’è levato
così per tempo e sta, solenne, in trono,
alla porta maggiore, incoronato?

Oggi arrivano i barbari
L’imperatore aspetta di ricevere
il loro capo. E anzi ha già disposto
l’offerta d’una pergamena. E là
gli ha scritto molti titoli ed epiteti.

Perché i nostri due consoli e i pretori
sono usciti stamani in toga rossa?
Perché i bracciali con tante ametiste,
gli anelli con gli splendidi smeraldi luccicanti?
Perché brandire le preziose mazze
coi bei caselli tutti d’oro e argento?

Oggi arrivano i barbari,
e questa roba fa impressione ai barbari.

Perché i valenti oratori non vengono
a snocciolare i loro discorsi, come sempre?

Oggi arrivano i barbari:
sdegnano la retorica e le arringhe.

Perché d’un tratto questo smarrimento
ansioso? (I volti come si son fatti serii)
Perché rapidamente le strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?

S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.

E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente

martedì 21 settembre 2010

Eugenio Montale - Spesso il male di vivere ho incontrato



Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

[da Ossi di seppia, 1925]

’ la concezione pessimistica che Montale ha della vita, e la forza del suo discorso poetico fortemente intessuto di immagini emblematiche, trova in questa notissima lirica uno dei vertici più alti ( A. Frattini – P. Tuscano).
Il male di vivere ( la sofferenza, il dolore) appare al poeta diffuso in tutta la natura, animata o no: esso si manifesta nel ruscello che si lamenta quando incontra un ostacolo al suo fluire, nella foglia che si accartoccia arsa dal sole, nel cavallo che esaurite le sue energie stramazza al suolo sfinito.
A tale pena non resta che opporre la divina indifferenza: l’immobilità della statua, la leggerezza della nuvola, il distacco del falco che si allontana in volo dalla terra.



Rosalba Barbato Di Giuseppe : Tendono alla chiarità le cose oscure


[Rosalba è una giovane universitaria palermitana archetipo di speranza in un paese che (purtroppo) sembra affogare nell'egoismo...]



Albert Anker

Martedì 21 Settembre 2010 17:50

Un suggerimento di amicizia. Il girasole impazzito di luce di Montale. Due vite che interagiscono. Ho conosciuto Severino Mingroni lo scorso 8 giugno. Ho trovato alcune informazioni su di lui sul sito dell’Associazione Luca Coscioni, di cui per altro è il consigliere abruzzese. Ho letto il suo blog, una frase mi ha colpito profondamente: «la maggioranza degli umani sta semplicemente vegetando, e non se ne accorge».
Rimango folgorata. Severino è affetto da 14 anni dalla sindrome locked-in. Non ne ho mai sentito parlare, dopo una ricerca veloce scopro che si tratta di una malattia paralizzante, "che può colpire tutti": ti addormenti un attimo sul divano dopo una serata trascorsa in discoteca con gli amici, dove peraltro non hai neanche ballato ma ti sei divertito lo stesso, ti addormenti contento e bum. Quando ti svegli sei bloccato, com’è successo a Severino, un 21 ottobre. I medici non si spiegano come, ma a poco più di 36 anni un trombo ha ostruito la sua arteria basilare destra, determinando una trombosi che ha provocato un'ischemia notevole, con conseguenze fisiche terribili, totalmente paralizzanti.
Severino non parla più. Un ictus al tronco-encefalo. Qui è il dottor F che parla: "lo so: ora non riesci nemmeno a toccare il pollice con l’indice, ma tu dovevi morire; quindi, fuori i coglioni e vieni a trovarmi con il motorino".
Il 22 ottobre 1995 Severino Mingroni, giovane bidello all’Università di Chieti, muore così d’improvviso, senza spiegazioni. Sì, Severino seppellisce la sua vecchia vita e ne comincia una nuova. A denti stretti sua madre e sua sorella lo sostengono, lo aiutano a cominciare da zero; lui, a pugni stretti (in senso metaforico perché di fatto non può stringerli), arrabbiato, si fa aiutare.
"Tutti quei corpi danzanti non li dimenticherò mai".
In questa nuova vita gioca un ruolo fondamentale Sandra, una terapista italoamericana che nel maggio 1997 lo pone davanti allo schermo di un computer, nella stanza di terapia occupazionale dell’ospedale Santo Stefano di Casoli; gli applica un piccolo e moderno puntatore sulla fronte: muovendo la testa, fa muovere di conseguenza la freccia del mouse sul video del pc, scegliendo e selezionando le lettere da digitare su una tastiera su schermo, in modo da poter scrivere sul foglio Word.
«Era sotto il Natale 1998, Gianni mi collegò e: Dio Santo, che meraviglia infinita è internet! Il primo sito lo scelse mio cognato: era quello della sua squadra del cuore, l’Inter. Io, invece, volli vedere quello di Blob, della Rai. Ma c’era anche la fantastica posta elettronica. Di conseguenza, mi studiai bene sia Internet Explorer, sia Outlook Express.
George Leotti era il texano creatore della SofType con Dragger, la mia tastiera a video con mouse virtuale. Gli scrissi subito dicendogli: mi scuso per il mio pessimo inglese, ma voglio ringraziarti sinceramente perché, per merito del tuo software, è finito il mio isolamento. Poche ore ed ecco la risposta: "non scusarti per il tuo inglese: nonostante il mio cognome, non parlo una parola di italiano. In ogni caso, sono felice di esserti stato tanto d’aiuto". Pensai due cose: primo, grazie ad internet avevo varcato pure i confini italici e ora anche il Texas era nel mio computer; secondo, nell’Ohio forse viveva un George Mingroni che non parlava lo stesso italiano. Nel 1913 infatti, mio nonno paterno emigrò nella città di Bellaire, in Ohio appunto, e lavorava come bracciante agricolo; poi, lui ritornò in Italia, ma alcuni suoi fratelli rimasero in America; e ora ci sono più Mingroni sconosciuti lì che qui».
Sandra e George Leotti nutrono il giovanissimo Severino Mingroni. Inesperto nel labirinto della rete, ma abbastanza curioso per affrontarlo, diventa ben presto un blogger, uno scrittore, racconta la sua rinascita a La Repubblica che pubblica la sua storia.
Nel novembre 2000 entra in contatto con i Radicali, anche se solo un anno dopo conosce la figura di Luca Coscioni, un giovane uomo ammalatosi di Sla.
Grazie a lui legge il rapporto Dulbecco. Viene a conoscenza dell'esistenza del notiziario telematico quattordicinale Cellule staminali (edito dall'ADUC, l'Associazione per i diritti degli utenti e consumatori) e si iscrive subito alla neonata Associazione Luca Coscioni attiva sul fronte della libertà di ricerca scientifica. Lì c’è tutto il materiale sulle cellule staminali, embrionali comprese: notizie, ogni due settimane, dall’intero globo, leggi, documenti, situazione mondiale.
«Il 2003 fu l’anno più felice della mia vita infernale: avendo continuamente da leggere sui vari siti radicali e dell'ADUC, non fui quasi mai depresso nel suo trascorrere. Potete immaginare come rimasi di merda quando, domenica 28 settembre 2003, ci fu il blackout elettrico nazionale: il mio monitor rimase scuro, il mio mondo si eclissò per circa un giorno».
Severino, parlando del suo passato, si definisce "un italiota, che si affidava a Bertinotti e Santoro, che guardava la Rai", e del suo presente come "una mummia pensante, un ex normodotato ormai locked-in depresso".
Ecco come lo vedo io: Severino è un militante radicale, autore della rubrica Satellite Hotbird su Agenda Coscioni, un uomo dignitoso che protesta senza voce, che si agita senza muovere un muscolo, che dà voce a chi si trova nella sua stessa condizione, ai milioni di disabili che non sanno come far valere i loro diritti, che credono di non poterli recuperare, un uomo determinato che riconquista quei diritti, a tutti i costi. Nell'autunno del 2007 vota per la prima volta a casa, per le primarie del Pd, annulla la scheda, ma quel che importa è votare, votare, quel sacrosanto diritto a dire la propria opinione o nel caso nel non essere d'accordo con l'opinione in questione.
«Ben diverso dal "mio" referendum sulla legge 40: allora impiegai circa 45 minuti per votare, tra andata e ritorno dal seggio, seggio tra l’altro vicino a casa mia. Possibile che chi deve legiferare non capisca che obbligare un disabile molto grave ad andare al seggio se vuole votare sia economicamente forse più dispendioso, nonché una tortura democratica?».
Severino è un uomo che si fa forza, che dà forza. Ho stretto la mano a Severino Mingroni il 30 agosto, in occasione della mia settimana estiva abruzzese. Ricordo la sua stanza piena di vita: libri, musica, cinema, una finestra aperta sul balcone che dà sulle strade di Casoli e molte finestre virtuali di dialogo aperte sul monitor.
Ricordo che non appena scriveva una parola, provavo a intuire cosa volesse dirmi. Ho parlato senza mai perdere il filo, senza inciampare sulle parole, eppure ero sempre indietro.
Severino è un uomo che sa comunicare, va oltre le parole scritte, comunica con lo sguardo, con gli occhi. Comunica tacendo, perché conosce il linguaggio del silenzio. Comunica ridendo con il naso.
Severino è un uomo che conosce i linguaggi dell’empatia, la capacità di comprendere cosa un'altra persona sta provando. E mi ha aiutata. Sì, lui mi ha aiutata .
La nostra fiducia può essere spezzata e le nostre mani legate, ma aprendo le menti e i cuori possiamo riempire il vuoto che c’è.

lunedì 20 settembre 2010

Seneca


... Che non ti manchi mai la gioia, anzi che ti nasca in casa; e nascerà, purché essa sia dentro a te stesso. Le altre forme di contentezza non riempiono il cuore, sono esteriori e vane. È lo spirito che dev'essere allegro ed ergersi pieno di fiducia al di sopra di ogni evento. Credimi, la vera gioia è austera.
-- Lucio Anneo Seneca

Bertolt Brecht



Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a difendermi

venerdì 17 settembre 2010

Elsa Morante - La storia


La Storia uscì nel 1974 in flagrante controtendenza rispetto alla letteratura del suo tempo. Alla sperimentazione sulle forme e alle prospettive quasi esclusivamente autoreferenziali ereditate dal decennio precedente, Elsa Morante opponeva inopinatamente un romanzo fluviale, costruito sul modello della narrativa popolare ottocentesca, con largo e franco dispiegamento di sentimentalismi e patetismi.
Ma l'operazione era ben più raffinata di quanto potesse apparire a prima vista: attraverso la vicenda di morte e follia costruita, nella Roma della seconda guerra mondiale, intorno al personaggio della maestra elementare Ida Ramundo, l'autrice non intendeva soltanto mettere in luce lo spietato meccanismo di una Storia fatta dai potenti che schiaccia e distrugge senza neanche accorgersene milioni e milioni di poveri e piccoli esseri umani, destinati al ruolo esclusivo delle vittime. Intendeva anche, e con forza inusitata, richiamare la letteratura alle sue responsabilità morali e civili, additando la necessità per lo scrittore di recuperare quel ruolo di "insegnante" e di depositario della coscienza collettiva che aveva naturalmente incarnato nell'Ottocento.
Provocatorio e insieme ingenuo, primitivo e insieme profondamente avvertito, pessimista e insieme consolatorio, il romanzo ci appare ancora oggi come un'opera "totale", frutto di una carica progettuale di grande originalità, che ne fa certamente il più cospicuo lascito della scrittrice ai suoi difficili tempi
.
Fonte: repubblica

giovedì 16 settembre 2010

Pinturicchio

Ora che il silenzio avvolge la notte, sento il bisogno di pregare, nuovamente, con le parole del Cardinale John Henry Newman :

Guidami, dolce luce, nelle tenebre che mi sommergono, guidami verso l'alto.
La notte è fonda e sono lontano da casa:
guidami verso l'alto! Dirigi i miei passi, perchè non vedo nulla; fà che veda a ogni mio passo.
Un tempo non ti avrei pregato per farlo. Da solo volevo scegliere il cammino, credendo di poterlo determinare con la mia luce, malgrado il precipizio. Con fierezza elaboravo i miei obiettivi. Ma ora dimentichiamo tutto ciò.
Tu mi proteggi da tanto tempo e accetterai di guidarmi ancora: oltre le paludi, i fiumi e gli scogli che mi attendono al varco, fino alla fine della notte, fino all'aurora in cui gli angeli mi faranno segno. Ah! Io li amo da molto tempo, solo per un pò li avevo dimenticati.

Una musica mai sentita prima... meravigliosa.



Il Virginian era un piroscafo che, durante il periodo in mezzo alle guerre mondiali, trasportava ricchi e poveri dall’Europa all’America, e viceversa.
Dicono che nel Virginian si esibisse ogni sera un pianista straordinario , dalla tecnica strabiliante, capace di suonare una musica mai sentita prima, meravigliosa.
Dicono che la sua storia fosse pazzesca, che fosse nato su quella nave e che da li non fosse mai sceso . … nemmeno quando il Virginian doveva essere distrutto. Neanche in quel giorno, Novecento scese.
Dicono che nessuno sapesse perché.

............................ Immagini relative a JACK VETTRIANO


Zollikerberg


[ … ]

Arrivò Natale e poi capodanno. Le B ………. organizzarono una festa nella loro casa, un villino posto in cima allo Zollikerberg, una località situata alla periferia a sud- est di Zurigo.
Da Bellvueplatz, uno dei più importanti nodi stradali, sulla sponda destra della Limat dove il fiume defluisce dal lago, si prende il tram che porta a Rehalp e da lì, proseguendo lungo la Frochstr., passando per Waldburg, si sale fino all’abitato di Zollikerberg.
Eugenio, Nicolino, Riccardo…. Marisa, Giovanna, Adriana, Maria Silvia, Iris, Rosenmary.

C’era anche Ornella che, solitamente non faceva parte del nostro gruppo.
I genitori di Adriana e di Marisa nel salotto e noi nello scantinato trasformato in sala da ballo. Ricordo la musica, Adriana che cercava le canzoni di Adamo, l’allegria, i giochi in attesa della mezzanotte.
La neve era caduta abbondante. A mezzanotte le ragazze decisero di uscire per una passeggiata nel bosco. Il padre di Adriana mi prese da parte e mi disse:

“mi raccomando, che non accada nulla” e mi affidò sua figlia.
Tornammo, io e gli altri giovani, a Zurigo a piedi, attraverso il bosco ….

Zollikerberg
E a te che penso
lungo la strada che scende,
fredda,
attraverso il bosco,
le luci della notte.

Le cose che ho,
che non ho,
che vorrei avere per dare.
L’amore che cerco,
che non ho,
che vorrei avere per amare.
Dire: “ti amo”
a te che ascolti...
è solo illusione
il sogno che ho fatto
lungo la strada che scende.


Sto per lasciare Zurigo. E’ una scelta ragionata se scelta si può chiamare quella di uno che non ha nulla per scegliere tranne i suoi anni. [ …. ]

Federico Garcia Lorca - Il Silenzio

Colore testoAscolta, figlio, il silenzio.
E' un silenzio ondulato,
un silenzio,
dove scivolano valli ed echi
e che piega le fronti
al suolo.

Pagine D'Annunziane


Da: "Il Piacere"

"L' educazione d' Andrea era dunque, per così dire, viva, cioè fatta non tanto su i libri quanto in cospetto delle realtà umane. Lo spirito di lui non era soltanto corrotto dall' alta cultura ma anche dall' esperimento: e in lui la curiosità diveniva più acuta come più si allargava la conoscenza. Fin dal principio egli fu prodigo di sé; poiché la grande forza sensitiva, ond' egli era dotato, non si stancava mai di fornire tesori alle sue prodigalità. Ma l' espansione di quella sua forza era la distruzione in lui di un' altra forza, della FORZA MORALE, che il padre stesso non aveva ritegno a deprimere. Ed egli non si accorgeva che la sua vita era la riduzione progressiva delle sue facoltà, delle sue speranze, del suo piacere, quasi una progressiva rinunzia; e che il circolo gli si restringeva sempre più d' intorno, inesorabilmente sebbene con lentezza.
Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: "Bisogna FARE la propria vita, come si fa un' opera d' arte. Bisogna che la vita d' un uomo d' intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui."
Anche, il padre ammoniva: "Bisogna conservare ad ogni costo intera la libertà,
fin nell' ebbrezza. La regola dell' uomo d' intelletto, eccola: - HABERE, NON HABERI."
Anche, diceva: "Il rimpianto è il vano pascolo d' uno spirito disoccupato. Bisogna sopra tutto evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni e con nuove immaginazioni."
Ma queste massime VOLONTARIE, che per l' ambiguità loro potevano anche essere interpretate come alti criteri morali, cadevano appunto in una natura INVOLONTARIA, in un uomo, cioè, la cui potenza volitiva era debolissima.
Un altro seme paterno aveva perfidamente fruttificato nell' animo di Andrea: il seme del sofisma. "Il sofisma" diceva quell' incauto educatore "è in fondo ad ogni piacere e ad ogni dolore umano. Acuire e moltiplicare i sofismi equivale dunque ad acuire e moltiplicare il proprio piacere o il proprio dolore. Forse, la scienza della vita sta nell' oscurare la verità. La parola è una cosa profonda, in cui per l' uomo d' intelletto son nascoste inesauribili ricchezze. I Greci, artefici della parola, sono infatti i più squisiti goditori dell' antichità. I sofisti fioriscono in maggior numero al secolo di Pericle, al secolo gaudioso."


GABRIELE D' ANNUNZIO



...............................................Palazzo Farnese - Galleria Farracci
.
.
All’estetismo che è il tema di fondo del romanzo, si intreccia il motivo religioso secondo la tendenza di certi autori del Decadentismo europeo ( Wilde, Huysmans), portati a vivere anche il sentimento religioso come sensazione estetica, come esperienza di bellezza. Non manca la nota sensuale che in D’annunzio è strettamente congiunta a quella artistica…
Attraversando le pagine del romanzo, alla ricercatezza degli interni corrisponde la straordinarietà del paesaggio esterno, che assume , a sua volta, carattere prezioso.
Il romanzo , in altre pagine cioè non in quella scelta, racconta l’amore di Andrea per Roma … non la Roma dei Cesari ma la Roma dei Papi; non la Roma degli Archi, delle Terme, dei Fori, ma la Roma delle ville, delle Fontane, delle Chiese.
Commentando questa predilezione possiamo dire che in D’Annunzio vi è ‘’ un capovolgimento della romanità che aveva caratterizzato tanta cultura italiana ed aveva , ai tempi del Piacere, il suo vate nel Carducci. ( S. Guglielmino) La Roma prediletta di Sperelli è invece quella tardo rinascimentale e barocca, dalle cui ville e dalle cui piazze emana per lui il fascino di una civiltà nella cui raggiunta opulenza si sente già l’artificio, un sentore di disfacimento’’.

Arthur Rimbaud secondo ROBERTO MUSSAPI


UN GRIDO LEVATO VERSO IL CIELO

''Non esiste vera poesia che non parli dei suoi lettori, quali che siano, e non li costringa a prendere coscienza almeno di una parte di ciò che sono''. Partiamo bene: una definizione fulminante della poesia, di uno dei suoi maggiori rappresentanti contemporanei, Yves Bonnefoy. È vero, una vera poesia parla a me che la sto leggendo, certo, ma parla anche di me, proprio mentre la sto leggendo. Io sono un poeta, ma la stessa poesia parla anche al lettore che non è né scrittore né letterato, e scorrendo i suoi versi egli si accorge che il poeta sta parlando di lui. Ecco perché dopo la lettura di una grande poesia noi abbiamo la sensazione di sapere già quanto abbiamo letto, di averlo conosciuto un tempo, ma poi dimenticato. La poesia ridesta cose che sapevano di noi stessi, e che erano svanite misteriosamente, come miracolosamente riappaiono.

Queste parole leggiamo all’inizio del saggio in cui Yves Bonnefoy raccoglie e organizza una summa delle sue riflessioni e pubblicazioni su Arthur Rimbaud, il grande poeta francese divenuto simbolo della poesia stessa e della sua radicale potenza rivoluzionaria ('Rimbaud. Speranza e lucidità', uscito da Donzelli mentre Mondadori sta per dare alle stampe il Meridiano che raccoglie 'L’opera poetica' di Bonnefoy). L’esordio è straordinario: afferma che Rimbaud è stato causa della conoscenza di se stesso, come pochi altri poeti. Dante, Shakespeare, Yeats, splendono nella costellazione di Bonnefoy, ma il duo Baudelaire-Rimbaud ha un ruolo centrale, inevitabilmente: sono francesi, cioè maestri della lingua in cui egli scrive, e moderni, affacciati al mondo in cui Bonnefoy inizia la sua avventura poetica. Sono consanguinei per lingua, vicini per epoca, ma non tanto da essere avvolti nell’aura assoluta del classico. Ancora capaci di presenza vivente, non esclusivamente esemplare come saranno quelle di Leopardi e William Butler Yeats, per non parlare di Shakespeare. Rimbaud non è un poeta che splenda nella mia costellazione, a differenza di Coleridge, Keats, Foscolo, Rilke, del suo connazionale Baudelaire, di Eliot. Ho superato da lustri l’antipatia per la sua mitologia esistenziale: scappa di continuo del villaggio in cerca di avventure, fugge col poeta Verlaine scoprendo una natura omosessuale, si esalta per la rivoluzione e il progresso, termina precocemente la sua precocissima stagione poetica per scomparire in Africa con attività più confuse che misteriose. Il maledettismo di Rimbaud, divenuto mito per molti poeti suggestionabili, mi dava fastidio, come in pittura il pagliaccio con la lacrima. Ma, ripeto, da almeno trent’anni mi sono liberato da questo condizionamento. Le mie riserve su questo comunque grande e ineludibile poeta si basavano sulla sua empietà, sul rifiuto del divino identificato, a mio parere in modo adolescenziale, con la società borghese e l’Europa cristiana.

Sentivo più vivo, eroico, il cammino notturno di Baudelaire nella Parigi popolosa e sinistra, i lampi di luce e compassione, l’anelito, nel buio, alla bellezza. All’empietà di Rimbaud, il nulla metafisico in un cielo limpidissimo e su campi verdi di bellezza radiante, preferisco l’empietà di Yeats, la sua troposfera e i suoi laghi irlandesi popolati di divinità pagane o animistiche, impregnati di mistero. Ma il saggio di Bonnefoy, nella sua dimensione completa, costringe a moderare la mia posizione critica: in questa summa, più che nei saggi in essa contenuti e letti nel passato, emerge la potenza di un poeta che interroga il cielo, lo vede vuoto, e affida la speranza a un grido. Un verso. Una speranza cieca, un’affermazione di vita meravigliosa nel suo nichilismo.

Rimbaud non trova Dio ma non lo irride. Lo provoca, lo cerca, e non sentendone la risposta si butta nella piena bellezza del reale, nell’estasi delle cose, nell’unico caso di panismo moderno. Senza pace. Ma, come insegna il grande Bonnefoy, «non esiste forse mai pace in quell’impresa fondamentalmente duale che viene detta poesia
».

martedì 14 settembre 2010

William Shakespeare - Quando seguo l'ora


Quando seguo l'ora che batte il passar del tempo
e vedo il luminoso giorno spento nella tetra notte,
quando scorgo la viola ormai priva di vita
e riccioli neri striati di bianco,
quando vedo privi di foglie gli alberi maestosi
che un dì protessero il gregge dal caldo
e l'erbe d'estate imprigionate in covoni
portate su carri irte di bianchi ed ispidi rovi,
allor, pensando alla tua bellezza, dubbio m'assale
che anche tu te ne andrai tra i resti del tempo,
perché grazie e bellezze si staccan dalla vita
e muoiono al rifiorir di altre primavere:
e nulla potrà salvarsi dalla lama del Tempo
se non un figlio che lo sfidi quand'ei ti falcerà.

Bartolomé Esteban Murillo

lunedì 13 settembre 2010

Strade


Quella sera, mentalmente stanco piuttosto che rientrare a casa, a Luino, presi la via delle montagne.
Prima a Sessa, sul confine Svizzero poi verso Lavena Ponte Tresa, poi non so…verso Marchirolo, credo, non ricordo bene.
Ricordo le salite, le curve e le discese tanto simili alla vita che avevo avuto. Guidare la macchina riusciva a distendermi, a riposare la mente, a vincere lo stress accumulato dopo un giorno di lavoro.
Accadeva sempre di venerdì. Girovagavo lungo la frontiera prima di rientrare a casa o partire. Certe volte decidevo per Zurigo, altre per Lugano o Locarno.

D’inverno, dopo le salite e le discese rientravo a casa. Amavo la frontiera, quel luogo messo tra laghi e monti a cavallo tra due patrie, una, quella del lavoro, l’altra, quella della casa e dei diritti civili.
“Sposati !” mi aveva detto Bice, l’anziana professoressa di lettere e filosofia conosciuta a Zurigo “ non lasciarti scappare l’A..… ”.
Una sera invitai A...… in un bar ristorante di piazza Indipendenza, a Lugano. Arrivai in anticipo.
Seduta ad un tavolo una giovane donna. Era di Barcellona e sorrideva. Era bella e sapeva di esserlo …e sorrideva.
La vita è fatta di salite e discese, di quadrivi che interrogano. Ti fermi per decidere e spesso sbagli strada .

domenica 12 settembre 2010

Sogno di una notte di mezza estate” – W. Shakespeare - Atto V - Scena I - Conclusione


Se l'ombre nostre v'han dato offesa,
Voi fate conto v'abbian colto
Queste visioni così a sorpresa,
Mentr'erravate in preda al sonno;
In lieve sonno sopiti, ed era
Ogni visione vaga chimera.
.
Non ci dovete rimproverare
Se vana e sciocca sembrò la storia;
Ne andrà dissolta ogni memoria,
Come di nebbia se il sole appare;
Se ci accordate vostra clemenza,
Gentile pubblico, faremo ammenda.


E com'è vero ch'io son folletto
Onesto e semplice,
sincero e schietto,
Se pure ho colpe, non mai ho avuta
Lingua di serpe falsa e forcuta;
Pago l'ammenda senza ritardo,
O mi direte che son bugiardo.

Ora vi auguro sogni felici,
Se sia ben vero che siamo amici,
E ad applauso tutti vi esorto,
Poiché ho promesso che ad ogni torto
A voi causato per inesperienza,
Gentile pubblico, faremo ammenda."
“Sogno di una notte di mezza estate” – W. Shakespeare
monologo del folletto Puck.

William Shakespeare - Sonetto 54



Oh, di quanto più bella sembra
dal soave ornamento che la virtù le dona;
bella la rosa appare, ma più bella si tiene
per quel dolce profumo che a lei dentro vive;
rose canine han fiamma tanto intensa
quanto la profumata tinta delle rose,
stanno su eguali spine, sì gaiamente giocano
quando alito d'estate schiude quei bocci ascosi:
ma poi che il lor pregio sta solo in apparire
non corteggiate vivono, e trascurate avvizzano,
muoiono per sé sole. Non così soavi rose,
di lor morte soave, profumi soavissimi son tratti:
in tal modo di te, bello adorabil giovane,
come quella svanisca, distilla il mio verso la virtù.

Sarebbe bello averti vicina
adesso che tramonta il giorno

Questa stanza da pittore
troverebbe luce e spazio
e
.... arriverebbe
...........silenziosa la sera
a sussurrare parole d’amore.

Che ne so perché
di quest’ansia strana
che sale e stringe il petto,
perché non dormo.

Che fai …
.....dove stai…
............con chi sei …

E’ triste star soli
adesso che tramonta il giorno


(Giovenale Nino Sassi)

Sonetto 22 di William Shakespeare


Non mi convincerà lo specchio ch'io sia vecchio,
fin quando tu e giovinezza avrete gli stessi anni;
ma quando vedrò il tuo volto solcato dalle rughe,
allora m'aspetto che morte termini i miei giorni.
Infatti, tutto il decoro di tua bellezza
non è che luminosa veste del mio cuor
che vive nel tuo petto, come il tuo nel mio:
e allora come potrei essere di te più vecchio?
Perciò, amore mio, abbia di te gran cura,
come anch'io farò, non per me, ma per tuo bene,
costudendo il tuo cuore teneramente,
come nutrice col suo bimbo, che non gli incolga male.
Non contare sul tuo cuore quando il mio sia spento;
tu me lo donasti non per averlo indietro.

sabato 11 settembre 2010

Le sedie dormono in piedi - Nazim Hikmet, Mosca, 1961


Le sedie dormono in piedi
anche il tavolo
il tappeto sdraiato sul dorso
ha chiuso gli arabeschi
lo specchio dorme
gli occhi delle finestre sono chiusi
il balcone dorme
con le gambe penzolanti nel vuoto
i camini sul tetto dirimpetto dormono
sui marciapiedi dormono le acacie
la nuvola dorme
stringendosi al petto una stella
in casa fuori di casa dorme la luce

ma tu ti sei svegliata
mia rosa
le sedie si sono svegliate
si precipitano da un angolo all’altro anche il tavolo
il tappeto si è messo a sedere
gli arabeschi hanno aperto i petali
lo specchio si è risvegliato come un lago all’aurora
le finestre hanno spalancato
immensi occhi azzurri
il balcone si è risvegliato
ha tirato su dal vuoto le gambe

i camini dirimpetto si sono messi a fumare
le acacie han cominciato a chiacchierare
sui marciapiedi
la nuvola si è svegliata
ha lanciato la sua stella nella nostra stanza
in casa fuori di casa la luce si è risvegliata
si è versata sui tuoi capelli
è colata tra le tue palme
ha cinto la tua vita nuda i tuoi piedi bianchi”.

venerdì 10 settembre 2010

Vladimir Majakovskij - Notte di Luna


A Sud e ad Ovest piove ma qui, in questa terra antica, un cucchiaio argentato ruba alle nubi la notte, illumina i boschi e i tetti delle case che, veloci, scendono a valle.


Notte di Luna

Verrà la luna
è già apparsa
un po'!
Ma eccola sospesa
piena nell'aria
Deve essere Dio
che con un meraviglioso
cucchiaio d'argento
Rimesta la zuppa di pesce stellare

mercoledì 8 settembre 2010

Amai di Umberto Saba


Giovanni Fattori


Amai trite parole che non uno
osava. M'incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo.

Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l'abbandona.

Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.


***


Nel corso della sua vita, Saba, a lungo incompreso dalla critica, si trovò a dover difendere la propria opera, a riflettere su di essa e a formulare enunciazioni di poetica.

Una di tali enunciazioni si può leggere nella poesia ''Amai'', tratta dalla selezione Mediterranee (1946).

Il poeta afferma di aver amato sempre un linguaggio semplice, fatto di parole e di rime che i poeti non usano più, l'unico linguaggio, tuttavia, che gli sembra capace di comunicare la verità dolorosa che è nel fondo del suo cuore.




Alda Merini - Io non ho bisogno di denaro


Io non ho bisogno di denaro.

Ho bisogno di sentimenti,di parole,
di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti....
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.


Come Alda Merini non ho bisogno di denaro, di posizioni di potere… e così via ma di amore, amore vero…di dolcezza, vicinanza, di alberi ombrosi lungo i viali della vita e canzoni ‘’raccontate’’ come favole nelle fredde sere d’inverno.

lunedì 6 settembre 2010

Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?... Questioni di ieri e di oggi


Cicerone, Orazione I contro Catilina….

Fino a quando, Catilina, continuerai ad abusare della nostra pazienza?
Per quanto tempo ancora il tuo folle comportamento si farà beffe di noi?
Fino a che punto si scatenerà questa tua temerità che non conosce freno?

Non ti fanno nessuna impressione ne il reparto armato che di notte presidia il Palatino, né le pattuglie che svolgono servizio di ronda in città, né l'ansiosa preoccupazione del popolo, né il concorde accorrere di tutti i buoni cittadini, né questa sede così ben fortificata per la seduta del senato, ne l'espressione del volto dei presenti?
Non t'accorgi che le tue trame sono palesi?
Non vedi che la tua congiura, conosciuta com'è da tutti i presenti, è ormai tenuta strettamente sotto controllo?
Chi di noi, a tuo avviso, ignora cos'hai fatto la notte scorsa e quella precedente, dove sei stato, chi hai convocato, che decisione hai presa?


[ .... .... .... ] ….. tu sei stato capace non solo di non tenere in nessun conto ne leggi ne giustizia, ma pure di sovvertirle e distruggerle. Ora, i tuoi misfatti precedenti, per quanto assolutamente insopportabili, pure li ho sopportati così come ho potuto; ma che adesso io debba vivere ….. nel terrore solo per causa tua, che ad ogni stormir di foglia si debba temer Catilina, che evidentemente non sia possibile ordire nessuna trama ai miei danni che sia indipendente dalla tua delittuosa attività, questo è assolutamente insopportabile.

Vattene dunque e liberami da questo timore: per non soccombere, se è fondato; per cessare una buona volta per tutte di temere, se è privo di qualunque fondamento.

domenica 5 settembre 2010

Heinrich Böll, Opinioni di un clown

Nella Germania del neocapitalismo rampante, il giovane borghese Hans Schnier decide di fare il clown di professione, per assicurarsi una sorta di zona di sicurezza ideologica, compromessa il meno possibile con poteri forti e piccoli che paiono ormai non avere più limiti. E' una scelta difficile e rischiosa, che gli fa perdere l'amatissima compagna Maria, troppo "regolare" e timorata per stargli accanto, e che lo riduce infine in una sorta di sottosuolo spirituale, da lui praticato nella disperazione immedicabile di una solitudine assoluta. Scritto nel 1963, Opinioni di un clown è forse il romanzo più cupo e più "impegnato" che Heinrich Böll abbia mai scritto. La disumanità di una popolazione che nella rincorsa affannosa del profitto ha trovato il miglior narcotico per tacitare i forti, quasi insostenibili, sensi di colpa che la storia recente avrebbe dovuto ispirarle, risalta, a fronte del miserando destino di Hans, in tutto il suo terribile rilievo. Nella società tedesca dei primi anni Sessanta non c'è rimorso perché non c'è memoria, né cultura. E lo stile asciutto di Böll, del tutto privo del benché minimo compiacimento lirico o effusivo, ci colpisce col ritmo martellante di un atto d'accusa inappellabile, dal quale non possiamo non sentirci toccati un po' tutti: all'Orrore della prima metà del secolo, sembra dire lo scrittore, subentra nella seconda l'Indifferenza, altrettanto ottusa, altrettanto micidiale; e il povero clown inutilmente ribelle può ben assurgere a rappresentante di una serie infinita - e sommersa - di vittime innocenti.




(Fonte: Repubblica)

venerdì 3 settembre 2010

Il "Notturno" di Alcmane

Dormono le cime dei monti e le gole
e le balze e le forre
e la selva e gli animali che nutre la terra scura
e le fiere montane e la stirpe delle api
e gli animali negli abissi del mare cangiante:
dormono le specie degli uccelli dalle ali distese.



εὕδουσι δʼ ὀρέων κορυφαί τε καὶ φάραγγες
πρώονές τε καὶ χαράδραι
φῦλά τʼ ἑρπέτ' ὅσα τρέφει μέλαινα γαῖα
θῆρές τʼ ὀρεσκώιοι καὶ γένος μελισσᾶν
καὶ κνώδαλʼ ἐν βένθεσσι πορφυρέας ἁλός·
εὕδουσι δʼ οἰωνῶν φῦλα τανυπτερύγων.