giovedì 23 giugno 2011

Ungaretti, Lucca e i diciottenni oggi


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Riflessioni su una poesia che "parla" in modo diverso a chi pensava di aver diritto ai sogni e che chi quei sogni sembrava averli perduti  di  

 Elisa Biagini

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Qualcuno mi rinfreschi la memoria: chi sceglie le poesie per la prova di italiano della maturità? Chi valuta quali siano i versi che riescono a parlare a un diciottenne del 2011, perduto casomai in leopardiane rimuginazioni sul senso della vita e in montaliani momenti di scoperta della sua assenza?

Non gli parla forse di più l'Ungaretti soldato che paragona la vita dei compagni al fronte a quella delle foglie autunnali, testo legato ad un evento storico specifico certo ma che così potentemente nella sua sintesi racconta anche la fragilità del vivere che ci angoscia tutti?
Rileggo "Lucca", scritta dal poeta sopravvissuto alla follia bellica, un nomade che è attratto dalle proprie radici come da calamite (ma poi "qui la meta è partire"), un quarantenne che comincia a fare i conti con gli anni che gli restano, un adulto insomma che dopo l'esperienza di violenza della prima guerra mondiale attinge alla linfa della memoria infantile per capire cosa gli resti da fare. Un adulto che dopo aver flirtato, come tutti, con l'idea della morte, la morte l'ha vista davvero in 3D e adesso cerca stabilità, pur nella sua rassegnazione ("addio desideri, nostalgie"). Ha quasi chiuso il cerchio ("so di passato e d'avvenire quanto un uomo può saperne"), la "meraviglia" non c'è più anzi c'è il "terrore" eppure è adesso che c'è la fusione con il mondo circostante, arrivando a non temere neppure la morte, "non mi rimane che rassegnarmi a morire", purché questo avvenga in modo naturale e non per mano umana.
Ecco, io quarant'anni ce li ho adesso e quei conti li sto facendo: ho lavorato a lungo per imparare a rallentare e osservare per poter poi affondare con minor timore nelle cose e nel mondo ("conosco ormai il mio destino e la mia origine"). Ma a diciott'anni ci sarei riuscita? Certo è però che nel 1988 questa rassegnazione era qualcosa di molto più lontano da un giovane di quanto lo sia oggi: ancora si pensava che fatta l'università si sarebbe trovato un lavoro che ci piacesse, che avremmo potuto permetterci anche il lusso di qualche sogno. Sappiamo bene che oggi non è più così, che il lusso è il lavoro, la normalità, l'idea di un futuro: si nasce rassegnati. "Non mi rimane più nulla da profanare, nulla da sognare" scrive Ungaretti, ma almeno lui il suo sogno se l'è goduto.
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Fonte: Repubblica Firenze / Cronaca / Ungaretti, Lucca e i diciottenni oggi
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L'autrice dell'articolo ha pubblicato per Einaudi "Nel bosco", ha curato "Nuovi poeti americani" e altri volumi

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