mercoledì 15 ottobre 2008

Il puntinismo... cenni




Il neoimpressionismo (il cui certi­ficato di nascita con la relativa scel­ta del nome viene stilato nel 1886 da Félix Fénéon, ma che nella realtà rimonta a due anni addie­tro) è invece, a detta del suo stes­so fondatore, un metodo.
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Seurat ci tiene molto alla sua definizione, e si capisce, perché intende con ciò rimarcare quell’elemento anti­poetico, e dunque antisoggettivo, che voleva essere l’anima dell’im­pressionismo 'nuovo' destinata a cavare quello 'vecchio' dalle sec­che di una visione empiristica e soggettiva (anche se in questo Seu­rat parrebbe svalutare il forte lega­me con la fotografia che già carat­terizzava la stagione dell’impres­sionismo maturo) che mal si com­poneva con l’esigenza, che a fine secolo si era fatta ormai quasi dog­matica, di fondare la propria vi­sione del mondo sui princìpi certi offerti dalla scienza: nella fattispe­cie, le leggi del «contrasto simulta­neo dei colori » elaborate da Mi­chel- Eugène Chevreul e da Ogden Rood e tradotte da Seurat nella tec­nica ( nel ' sistema meccanico') della scomposizione dei toni cro­matici in piccoli punti di colore pu- ro, impercettibili luoghi di emana­zione della luce destinata a com­porre la forma non sulla tela, ma nell’istante della composizione re­tinica nell’occhio dell’osservatore. Per raccogliere le osservazioni svolte da Silvana Turzio a proposi­to della nascita della fotografia del colore, un «sistema meccanico at­to a fissare con ancora maggior fe­deltà e penetrazione ciò che l’oc­chio umano vede, ma poco e ma­le ».


Oggi diremmo visione titanica e quasi concettuale, che fa della pittura non il luogo dove avviene la rappresentazione, ma l’istante del suo Big Bang. Ecco, quel che il ven­tiquattrenne Seurat voleva dire ai suoi sconcertati interlocutori che lo invitano a smetterla di gigio­neggiare col fare il 'puntinista' è che il suo 'metodo' scardina tal­mente la genesi stessa della pittu­ra da farsi esso stesso stile, total­mente inedito e per la prima volta idoneo a forgiare la vera icona del mondo moderno, col pri­mato dell’immagine che nutre essa stessa la propria realtà


Quel che poi avvenne è che 'il metodo', applicato con un’acribia meramente for­male - ma non fu il caso di Seurat e Signac, o di un Ca­mille Pissarro - , avrebbe potuto facilmente condur­re alla ' maniera', il che ( verrebbe da dire strana­mente) non si verificò se non in casi sporadici, an­che in pittori a noi poco consueti e pertanto spesso sorprendenti come Albert Dubois-Pillet, Léo Gausson (un gioiello il suo Fiume e ponte a Lagny-sur-Marne), Louis Hayet, Maximilien Luce, Hendricus Petrus Bremmen, Henri Edmond Cross ( la sua Vendemmia del 1892 si direbbe una straniante ' variazione ot­tica' sul cliché della grafi­ca giapponese di fine Otto­cento), Johannes Theodorus Toorop e altri della variega­ta compagine divi­sionista che in una manciata d’anni si era sparsa tra Fran­cia, Belgio e Olan­da, fino alle soglie della pittura Fauve.
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. (''Avvenire'' , reportage da Milano di Andrea Beolchi)

. (Palazzo Reale mostra su Georges Seurat, Paul Signac e i Neoimpressionisti - 10 0ttobre 2008 - 25 gennaio 2009)

2 commenti:

Murawska Iwona ha detto...

hi :*
I'm back on my blog with new foto and lot of energy :)

Have a nice day :*

marcella candido cianchetti ha detto...

grazie x ho approfondito questa scuola pittorica ciao