Premessa
.
Luciano per i compagni, Sesto per l'anagrafe, è mio padre morto troppo presto e troppo giovane. Di lui ricordo il volto, il fucile a due canne, i racconti della montagna; il racconto delle notti passate all'addiaccio, di quando, insieme ad un partigiano slavo prese a fucilate una colonna di tedeschi in procinto di catturare un gruppo di combattenti rimasto intrappolato dove il fiume Nera si apre e allontana il bosco. Un fatto realmente accaduto.
.
.
“Vado” disse al padre Stefano “ vado con i partigiani”
. Le mani smisero di accarezzare il legno e lentamente ripose la sgorbia ; un silenzio assordante avvolse la bottega , i trucioli sparsi sul pavimento, i mobili in attesa, l’odore delle colle, le tavole accatastate di legno asciutto, stagionato.
Muti i macchinari respirarono il silenzio .
.
Lentamente alzò gli occhi di un azzurro bagnato, impastato dagli anni e guardò il figlio, l’ultimo maschio rimasto, gli altri dispersi e non sapeva dove; quel figlio avuto in vecchiaia , il più amato…
.
Non c’era altro da fare e lo sapeva ma come fai a staccarti da un figlio, il solo in grado di proseguire l’impresa che faticosamente avevi realizzato ?
Una vita spesa per costruire, riparare mobili, sedie, tavoli.
I primi apprendisti da guidare, il lavoro che cresce, la prima esposizione, i clienti che aumentano ma sei solo . Resisti perché hai un figlio, intelligente, istruito, capace.
Puoi fidarti e allora attendi.
Due sono andati dispersi, scomparsi lungo gli anni della guerra; quella guerra che aveva subito odiato .
Socialista della prima ora era rimasto fedele ai suoi ideali. Non aveva aderito al fascismo ed era rimasto quieto .. in disparte.
Le mani rimaste immobili ripresero ad accarezzare il legno.
Immaginò la curva e la profondità dell’intaglio. Riprese lo sgorbio.
“ Non c’è altro da fare “ disse e aggiunse “ non sai nulla della guerra: stai attento! “ tracciò la curva e un truciolo cadde sul pavimento...
.
.
L’adolescenza e la gioventù raccolta in quella decisione.
Lui, con i nazi – fascisti non sarebbe andato.
Ne parlava con gli amici, lo aveva detto ad Emma, la ragazza che amava e al prete.
“Don Franco, con quelli non vado” e il povero prete, disperato, aveva annuito.
Era anche colpa sua se i ragazzi come Luciano detestavano i fascisti, la guerra, quella guerra, le leggi razziali, le riunioni oceaniche e l’ipocrisia delle parole, le tante che ascoltavano come : “Vincere!” Vincere cosa?
Sentivano la mancanza della libertà; la possibilità di dissentire, di proporre, di potersi esprimere .
Rifiutavano l’appartenenza alla folla solitaria plaudente e remissiva.
A quell’idea del destino inevitabile a cui la nazione tutta era votata.
E il destino, quel destino fondato sulle baionette stava rapidamente maturando in catastrofe.
No, lui non intendeva rispondere alla chiamata alle armi.
Meglio la montagna e i boschi ….Meglio la lotta armata contro i nazi-fascisti.
E un brivido l’assaliva pensando alla battaglia, ai morti, alla vita presa o lasciata.
Abbracciò Emma, la strinse forte, forte.
Riempì gli occhi dei suoi, accarezzo i lunghi capelli bruni,
Emma pianse i suoi 16 anni e quelli che pensava di vivere con lui.
***
Partì all’alba di un giorno di settembre. I compagni, alcuni, erano già andati.
Penso di raggiungere Gavelli, sede del comando partigiano, con un giorno di marcia.
Raggiunse la cresta del monte che sovrasta la città ……Guardò la valle : l’autunno cominciava a giocare con i colori e il bosco di licino .
Immerse gli occhi nella valle ; alla città aggrappata alla collina, all’estate appena trascorsa, alla treccia bruna che la sua Emma aveva sciolto per lui.
Un profumo dolcissimo invase la mente.
Raccolse i pensieri, le emozioni e riprese a salire verso Patrico, lungo sentieri che conosceva, lontano dai villini e dai casolari.
Andava verso i monti più alti dell’Appennino , lo zaino leggero sulle spalle , la roncola e un bastone per sostenere i passi, le salite e le discese.
Non aveva armi tranne la roncola e un coltello a serramanico.
Le armi erano sul posto.
Le avevano trafugate con vari colpi di mano dalle caserme di Spoleto, complici alcuni militari in servizio ed erano state portate, di notte, a dorso di mulo fino a Gavelli.
Stavolta non andava a funghi o a caccia di selvaggina ma verso un futuro ignoto,di lotta; un futuro di libertà, diceva a se stesso, da costruire insieme alla sua Emma.
C’era da attraversare il Nera dove un palo gettato tra le sponde e una fune tesa tra due alberi consentiva di raggiungere l’altra riva e non essere visti.
Conosceva quel punto e i boschi circostanti.
***
“Non sai nulla della guerra: stai attento! “
Il monito del padre risuonava nella mente e accompagnava i passi, i pensieri.
Che poteva sapere, lui, a vent’anni, della guerra.
Era rimasto affascinato dai racconti del genero, un piemontese figlio di militari che la guerra, la grande guerra, l’aveva fatta.
Lui, giovane tenente degli alpini era dove i monti sono più alti e il nemico davanti, sull’altra cima uniti dal freddo di quell’ultimo inverno.
C’era stata la disfatta e nessuno sapeva cosa bisognava fare, se andare in soccorso o restare dove faticosamente erano giunti.
Rimase a difesa dei passi delle piccole Dolomiti.
Attacchi e contrattacchi e restare vivo.
Un giorno scese e risali la montagna e la successiva e quella più avanti perché a valle, finalmente, avevano sfondato le linee nemiche.
Andò avanti, attacchi e contrattacchi poi solo avanti al comando della compagnia, di quello che restava perché il capitano era morto, ucciso all’alba di un mattino e non seppe mai della vittoria.
Era rimasto affascinato da quei racconti ma ora che c’era , che toccava a lui, figlio di un falegname, saliva e scendeva con rabbia i suoi monti ... non c’era altro da fare … .
In città , nelle riunioni clandestine, avevano discusso insieme agli ufficiali.
La loro, quella partigiana, non era una guerra di posizione … dovevano attaccare e scomparire; occupare il territorio, rendere insicure le strade, impraticabili i boschi, le comunicazioni.
Non era una guerra di posizione ma un mordi e fuggi….. piccoli gruppi sparsi nei punti nevralgici.
Azioni di sabotaggio di impianti, di ponti, e vie di fuga tracciate nella mente .
Niente attacchi e contrattacchi lungo i pendii tortuosi dell’Appennino ma nascondigli protetti dal fitto della boscaglia e caverne nei dirupi montani per fare sosta e ripartire.
La loro era una guerra d’attesa.
Gli alleati erano sbarcati a Salerno ….
Bisognava occupare il territorio, renderlo insicuro e attendere...
Prese il sentiero che scende verso Scheggino e la Valle del Nera.
Attraversò il Nera e il tratto che in leggera salita precede la mulattiera; un sentiero che s’inerpica tortuoso e veloce tra i boschi e i pianori che precedono il passo del Terminaccio.
Misurò i passi, le distanze, il sole del mezzogiorno.
L’umidità della terra accompagnava la salita verso il turbolento Vallone di Gavelli che da un lato guarda il Monte dell’Ostite e dall’altro il massiccio del Coscerno con le sue fiancate rocciose, impervie, corrugate da canaloni pietrosi.
“Questa” pensò “è la mia nuova casa.”
Autunni precoci e brevi, inverni lunghi e rigidi, nevicate abbondanti, forzosi isolamenti.
In lontananza un rumore di campanacci raccontava la presenza dei pascoli d’altura…. intravide le mucche chianine che si abbeveravano in un laghetto naturale ritagliato dal cielo tratteggiato di nubi.
A settentrione pioveva.
Accelerò il passo.
Pensò ad Emma, a come sarebbe stato bello averla con lui, alla sua treccia bruna.
In lontananza, bellissimo ma fragile scendeva l’arcobaleno. Il dio della Montagna li avrebbe aiutati.
Finalmente era in vista del Castello fortificato aggrappato ad uno sperone del Coscerno a strapiombo sul Fossato; il Castello di Gavelli e le case che messe subito sotto degradano verso il basso. ..
***
Il capitano chiamò Luciano e Ivan, uno slavo fuggito dal campo di concentramento di Colfiorito.
“Ho un compito per voi “ disse “ dovete sorvegliare la mulattiera che sale da Scheggino…”
Prese la mappa e indicò la zona
“ State nascosti ed evitate i tedeschi, è importante “ e aggiunse“ stiamo organizzando la fuga degli inglesi e degli slavi prigionieri a Spoleto''
''... dovete controllare la strada carrabile e la mulattiera e proteggere il loro arrivo “
Scesero verso Sant’Anatolia di Narco in cerca del luogo adatto e lo trovarono … da un lato la strada e poco distante la mulattiera: la posizione ideale per controllare entrambe le vie di comunicazione.
Scelsero un luogo sicuro protetto dalla macchia e dal bosco.
Provarono la via di fuga, il percorso che avrebbero seguito in caso di attacco.
“Costruiamo un capanno” suggerì Ivan.
“Come sei finito qui “ chiese Luciano
“ La guerra ! ero iscritto alla facoltà di filosofia di Belgrado quando i tedeschi ci hanno invaso. … ho raggiunto la resistenza jugoslava ed eccomi qui ……”
“ ……senti Luciano, ci conviene mettere un telo mimetico sul tetto … rischia di piovere “
“ Va bene … mettiamo un telo coperto con frasche verdi”
“….Ti dicevo, durante un’azione sono stato catturato dagli italiani..”
“ Che ti hanno internato in Italia piuttosto che in Germania. Ti è andata bene “
“ Sono andato con Tito per combattere i nazisti e da allora non ho notizie della mia famiglia, di mio padre e di mia madre, delle mie sorelle…. Non sanno che sono vivo”
“Maledizione ! “
Tremò la sigheretta, cadde, abbassò gli occhi per riprenderla
“ Maledetti nazisti ! “
Rabbioso con la roncola tagliò un ramo e poi un altro…“ Maledetti tedeschi…! “
Poggiò la schiena ad un albero, scivolò lungo il tronco, si accovacciò, guardò il capanno e quella orribile guerra, i giorni che si succedevano, quella guerra che li stava maciullando nel più orribile dei modi.
Non c’era altro da fare che quella guerra per non farsi spazzare via e tornare a casa.
Il buio li sorprese.
Veloce attraversò i cespugli, nascose i rami più alti, scese lungo i tronchi, li avvolse.
Scomparve la strada e il pianoro che la precedeva.Entrarono nel capanno.
Luciano appese una lanterna ad acetilene, l’accese.
Preparò il fornello ad alcol. Sistemarono le armi e gli zaini.
Avevano l’acqua, il pane, qualche patata e salcicce.
Lo slavo buttò nell’acqua una patata e le erbe che aveva raccolto scendendo da Gavelli...
*******
Il freddo umido, bagnato, sempre più gelido, attraversò la coperta di lana, i vestiti e non riusci a dormire..
I pensieri raccolsero il respiro del bosco, le ore, il silenzio .
Era la sua prima notte da combattente partigiano ed altre ne sarebbero venute, diverse, peggiori di quella. Pensò all’inverno e alla neve che sempre cadeva abbondante.
Come avrebbero fatto a resistere lui e il fratello che aveva trovato, quello slavo così diverso da lui, così lontano dalla sua terra… che combatteva la stessa guerra per restare vivo, libero, in un paese libero ….
Sentimenti mai vissuti agitavano la mente per quello stare lì , in quel silenzio irreale.
Era lì e lo aveva voluto, cercato… aveva cercato la guerra per fuggire dalla gioventù negata, per riprendersi la vita che voleva avere.
Albeggiava .
Non ne poteva più di quel freddo e decise di accendere un fuoco per scaldare le mani .
Un piccolo fuoco e bere una gavetta d’orzo caldo, bollente.
“ Non sei riuscito a dormire …..che pensi ? “ chiese Ivan
“ Non lo so, di tutto. È un po’ come sentirsi morire …… questa attesa, la bellezza dei monti, il pensiero della famiglia, di Emma …”
“ Paura ? … che vuoi fare.. dargliela vinta ? sono assassini ! “
“ Non è paura ma qualcosa di diverso che ti arriva addosso, d’improvviso …Cosa sia non lo so.
Forse è ansia, qualcosa che non avevo mai provato… è un po’ come sentirsi morire……..Per quello che potrebbe succedere… la battaglia.. difendersi e prendere la vita di un altro e devi farlo, riuscire a farlo, per non perdere la tua o quella dei tuoi compagni…….Devi difenderti e uccidere …. per non perdere i tuoi, quelli che ami.. la Emma che aspetta, mio padre che conta sul mio aiuto, mia madre che attende i figli dispersi e non riesce a darsi pace….. . i compagni saliti come noi su questi monti…”
“ Ho provato le stesse tue sensazioni “ disse Ivan.
“ I pensieri arrivano da soli… e non puoi fermarli… impossibile farlo … potresti morire .. ci pensi e il cuore ti batte dentro …lo senti… senti di morire per i pensieri che arrivano da soli e non danno pace… e spaventano. “
“ La guerra sta per finire. Gli Americani sono a Salerno, non sono lontani…. Pensa a questo … pensa alla tua Emma ….. al futuro che ti aspetta … “
“ Il tempo ! … . Ieri uscivo con i compagni ed ora sono qui, armato, pronto a difendere questi monti e il futuro che vorrei avere. “
“ Zitto ! “
Tacque il silenzio.
La brezza del mattino adagiò, leggera, le prime foglie d’autunno, tacque l’autunno.
“ Spegni il fuoco ….. presto ! “
Un rumore di automezzi che frenano, voci che tagliano l’aria come frecce, la brezza che riprende, più forte e imperiosa agita il bosco.
“ Ci hanno visto …! “.
.
.
Le campane della chiesa battevano il mattutino quando iniziò la battaglia.
Il crepitio di una mitragliatrice investì il bosco.
Erano stati individuati. Risposero con una scarica di fucileria tenendo d’occhio il lato di sinistra , dove gli alberi sono più fitti ; la via scelta per scomparire.
Avevano provato l’azione, la tattica da seguire in caso di scontro con i tedeschi.
Conoscevano la via di fuga.
Cominciarono a muoversi, velocemente, tra un albero e l’altro, lungo una linea immaginata, provata, avanti, indietro, brevi soste e ancora avanti, avanti.
Ricaricavano durante la corsa...
Decisero di rispondere al fuoco per avvisare gli altri, quelli di vedetta tra Scheggino e Ceselli e dare loro il tempo di trovare un rifugio o prepararsi allo scontro.
Caricavano e si spostavano per sparare e dare al nemico l’idea di un gruppo numeroso disposto a ventaglio. Avanti, avanti e poi indietro, distanziati tra di loro, lungo la linea immaginata, da un albero all’altro, caricando e sparando.
Durò a lungo la battaglia poi il silenzio.
Decisero di sganciarsi per non essere aggirati e presi in trappola … decisero di tagliare verso il fiume dove le rocce e i dirupi consentono una posizione dominante e facili nascondigli.
Scesero veloci verso il fiume, sfiorarono il paese, un casolare e poi giù verso le rocce e il dirupo dove il fiume restringe e vedi l’ansa, la strada e il ponte che attraversa.
Scendevano quando lo slavo indico il ponte che ormai si intravedeva e la strada .
Una camionetta tedesca seguita da un automezzo più grande si era fermata.
Dalla camionetta scesero i tedeschi.
Uno di questi, pistola in mano cominciò a sparare ad un ragazzo che correva lungo il ponte .
Correva il ragazzo e il tedesco sparava quando dal bosco tagliato un gruppo di partigiani provenienti da Fionchi aprì il fuoco.
Una mossa avventata perché subito dal camion la mitragliatrice cominciò a battere il terreno.
Si rifugiarono dietro una carbonaia composta ma non ancora arsa bloccati dal fuoco nemico, ormai persi.
I tedeschi, quelli della camionetta e quelli scesi dall’automezzo cominciarono ad avanzare. Erano persi.
Il bosco tagliato non offriva ripari; solo la carbonaia ma nulla potevano contro il numero, le armi automatiche e la mitragliatrice che batteva il terreno.
Avevano perso la speranza quando da sinistra, dalla macchia che precede le rocce e i dirupi un nutrito fuoco di fucileria investì il nemico costringendolo ad arretrare velocemente verso gli automezzi.
Erano scesi veloci, il partigiano Luciano e lo slavo, verso quel punto privilegiato, vicino alle rocce e in alto, ben sopra la strada e il ponte che attraversa il Nera.
Presi tra più fuochi i tedeschi fuggirono precipitosamente..
.
Rimasero in zona. L’ordine era di attendere l’arrivo dei prigionieri slavi in fuga dal carcere di Spoleto. L’ordine era di accompagnarli verso la montagna di Gavelli .
(Evasero in 94)
Passarono quella notte e le successive all’addiaccio nascosti nel fitto della boscaglia. Le notti fra il 10 e il 14 ottobre del 1943
.
Luciano per i compagni, Sesto per l'anagrafe, è mio padre morto troppo presto e troppo giovane. Di lui ricordo il volto, il fucile a due canne, i racconti della montagna; il racconto delle notti passate all'addiaccio, di quando, insieme ad un partigiano slavo prese a fucilate una colonna di tedeschi in procinto di catturare un gruppo di combattenti rimasto intrappolato dove il fiume Nera si apre e allontana il bosco. Un fatto realmente accaduto.
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“Vado” disse al padre Stefano “ vado con i partigiani”
. Le mani smisero di accarezzare il legno e lentamente ripose la sgorbia ; un silenzio assordante avvolse la bottega , i trucioli sparsi sul pavimento, i mobili in attesa, l’odore delle colle, le tavole accatastate di legno asciutto, stagionato.
Muti i macchinari respirarono il silenzio .
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Lentamente alzò gli occhi di un azzurro bagnato, impastato dagli anni e guardò il figlio, l’ultimo maschio rimasto, gli altri dispersi e non sapeva dove; quel figlio avuto in vecchiaia , il più amato…
.
Non c’era altro da fare e lo sapeva ma come fai a staccarti da un figlio, il solo in grado di proseguire l’impresa che faticosamente avevi realizzato ?
Una vita spesa per costruire, riparare mobili, sedie, tavoli.
I primi apprendisti da guidare, il lavoro che cresce, la prima esposizione, i clienti che aumentano ma sei solo . Resisti perché hai un figlio, intelligente, istruito, capace.
Puoi fidarti e allora attendi.
Due sono andati dispersi, scomparsi lungo gli anni della guerra; quella guerra che aveva subito odiato .
Socialista della prima ora era rimasto fedele ai suoi ideali. Non aveva aderito al fascismo ed era rimasto quieto .. in disparte.
Le mani rimaste immobili ripresero ad accarezzare il legno.
Immaginò la curva e la profondità dell’intaglio. Riprese lo sgorbio.
“ Non c’è altro da fare “ disse e aggiunse “ non sai nulla della guerra: stai attento! “ tracciò la curva e un truciolo cadde sul pavimento...
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L’adolescenza e la gioventù raccolta in quella decisione.
Lui, con i nazi – fascisti non sarebbe andato.
Ne parlava con gli amici, lo aveva detto ad Emma, la ragazza che amava e al prete.
“Don Franco, con quelli non vado” e il povero prete, disperato, aveva annuito.
Era anche colpa sua se i ragazzi come Luciano detestavano i fascisti, la guerra, quella guerra, le leggi razziali, le riunioni oceaniche e l’ipocrisia delle parole, le tante che ascoltavano come : “Vincere!” Vincere cosa?
Sentivano la mancanza della libertà; la possibilità di dissentire, di proporre, di potersi esprimere .
Rifiutavano l’appartenenza alla folla solitaria plaudente e remissiva.
A quell’idea del destino inevitabile a cui la nazione tutta era votata.
E il destino, quel destino fondato sulle baionette stava rapidamente maturando in catastrofe.
No, lui non intendeva rispondere alla chiamata alle armi.
Meglio la montagna e i boschi ….Meglio la lotta armata contro i nazi-fascisti.
E un brivido l’assaliva pensando alla battaglia, ai morti, alla vita presa o lasciata.
Abbracciò Emma, la strinse forte, forte.
Riempì gli occhi dei suoi, accarezzo i lunghi capelli bruni,
Emma pianse i suoi 16 anni e quelli che pensava di vivere con lui.
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Partì all’alba di un giorno di settembre. I compagni, alcuni, erano già andati.
Penso di raggiungere Gavelli, sede del comando partigiano, con un giorno di marcia.
Raggiunse la cresta del monte che sovrasta la città ……Guardò la valle : l’autunno cominciava a giocare con i colori e il bosco di licino .
Immerse gli occhi nella valle ; alla città aggrappata alla collina, all’estate appena trascorsa, alla treccia bruna che la sua Emma aveva sciolto per lui.
Un profumo dolcissimo invase la mente.
Raccolse i pensieri, le emozioni e riprese a salire verso Patrico, lungo sentieri che conosceva, lontano dai villini e dai casolari.
Andava verso i monti più alti dell’Appennino , lo zaino leggero sulle spalle , la roncola e un bastone per sostenere i passi, le salite e le discese.
Non aveva armi tranne la roncola e un coltello a serramanico.
Le armi erano sul posto.
Le avevano trafugate con vari colpi di mano dalle caserme di Spoleto, complici alcuni militari in servizio ed erano state portate, di notte, a dorso di mulo fino a Gavelli.
Stavolta non andava a funghi o a caccia di selvaggina ma verso un futuro ignoto,di lotta; un futuro di libertà, diceva a se stesso, da costruire insieme alla sua Emma.
C’era da attraversare il Nera dove un palo gettato tra le sponde e una fune tesa tra due alberi consentiva di raggiungere l’altra riva e non essere visti.
Conosceva quel punto e i boschi circostanti.
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“Non sai nulla della guerra: stai attento! “
Il monito del padre risuonava nella mente e accompagnava i passi, i pensieri.
Che poteva sapere, lui, a vent’anni, della guerra.
Era rimasto affascinato dai racconti del genero, un piemontese figlio di militari che la guerra, la grande guerra, l’aveva fatta.
Lui, giovane tenente degli alpini era dove i monti sono più alti e il nemico davanti, sull’altra cima uniti dal freddo di quell’ultimo inverno.
C’era stata la disfatta e nessuno sapeva cosa bisognava fare, se andare in soccorso o restare dove faticosamente erano giunti.
Rimase a difesa dei passi delle piccole Dolomiti.
Attacchi e contrattacchi e restare vivo.
Un giorno scese e risali la montagna e la successiva e quella più avanti perché a valle, finalmente, avevano sfondato le linee nemiche.
Andò avanti, attacchi e contrattacchi poi solo avanti al comando della compagnia, di quello che restava perché il capitano era morto, ucciso all’alba di un mattino e non seppe mai della vittoria.
Era rimasto affascinato da quei racconti ma ora che c’era , che toccava a lui, figlio di un falegname, saliva e scendeva con rabbia i suoi monti ... non c’era altro da fare … .
In città , nelle riunioni clandestine, avevano discusso insieme agli ufficiali.
La loro, quella partigiana, non era una guerra di posizione … dovevano attaccare e scomparire; occupare il territorio, rendere insicure le strade, impraticabili i boschi, le comunicazioni.
Non era una guerra di posizione ma un mordi e fuggi….. piccoli gruppi sparsi nei punti nevralgici.
Azioni di sabotaggio di impianti, di ponti, e vie di fuga tracciate nella mente .
Niente attacchi e contrattacchi lungo i pendii tortuosi dell’Appennino ma nascondigli protetti dal fitto della boscaglia e caverne nei dirupi montani per fare sosta e ripartire.
La loro era una guerra d’attesa.
Gli alleati erano sbarcati a Salerno ….
Bisognava occupare il territorio, renderlo insicuro e attendere...
Prese il sentiero che scende verso Scheggino e la Valle del Nera.
Attraversò il Nera e il tratto che in leggera salita precede la mulattiera; un sentiero che s’inerpica tortuoso e veloce tra i boschi e i pianori che precedono il passo del Terminaccio.
Misurò i passi, le distanze, il sole del mezzogiorno.
L’umidità della terra accompagnava la salita verso il turbolento Vallone di Gavelli che da un lato guarda il Monte dell’Ostite e dall’altro il massiccio del Coscerno con le sue fiancate rocciose, impervie, corrugate da canaloni pietrosi.
“Questa” pensò “è la mia nuova casa.”
Autunni precoci e brevi, inverni lunghi e rigidi, nevicate abbondanti, forzosi isolamenti.
In lontananza un rumore di campanacci raccontava la presenza dei pascoli d’altura…. intravide le mucche chianine che si abbeveravano in un laghetto naturale ritagliato dal cielo tratteggiato di nubi.
A settentrione pioveva.
Accelerò il passo.
Pensò ad Emma, a come sarebbe stato bello averla con lui, alla sua treccia bruna.
In lontananza, bellissimo ma fragile scendeva l’arcobaleno. Il dio della Montagna li avrebbe aiutati.
Finalmente era in vista del Castello fortificato aggrappato ad uno sperone del Coscerno a strapiombo sul Fossato; il Castello di Gavelli e le case che messe subito sotto degradano verso il basso. ..
***
Il capitano chiamò Luciano e Ivan, uno slavo fuggito dal campo di concentramento di Colfiorito.
“Ho un compito per voi “ disse “ dovete sorvegliare la mulattiera che sale da Scheggino…”
Prese la mappa e indicò la zona
“ State nascosti ed evitate i tedeschi, è importante “ e aggiunse“ stiamo organizzando la fuga degli inglesi e degli slavi prigionieri a Spoleto''
''... dovete controllare la strada carrabile e la mulattiera e proteggere il loro arrivo “
Scesero verso Sant’Anatolia di Narco in cerca del luogo adatto e lo trovarono … da un lato la strada e poco distante la mulattiera: la posizione ideale per controllare entrambe le vie di comunicazione.
Scelsero un luogo sicuro protetto dalla macchia e dal bosco.
Provarono la via di fuga, il percorso che avrebbero seguito in caso di attacco.
“Costruiamo un capanno” suggerì Ivan.
“Come sei finito qui “ chiese Luciano
“ La guerra ! ero iscritto alla facoltà di filosofia di Belgrado quando i tedeschi ci hanno invaso. … ho raggiunto la resistenza jugoslava ed eccomi qui ……”
“ ……senti Luciano, ci conviene mettere un telo mimetico sul tetto … rischia di piovere “
“ Va bene … mettiamo un telo coperto con frasche verdi”
“….Ti dicevo, durante un’azione sono stato catturato dagli italiani..”
“ Che ti hanno internato in Italia piuttosto che in Germania. Ti è andata bene “
“ Sono andato con Tito per combattere i nazisti e da allora non ho notizie della mia famiglia, di mio padre e di mia madre, delle mie sorelle…. Non sanno che sono vivo”
“Maledizione ! “
Tremò la sigheretta, cadde, abbassò gli occhi per riprenderla
“ Maledetti nazisti ! “
Rabbioso con la roncola tagliò un ramo e poi un altro…“ Maledetti tedeschi…! “
Poggiò la schiena ad un albero, scivolò lungo il tronco, si accovacciò, guardò il capanno e quella orribile guerra, i giorni che si succedevano, quella guerra che li stava maciullando nel più orribile dei modi.
Non c’era altro da fare che quella guerra per non farsi spazzare via e tornare a casa.
Il buio li sorprese.
Veloce attraversò i cespugli, nascose i rami più alti, scese lungo i tronchi, li avvolse.
Scomparve la strada e il pianoro che la precedeva.Entrarono nel capanno.
Luciano appese una lanterna ad acetilene, l’accese.
Preparò il fornello ad alcol. Sistemarono le armi e gli zaini.
Avevano l’acqua, il pane, qualche patata e salcicce.
Lo slavo buttò nell’acqua una patata e le erbe che aveva raccolto scendendo da Gavelli...
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Il freddo umido, bagnato, sempre più gelido, attraversò la coperta di lana, i vestiti e non riusci a dormire..
I pensieri raccolsero il respiro del bosco, le ore, il silenzio .
Era la sua prima notte da combattente partigiano ed altre ne sarebbero venute, diverse, peggiori di quella. Pensò all’inverno e alla neve che sempre cadeva abbondante.
Come avrebbero fatto a resistere lui e il fratello che aveva trovato, quello slavo così diverso da lui, così lontano dalla sua terra… che combatteva la stessa guerra per restare vivo, libero, in un paese libero ….
Sentimenti mai vissuti agitavano la mente per quello stare lì , in quel silenzio irreale.
Era lì e lo aveva voluto, cercato… aveva cercato la guerra per fuggire dalla gioventù negata, per riprendersi la vita che voleva avere.
Albeggiava .
Non ne poteva più di quel freddo e decise di accendere un fuoco per scaldare le mani .
Un piccolo fuoco e bere una gavetta d’orzo caldo, bollente.
“ Non sei riuscito a dormire …..che pensi ? “ chiese Ivan
“ Non lo so, di tutto. È un po’ come sentirsi morire …… questa attesa, la bellezza dei monti, il pensiero della famiglia, di Emma …”
“ Paura ? … che vuoi fare.. dargliela vinta ? sono assassini ! “
“ Non è paura ma qualcosa di diverso che ti arriva addosso, d’improvviso …Cosa sia non lo so.
Forse è ansia, qualcosa che non avevo mai provato… è un po’ come sentirsi morire……..Per quello che potrebbe succedere… la battaglia.. difendersi e prendere la vita di un altro e devi farlo, riuscire a farlo, per non perdere la tua o quella dei tuoi compagni…….Devi difenderti e uccidere …. per non perdere i tuoi, quelli che ami.. la Emma che aspetta, mio padre che conta sul mio aiuto, mia madre che attende i figli dispersi e non riesce a darsi pace….. . i compagni saliti come noi su questi monti…”
“ Ho provato le stesse tue sensazioni “ disse Ivan.
“ I pensieri arrivano da soli… e non puoi fermarli… impossibile farlo … potresti morire .. ci pensi e il cuore ti batte dentro …lo senti… senti di morire per i pensieri che arrivano da soli e non danno pace… e spaventano. “
“ La guerra sta per finire. Gli Americani sono a Salerno, non sono lontani…. Pensa a questo … pensa alla tua Emma ….. al futuro che ti aspetta … “
“ Il tempo ! … . Ieri uscivo con i compagni ed ora sono qui, armato, pronto a difendere questi monti e il futuro che vorrei avere. “
“ Zitto ! “
Tacque il silenzio.
La brezza del mattino adagiò, leggera, le prime foglie d’autunno, tacque l’autunno.
“ Spegni il fuoco ….. presto ! “
Un rumore di automezzi che frenano, voci che tagliano l’aria come frecce, la brezza che riprende, più forte e imperiosa agita il bosco.
“ Ci hanno visto …! “.
.
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Le campane della chiesa battevano il mattutino quando iniziò la battaglia.
Il crepitio di una mitragliatrice investì il bosco.
Erano stati individuati. Risposero con una scarica di fucileria tenendo d’occhio il lato di sinistra , dove gli alberi sono più fitti ; la via scelta per scomparire.
Avevano provato l’azione, la tattica da seguire in caso di scontro con i tedeschi.
Conoscevano la via di fuga.
Cominciarono a muoversi, velocemente, tra un albero e l’altro, lungo una linea immaginata, provata, avanti, indietro, brevi soste e ancora avanti, avanti.
Ricaricavano durante la corsa...
Decisero di rispondere al fuoco per avvisare gli altri, quelli di vedetta tra Scheggino e Ceselli e dare loro il tempo di trovare un rifugio o prepararsi allo scontro.
Caricavano e si spostavano per sparare e dare al nemico l’idea di un gruppo numeroso disposto a ventaglio. Avanti, avanti e poi indietro, distanziati tra di loro, lungo la linea immaginata, da un albero all’altro, caricando e sparando.
Durò a lungo la battaglia poi il silenzio.
Decisero di sganciarsi per non essere aggirati e presi in trappola … decisero di tagliare verso il fiume dove le rocce e i dirupi consentono una posizione dominante e facili nascondigli.
Scesero veloci verso il fiume, sfiorarono il paese, un casolare e poi giù verso le rocce e il dirupo dove il fiume restringe e vedi l’ansa, la strada e il ponte che attraversa.
Scendevano quando lo slavo indico il ponte che ormai si intravedeva e la strada .
Una camionetta tedesca seguita da un automezzo più grande si era fermata.
Dalla camionetta scesero i tedeschi.
Uno di questi, pistola in mano cominciò a sparare ad un ragazzo che correva lungo il ponte .
Correva il ragazzo e il tedesco sparava quando dal bosco tagliato un gruppo di partigiani provenienti da Fionchi aprì il fuoco.
Una mossa avventata perché subito dal camion la mitragliatrice cominciò a battere il terreno.
Si rifugiarono dietro una carbonaia composta ma non ancora arsa bloccati dal fuoco nemico, ormai persi.
I tedeschi, quelli della camionetta e quelli scesi dall’automezzo cominciarono ad avanzare. Erano persi.
Il bosco tagliato non offriva ripari; solo la carbonaia ma nulla potevano contro il numero, le armi automatiche e la mitragliatrice che batteva il terreno.
Avevano perso la speranza quando da sinistra, dalla macchia che precede le rocce e i dirupi un nutrito fuoco di fucileria investì il nemico costringendolo ad arretrare velocemente verso gli automezzi.
Erano scesi veloci, il partigiano Luciano e lo slavo, verso quel punto privilegiato, vicino alle rocce e in alto, ben sopra la strada e il ponte che attraversa il Nera.
Presi tra più fuochi i tedeschi fuggirono precipitosamente..
.
Rimasero in zona. L’ordine era di attendere l’arrivo dei prigionieri slavi in fuga dal carcere di Spoleto. L’ordine era di accompagnarli verso la montagna di Gavelli .
(Evasero in 94)
Passarono quella notte e le successive all’addiaccio nascosti nel fitto della boscaglia. Le notti fra il 10 e il 14 ottobre del 1943
1 commento:
Letto in un sorso. Un grazie tardivo, Nino.
Carla
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