domenica 8 gennaio 2012

Nell'arca - Wisława Szymborska, Gente sul ponte



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Nell'arca

Comincia a cadere una pioggia incessante.
Nell'arca, e dove mai potreste andare:
versi per una sola voce,
slanci privati,
talenti non indispensabili,
curiosità superflua,
afflizioni e paure di modesta portata,
e tu, voglia di guardare le cose da sei lati.

I fiumi si ingrossano e straripano.
Nell'arca: chiaroscuri e semitoni,
capricci, ornamenti e dettagli,
stupide eccezioni,
segni dimenticati,
innumerevoli varianti del grigio,
gioco per il gioco
e tu, lacrima del riso.

A perdita d'occhio, acqua e l'orizzonte di nebbia.
Nell'arca: piani per il lontano futuro,
gioia per le differenze,
ammirazione per i migliori,
scelta non limitata a uno dei due,
scrupoli antiquati,
tempo per riflettere,
e tu, fede che tutto ciò
un giorno potrà ancora servire.

Per riguardo ai bambini
che continuiamo a essere,
le favole sono a lieto fine.
Anche qui nessun altro finale va bene.
Smetterà di piovere,
caleranno le onde,
nel cielo rischiarato
si apriranno le nuvole
e saranno di nuovo
come si addiceva alle nuvole sugli uomini:
elevate e leggere
nel loro somigliare
a isole felici,
pecorelle,
cavolfiori,
pannolini
-che si asciugano al sole.
.
Wisława Szymborska, Gente sul ponte, 1986, 
trad. it. Pietro Marchesani, Libri Scheiwiller, Milano 1997
.

 ...
 .
Un amico mi ha regalato una poesia. È di Wisława Szymborska , poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura nel 1996.
Si intitola Nell’arca e alcuni versi vorrei portarli con me nell’anno nuovo.
« Comincia a cadere una pioggia incessante » dicono.
« Nell’arca, e dove mai potreste andare: voi, poesie per una sola voce, slanci privati, talenti non indispensabili, curiosità superflua, afflizioni e paure di modesta portata, e tu, voglia di guardare le cose dai sei lati…
Nell’arca: piani per il lontano futuro, gioia per le differenze, ammirazione per i migliori, scelta non limitata a uno dei due, scrupoli antiquati, tempo per riflettere, e tu, fede che tutto ciò un giorno potrà ancora servire.
Per riguardo ai bambini che continuiamo a essere, le favole sono a lieto fine. Anche qui non c’è altro finale che si addica » .
Nel discorso del Nobel, aveva evocato l’intero universo, con le sue distanze abissali, le stelle infinitamente lontane, i pianeti « già morti o ancora morti » , per ricordare che qualunque cosa ne pensiamo, « spaventati dalla sua immensità e dalla nostra impotenza, amareggiati dalla sua indifferenza rispetto alle sofferenze individuali... qualunque cosa noi pensiamo di questo smisurato teatro, il mondo è stupefacente » .

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