SAGGIO CRITICO DI J.T.PARREIRA.
LE IMPALCATURE DELLE ROVINE
Lo scrittore irlandese James Joyce, il cui alter ego era Stephen Dedalus, protagonista dell’omonimo romanzo, creò il moderno Ulisse, nell’altro suo romanzo dai complicati congegni narrativi. Questo romanzo è un ‘’magnifico accumulo di rovine’’, come scrisse qualche tempo dopo uno storico della letteratura, Walter Allen. Un cumulo di rovine che tuttavia non mancava di impalcature che lo sostenessero, il termine usato da Ezra Pound per definire la struttura del celebre romanzo di Joyce.
Leggendo, a lungo e con pazienza, il libro (quelli che riescono a farlo!), si comprende il senso di quella parola usata da Pound.
Non c’è tanto la descrizione di una giornata qualsiasi della vita di Leopold Bloom, con tutti i suoi pezzi organizzati in una struttura. Assistiamo alla giornata di un nuovo Ulisse, la figura che dà il titolo al romanzo e ne costituisce il nume tutelare.
Le figure archetipiche dell’antenato Omero riappaiono nel romanzo moderno di Joyce. Della mitica Odissea resta solo il protagonista. Come dire: l’archetipo letterario si trasforma da universale in particolare. Si trasforma da ciclo mitico in storia particolare.
Dal mito perduto nella sua lontananza all’esperienza reale di una giornata come il 16 giugno 1904.
L’archetipo, con la sua forma consolidata, viene stravolto attraverso un uso particolare della lingua, la stessa che in Omero garantisce la compattezza del racconto mitico e la sua autorità.
Da un modello cosmogonico fisso alle storie particolari di vari personaggi sempre in movimento e in trasformazione, cittadini comuni di una grande città. Il senso è una critica alla mentalità e al costume del primo Novecento. Il passaggio dal modello alla sua riscrittura creativa avviene attraverso il trapianto di elementi della vita moderna.
L’opera dell’aedo cieco, Omero, padre dell’Odissea, trova nell’Ulisse di Joyce la sua ricreazione concentrata, un decennio in una giornata di 18 ore.
L’incipit:
Cantami, o Musa, dell’uomo d’ingegno,che dopo aver distrutto la sacra città di Troia, molto errò per terre e mari…
Il viaggio di Bloom, l’Ulisse di Joyce, ha un inizio meno difficoltoso:
Leopold Bloom mangiava con gusto gli organi interni di quadrupedi e uccelli(…) ma più di tutto gli piacevano le reni di montone alla griglia…(…)-Darò un colpo nell’angolo. Di ritorno in un minuto. E dopo aver udito la propria voce aggiunse:-vuoi qualcos’altro adesso?
Anche chi non è un lettore assiduo di Ulysses, sa che Leopold Bloom esce di casa il giorno 16 giugno per andare alla macelleria per comprare del rognone. Il celebre schema di Gilbert (che mette in parallelo le vicende dell’Odissea e dell’Ulysses) dice che ‘’Leopold Bloom fece colazione prima di salutare la moglie Molly, che era ancora a letto’’.
Nella comparazione proposta dallo ‘’Schema Gilbert’’, nella seconda parte del romanzo, come nella seconda dell’Odissea, Leopold Bloom incontra la ninfa Calypso. Il rapporto tra i due personaggi nel romanzo è opposto a quello delineato nel poema. Nel poema classico di Omero, Calypso, figlia di Atlante tiene in uno stato di languorosa prigionia Odisseo per molti anni. Leopold Bloom, il personaggio principale del romanzo di Joyce, ha quel rapporto di sottomissione con la moglie Molly, arrivando a servirle, come uno schiavo, la colazione a letto, prima di uscire.
Iniziando la sua giornata, che verrà chiamata più tardi Bloomsday, saluta la moglie che è ancora sdraiata nel letto alle otto del mattino.
Alla fine di quella stessa giornata, nell’Ulysses, Leopold rientra casa rigenerato: gli avvenimenti del giorno lo hanno fatto come rinascere. Sebbene la sua ‘’Itaca’’, la casa al numero 7 di Eccles Street dove ritorna, rappresenti ancora la routine della sua vita ordinaria, e la sua ‘’Penelope’’ non sia una moglie del tutto fedele che a volte cede alle proposte di altri uomini.
Al contrario, nell’Odissea omerica, la sposa di Odisseo oppone resistenza i suoi pretendenti che, durante i dieci anni di assenza del marito, tentano di prenderne il posto.
L’idea della rinascita di Bloom ci sembra in linea con il pensiero dell’autore.
In uno dei tre soli libri di poesia di Joyce, Pomes Penyeach, si ripetono i temi dell’Ulysses.
Soprattutto nella poesia ‘’Il Sant’Uffizio’’: iconoclasta, anticlericale, schierata contro il cattolicesimo romano, come tutta l’opera di Joyce: una difesa e al tempo stesso una satira dell’Irlanda, contro le istituzioni, contro W.B. Yeats e altri intellettuali della sua generazione.
Il testo meta-letterario e satirico è costruito con molti riferimenti intertestuali, usati come argomenti di critica e di invettiva ad hominem, che vengono paragonati, per la loro irriverenza, a certi passaggi delle satire di Quevedo, o ad altri scrittori satirici medievali, per esempio nella censura delle indulgenze che salvano l’anima di chi le riceve da una futura permanenza in Purgatorio. Citiamo alcuni versi come prova:
‘’Per arrivare in cielo, devi passare dall’inferno,/ essere pietoso e terribile,/un uomo ha bisogno realmente del sollievo/che danno le indulgenze plenarie’’.
(TRADUZIONE DI ALESSANDRA SCIACCA BANTI)
http://alexandra3.splinder.com/post/15640494/le-impalcature-delle-rovine
2 commenti:
Non so se ti è mai capitato di ascoltare questa straordinaria intervista a Carmelo Bene su Joyce.
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-8baea484-3a84-4a77-b444-07d55d0aa616.html?p=0
un saluto
Vado ad ascoltare... grazie !
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