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martedì 6 settembre 2016

Eugenio Montale - vita poetica ... I limoni




... Eugenio Montale ed Ezra Pound, i pittori Ottone Rosai e Mino Maccari... 
Eugenio Montale ed Ezra Pound, i pittori Ottone Rosai e Mino Maccari
.
‘’ L'argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione umana in sé considerata; non questo o quell'avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l'essenziale col transitorio’’. Così Montale parlava di se in una intervista radiofonica del 1951, quando, negli anni ancora brucianti del dopoguerra, agli intellettuali veniva spesso richiesto di esprimersi sul rapporto fra arte e storia sociale e politica. Mentre il poeta rivendicava a se una autonomia e una attitudine formale senza le quali la poesia nemmeno potrebbe esistere, l’uomo si era ritagliato il ruolo di osservatore isolato, di testimone appartato, quasi che dall’appartenenza a un’epoca  - circostanza del tutto contingente – derivasse un carattere di necessità per l’individuo , ma non per la poesia.  ‘’ Io ho optato come uomo; ma come poeta ho sentito che il combattimento avveniva su un altro fronte, nel quale poco contavano gli avvenimenti che si stavano svolgendo ‘’.
Tuttavia ad onta di queste affermazioni peraltro consone al personaggio Montale, restio a qualsiasi forma di esibizionismo (una sorta di under statement  che gli era connaturato ), rimane il fatto che nessun poeta del nostro Novecento ha attraversato il secolo esercitando un’azione così profonda e duratura come quella di Eugenio Montale, e che la sua opera fornisce una cifra per interpretare il secolo appena trascorso.
[ … ]
.
Ottone Rosai - Muro del Carmine
Ottone Rosai - Muro del Carmine
.
In verità…
Montale si era creato in proprio, da autodidatta, una tessitura di letture e collegamenti culturali che ne mostrano la prospettiva indirizzata con sicurezza sull’epoca sua, pur dall’angulus ristretto in cui viveva .
[ … ]
Alla grande guerra dedicò pochi tratti di penna … un silenzio motivato dal suo orrore per la violenza , lo stesso che molto più tardi gli fece dire, ricordando quell’esperienza : ‘’ Non avevo nessun odio contro il nemico e non potrei uccidere ne un uomo, ne un animale… ‘’ . Finita la guerra , dopo un breve trasferimento in Val Pusteria , era di nuovo a Genova, la sua Genova , resa ancor più tetra dalla tragedia della storia.
La Liguria pietrosa, le Cinque Terre scabre e assolate, là dove nell’ora meridiana si avverte l’atonia della natura, costituirono il terreno su cui nacquero gli Ossi di seppia, la prima raccolta di versi pubblicata da un acuto editore antifascista di Torino che rispondeva al nome di Pietro Gobetti. ‘’ E’ questo l’inizio di quello che viene indicato come il ‘romanzo’ di Montale, la storia frammentaria di una vita che si racconta fino all’ultimo’’. (Zampa)
.

Ottone Rosai - via Toscanelli
Ottone Rosai - via Toscanelli
.
[ … ]
Montale si muove nell’ambito filosofico del primo novecento sulla scia dei primi libri di Henri Louis Bergson, nei quali il filosofo francese metteva in luce la sostanziale impossibilità di ridurre l’autenticità magmatica della vita alla coscienza razionale, ovvero, per uno scrittore, alla parola … su questa linea la ricerca di Montale cerca un varco che metta in comunicazione il piano mutabile dell’essere con quello precipitoso del tempo: è questo l’assunto della prima raccolta di Montale.
È solo un inizio perché al problema del rapporto tra parola e realtà sarà rivolta costantemente la sua riflessione per tutta la vita.
Ne deriva una scelta stilistica che si opponeva alla tradizione illustre dell’Ottocento o dei poeti che ancora nell’Ottocento si attardavano ..
‘’All’eloquenza della nostra vecchia lingua aulica volevo torcere il collo, magari a rischio di controeloquenza’’ , dichiarava Montale in una sorta di auto commento dal titoloIntenzioni (Intervista immaginaria), nel 1946.
L’opposizione nei confronti dei ‘’poeti laureati’’ la si legge subito nella poesia I limoni che apre la raccolta ‘’Ossi di seppia’’
.
fonte: Il Sole24 ore

Ottone Rosai - carabinieri
Ottone Rosai - carabinieri
.
I limoni
.
Ascoltami, i poeti laureati
Si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati:bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla.
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di questo odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza.
Ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
Nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
Soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara- amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

.

lunedì 6 giugno 2016

Sarcofaghi di Eugenio Montale



Dove se ne vanno le ricciute donzelle
che recano le colme anfore su le spalle
ed hanno il fermo passo sì leggero;
e in fondo uno sbocco di valle
invano attende le belle
cui adombra una pergola di vigna
e i grappoli ne pendono oscillando.
Il sole che va in alto,
le intraviste pendici
non han tinte: nel blando
minuto la natura fulminata
atteggia le felici
sue creature, madre non matrigna,
in levità di forme.
Mondo che dorme o mondo che si gloria
d'immutata esistenza, chi può dire?,
uomo che passi, e tu dagli
il meglio ramicello del tuo orto.
Poi segui: in questa valle
non è vicenda di buio e di luce.
Lungi di qui la tua via ti conduce,
non c'è asilo per te, sei troppo morto:
seguita il giro delle tue stelle.
E dunque addio, infanti ricciutelle,
portate le colme anfore su le spalle.
***
Sarcofaghi di Eugenio Montale
Ossi di seppia

martedì 27 novembre 2012

Eugenio Montale - Nel fumo




.

Quante volte t'ho atteso alla stazione
nel freddo, nella nebbia. Passeggiavo
tossicchiando, comprando giornali innominabili,
fumando Giuba poi soppresse dal ministro
dei tabacchi, il balordo!
Forse un treno sbagliato, un doppione oppure una
sottrazione. Scrutavo le carriole
dei facchini se mai ci fosse dentro
il tuo bagaglio, e tu dietro, in ritardo.
poi apparivi, ultima. E' un ricordo
tra tanti altri. Nel sogno mi perseguita.
.
.

 

 

 

 

 

 

 

 

La stazione Saint-Lazare

martedì 4 settembre 2012

Eugenio Montale - Vita e poetica - I limoni



Eugenio Montale ed Ezra Pound, i pittori Ottone Rosai e Mino Maccari

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’ L'argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione umana in sé considerata; non questo o quell'avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l'essenziale col transitorio’’. Così Montale parlava di se in una intervista radiofonica del 1951, quando, negli anni ancora brucianti del dopoguerra, agli intellettuali veniva spesso richiesto di esprimersi sul rapporto fra arte e storia sociale e politica. Mentre il poeta rivendicava a se una autonomia e una attitudine formale senza le quali la poesia nemmeno potrebbe esistere, l’uomo si era ritagliato il ruolo di osservatore isolato, di testimone appartato, quasi che dall’appartenenza a un’epoca  - circostanza del tutto contingente – derivasse un carattere di necessità per l’individuo , ma non per la poesia.  ‘’ Io ho optato come uomo; ma come poeta ho sentito che il combattimento avveniva su un altro fronte, nel quale poco contavano gli avvenimenti che si stavano svolgendo ‘’.
Tuttavia ad onta di queste affermazioni peraltro consone al personaggio Montale, restio a qualsiasi forma di esibizionismo (una sorta di under statement  che gli era connaturato ), rimane il fatto che nessun poeta del nostro Novecento ha attraversato il secolo esercitando un’azione così profonda e duratura come quella di Eugenio Montale, e che la sua opera fornisce una cifra per interpretare il secolo appena trascorso.
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Ottone Rosai - Muro del Carmine
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In verità…
Montale si era creato in proprio, da autodidatta, una tessitura di letture e collegamenti culturali che ne mostrano la prospettiva indirizzata con sicurezza sull’epoca sua, pur dall’angulus ristretto in cui viveva .
[ … ]
Alla grande guerra dedicò pochi tratti di penna … un silenzio motivato dal suo orrore per la violenza , lo stesso che molto più tardi gli fece dire, ricordando quell’esperienza : ‘’ Non avevo nessun odio contro il nemico e non potrei uccidere ne un uomo, ne un animale… ‘’ . Finita la guerra , dopo un breve trasferimento in Val Pusteria , era di nuovo a Genova, la sua Genova , resa ancor più tetra dalla tragedia della storia.
La Liguria pietrosa, le Cinque Terre scabre e assolate, là dove nell’ora meridiana si avverte l’atonia della natura, costituirono il terreno su cui nacquero gli Ossi di seppia, la prima raccolta di versi pubblicata da un acuto editore antifascista di Torino che rispondeva al nome di Pietro Gobetti. ‘’ E’ questo l’inizio di quello che viene indicato come il ‘romanzo’ di Montale, la storia frammentaria di una vita che si racconta fino all’ultimo’’. (Zampa)
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Ottone Rosai - via Toscanelli

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[ … ]
Montale si muove nell’ambito filosofico del primo novecento sulla scia dei primi libri di Henri Louis Bergson, nei quali il filosofo francese metteva in luce la sostanziale impossibilità di ridurre l’autenticità magmatica della vita alla coscienza razionale, ovvero, per uno scrittore, alla parola … su questa linea la ricerca di Montale cerca un varco che metta in comunicazione il piano mutabile dell’essere con quello precipitoso del tempo: è questo l’assunto della prima raccolta di Montale.
È solo un inizio perché al problema del rapporto tra parola e realtà sarà rivolta costantemente la sua riflessione per tutta la vita.
Ne deriva una scelta stilistica che si opponeva alla tradizione illustre dell’Ottocento o dei poeti che ancora nell’Ottocento si attardavano ..
‘’All’eloquenza della nostra vecchia lingua aulica volevo torcere il collo, magari a rischio di controeloquenza’’ , dichiarava Montale in una sorta di auto commento dal titolo Intenzioni (Intervista immaginaria), nel 1946.
L’opposizione nei confronti dei ‘’poeti laureati’’ la si legge subito nella poesia I limoni che apre la raccolta ‘’Ossi di seppia’’
.
fonte: Il Sole24 ore


Ottone Rosai - carabinieri



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I limoni
.
Ascoltami, i poeti laureati
Si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati:bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla.
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di questo odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza.
Ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
Nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
Soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara- amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

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lunedì 11 agosto 2008

Eugenio Montale, Dora Markus, Le Occasioni; Parte prima




Dora Markus

.
Fu dove il ponte di legno
mette a porto Corsini sul mare alto
e rari uomini, quasi immoti, affondano
o salpano le reti. Con un segno
della mano additavi all'altra sponda
invisibile la tua patria vera.
Poi seguimmo il canale fino alla darsena
della città, lucida di fuliggine,
nella bassura dove s'affondava
una primavera inerte, senza memoria.
E qui dove un'antica vita
si screzia in una dolce
ansietà d'Oriente,
le tue parole iridavano come le scaglie
della triglia moribonda.
.
La tua irrequietudine mi fa pensare
agli uccelli di passo che urtano ai fari
nelle sere tempestose:
è una tempesta anche la tua dolcezza,
turbina e non appare,
e i suoi riposi sono anche più rari.
Non so come stremata tu resisti
in questo lago
d'indifferenza ch'è il tuo cuore; forse
ti salva un amuleto che tu tieni
vicino alla matita delle labbra,
al piumino, alla lima: un topo bianco,
d'avorio; e così esisti!



2

Ormai nella tua Carinzia
di mirti fioriti e di stagni,
china sul bordo sorvegli
la carpa che timida abbocca
o segui sui tigli, tra gl'irti
pinnacoli le accensioni
del vespro e nell'acque un avvampo
di tende da scali e pensioni.
.
La sera che si protende
sull'umida conca non porta
col palpito dei motori
che gemiti d'oche e un interno
di nivee maioliche dice
allo specchio annerito che ti vide
diversa una storia di errori
imperturbati e la incide
dove la spugna non giunge.
.
La tua leggenda, Dora!
Ma è scritta già in quegli sguardi
di uomini che hanno fedine
altere e deboli in grandi
ritratti d'oro e ritorna
ad ogni accordo che esprime
l'armonica guasta nell'ora
che abbuia, sempre più tardi.
.È scritta là. Il sempre verde
alloro per la cucina
resiste, la voce non muta,
Ravenna è lontana, distilla
veleno una fede feroce.
Che vuole da te? Non si cede
voce, leggenda o destino...
Ma è tardi, sempre più tardi.

La lirica consta di due parti distinte, scritte a molti anni di distanza l'una dall'altra: la prima parte risale infatti al 1928, o al 1926, mentre la seconda è del 1939. Per comprendere la complessa origine della poesia, è necessario richiamare alcuni dati biografici dell'autore. Montale non conosceva, né conobbe mai, Dora Markus: aveva solo visto una fotografia delle sue gambe, inviatagli dall'amíco Bobi Bazlen col seguente biglietto datato 25 settembre 1928: «Gerti e Carlo: bene. A Trieste, loro ospite, un'amica di Gerti, con delle gambe meravigliose. Falle una poesia. Si chiama Dora Markus». La data del biglietto spingerebbe ad ascrivere al 1928 la prima parte della lirica, ma Montale sosteneva di averla scritta due anni prima, nel 1926, senza riuscire a concluderla («è l'inizio di una poesia che non fu mai né finita né pubblicata e non lo sarà maí»). La Gerti nominata da Bazlen è Gerti Frànkel Tolazzi, una signora di Graz che Montale conosceva bene e che nel 1928 gli ispirò la poesia Carnevale di Gerti, compresa anch'essa nelle Occasíoni. Nell'immaginario del poeta la sconosciuta Dora finí con l'assimilarsi a Gerti, tanto è vero che quando nel 1939 Montale decise di ritornare su Dora Markus («Alla distanza di 13 anni (e si sente) le ho dato una conclusione, se non un centro») il personaggio femminile non è piú la fantomatica Dora, ma proprio Gerti: a lei che occupa la seconda parte di Dora M. lo Dora non l'ho mai conosciuta; feci quel primo pezzo di poesia per invito di Bobi Bazlen che mi mandò le gambe di lei in fotografia» (lettera a Silvio Guarnieri del 1964). Il complicato intrecciarsi di proiezioni fantastiche e psichiche che presiede all'accidentata gestazione della lirica fa di Dora Markus uno dei componimenti piú misteriosi e segreti, ma anche piú ricchi di oggetti-simbolo e di «occasioni» taciute e infine risolte in una disperata e buia visione della realtà del 1939, con gli orrori che la storia stava preparando - dell'intera produzione montaliana.


RIFLESSIONI SUL TESTO
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Abbiamo già visto come Dora Markus sia un personaggio sostanzialmente di fantasia, un mito poetico. La questione della controversa datazíone della prima parte della lirica potrebbe acquisire nuove prospettive proprio alla luce della correlazione fra Dora e un altro personaggio di fantasia comparso nella seconda edizione degli Ossi di seppia, Arsenio. Ammesso che ambedue i personaggi siano proiezioni della soggettività del poeta (e certo sarebbe difficile negarlo), è interessante cogliere i differenti atteggiamenti che essi rivelano nel loro rapporto con la realtà. Arsenio è ancora alla ricerca di una via d'uscita, di un mutamento rispetto a quel «troppo noto / delirio ... d'immobilità» fatto presagire dal temporale imminente; e nel momento in cui il temporale giunge, sperimenta dolorosamente la propria incapacità di calarsi in una nuova e piú autentica dimensione, a causa della resistenza opposta dalle «radici» che «con sé trascina, viscide, non mai / svelte», e quindi dalla sua stessa storia di individuo. Dora invece appare animata da un'inquietudine che rimane in superficie (proprio come da superficiali variazioni di colore dipende l'«iridare» delle scaglie / della triglia moribonda), mentre il suo cuore è un lago / d'indifferenza. Ogni speranza di mutamento è per lei spenta, e il suo destino è quello di brancolare senza meta attirata come una falena dalla luce dei fari, afferrandosi per sopravvivere all'incerta fede in qualche inutile amuleto. Non sembra arbitrario insomma vedere in Dora Markus un Arsenio dopo il temporale, riafferrato dall'«onda antica» della vita di sempre e ormai dimentico di ogni tensione a individuare A segno di un'altra orbita»: il «fantasma che ti salva» degli Ossi è ormai ridotto a un topo bianco, / d'avorío. Lo sviluppo logico della visione del mondo montalíana sembrerebbe perciò indicare per Dora Markus una datazione posteriore al 1927, anno in cui il poeta scrisse Arsenio, e dunque confermare la testimonianza offerta dal biglietto di Bobi BazIen citato sopra, in base al quale la composizione della prima parte della lirica dovrebbe collocarsi dopo il settembre 1928.
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(V.De Caprio, S.Giovanardi "I testi della letteratura italiana"Ed.Einaudi . Pp 911-916)
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FINALMENTE !! Il PC è stato riparato.