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giovedì 28 ottobre 2010

ROMANZO



I cinque temi:

1. La famiglia
2. Gli amici e le amiche
3. La vita a. ..( nome della città) e di terre in terre.
4. Il cattolicesimo
5. L’arte

Il protagonista lo chiameremo Stefano.
Come eroe è un adolescente, come artista un adulto.



lunedì 13 settembre 2010

Strade


Quella sera, mentalmente stanco piuttosto che rientrare a casa, a Luino, presi la via delle montagne.
Prima a Sessa, sul confine Svizzero poi verso Lavena Ponte Tresa, poi non so…verso Marchirolo, credo, non ricordo bene.
Ricordo le salite, le curve e le discese tanto simili alla vita che avevo avuto. Guidare la macchina riusciva a distendermi, a riposare la mente, a vincere lo stress accumulato dopo un giorno di lavoro.
Accadeva sempre di venerdì. Girovagavo lungo la frontiera prima di rientrare a casa o partire. Certe volte decidevo per Zurigo, altre per Lugano o Locarno.

D’inverno, dopo le salite e le discese rientravo a casa. Amavo la frontiera, quel luogo messo tra laghi e monti a cavallo tra due patrie, una, quella del lavoro, l’altra, quella della casa e dei diritti civili.
“Sposati !” mi aveva detto Bice, l’anziana professoressa di lettere e filosofia conosciuta a Zurigo “ non lasciarti scappare l’A..… ”.
Una sera invitai A...… in un bar ristorante di piazza Indipendenza, a Lugano. Arrivai in anticipo.
Seduta ad un tavolo una giovane donna. Era di Barcellona e sorrideva. Era bella e sapeva di esserlo …e sorrideva.
La vita è fatta di salite e discese, di quadrivi che interrogano. Ti fermi per decidere e spesso sbagli strada .

martedì 28 ottobre 2008

Pagine da Zurigo

Pissarro

C’è un periodo della mia vita, bellissimo e, di quel periodo, ci sono amici che vorrei rivedere .
A loro dedico le pagine che seguono ... altre, più impegnate, le lascio nel cassetto.
A loro, ai miei amici di Zurigo, se il tempo non ha cancellato il ricordo di come eravamo o siamo stati  chiedo di contattarmi.
Grazie !

***
PREMESSA
.Pagine è un libro di bordo.

E’ la storia di un andare di terre in terre. Nostalgia delle partenze e degli arrivi; dei ritorni a casa : nel bagaglio sempre qualcosa di nuovo.
Appunti di viaggio, notazioni; la memoria che ferma le immagini, i sapori, il vissuto.
Pagine prosegue. Non è un vero diario, ma la premessa per raccontare quello che siamo stati, noi, in anni difficili ma bellissimi.
Ricostruire un ambiente è come dipingere un quadro e ''Pagine'', il mio libro di bordo, è la cornice.
È la storia di un sogno e sognare è vivere e vivere è amare.
I sogni richiedono fatica  amare disponibilità all’incontro.
Amare gli alberi, il tram che sferraglia, gioioso, sotto casa, le anatre del lago, il freddo, la neve che cade abbondante, la luce dei lampioni che illumina la notte.
Uscire e mescolarsi tra la folla quando torna primavera …
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“L'amore, scrive  Paulo Coelho ,è sempre nuovo. Non importa che amiamo una, due, dieci volte nella vita: ci troviamo sempre davanti a una situazione che non conosciamo.
L'amore può condurci all'inferno o in paradiso, comunque ci porta sempre in qualche luogo. E' necessario accettarlo, perchè alimenta la nostra esistenza. Se non lo accettiamo, moriremo di fame pur vedendo i rami dell'albero della vita carichi di frutti: non avremo il coraggio di tendere la mano e di coglierli. “ 

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Pagine è la storia di un sogno e di un amore.
La storia di una battaglia a lungo pianificata, combattuta in campo aperto con le sue sconfitte e vittorie.
A volte, succede al '' Il vecchio e il mare 'di Hemingway, rimani con lo scheletro del grande pesce e il pesce era il sogno di una vita.
I sogni richiedono fatica … oggi ho presentato la cornice… domani il grande pesce.

***
Pissarro
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Pagine
...Basso di statura, robusto, i capelli di un castano chiaro, leggermente brizzolati, don Arnaldo è, negli anni sessanta e settanta, il responsabile della Missione Cattolica Italiana di Zurigo.
Se vivi in terra straniera, in un luogo di missione, il campanile e la chiesa  diventano il porto dove attraccare la barca se non sai dove andare.
Grazie a don Arnaldo l’integrazione a Zurigo fu rapidissima e in breve tornai a vivere i miei anni.

Sarebbe bello raccontare di noi, del gruppo di giovani che cresceva velocemente intorno alla missione, descrivere i problemi, gli amori, i sentimenti, gli ideali, la strada che ognuno avrebbe preso.
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Essere cattolici, negli anni sessanta a Zurigo, in terra protestante significava vivere la propria identità e cercare negli altri, in ciò che era diverso da te, il meglio.
Dire ‘’ ti amo’’ era facile a Zurigo.
Amare gli alberi, il tram che sferraglia, gioioso, sotto casa, le anatre del lago, il freddo, la neve che cade abbondante, la luce dei lampioni che illumina la notte. ... Uscire e mescolarsi tra la folla quando torna primavera…
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Trovai un lavoro come apprendista alla Shoeller und Co, un lanificio tra i più grandi d’Europa, situato sulla Hartumstr, alla periferia nord della città dove
la Limat, il fiume, si allarga in un’ampia ansa.
Un complesso di grandi dimensioni costituito da più edifici dalle caratteristiche omogenee. 
Intorno all’opificio, appoggiate alla collina, le case per i dipendenti, una vera e propria cittadella. Gli stipendi erano, rispetto ad altre aziende, bassi ma godevi della casa e dei servizi presenti nella cittadella. Poco distante, proseguendo la Hartumstrasse, i campi sportivi e lo stadio del Grassoper la squadra di calcio più importante della Svizzera.

All’inizio fui utilizzato come apprendista nella tintoria, un’impianto con numerose vasche per il lavaggio e la tintura a caldo delle lane. Affiancavo un operaio italiano originario delle puglie. Non era difficile.
Non riesco, adesso, a ricostruire con precisione il ciclo produttivo.
Il lavaggio delle matasse di lana cardata avveniva in grandi vasche. La lana, immersa nell’acqua calda, veniva ripulita con l’immissione di acido prima di procedere alla tintura.


Terminato il periodo di ambientamento e prova venni trasferito nel reparto filatura con compiti di assistenza.
Un reparto composto da donne di origine greca e turca, un misto di lingue che non mi impedì di comunicare e svolgere il mio lavoro. ''Kalimera…Kalispera'' ... furono le donne ad insegnarmi il mestiere.
Il lavoro prevedeva la turnazione, 15 giorni al mattino, dalle 5 alle 14 e 15 giorni fino a sera, dalle 14 alle 23.
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Avevo acquistato una bicicletta usata e con quella raggiungevo la fabbrica con ogni tempo e in ogni stagione.
Il 1966 fu un inverno molto rigido. Una mattina, intorno alle 4 e 30, sotto casa, il barometro della farmacia segnava - 21 gradi.
Non avevo freddo e con la bicicletta raggiunsi, come sempre, la fabbrica che si trovava all’altro capo della città. C'era la neve.
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Preferivo il turno del mattino che mi consentiva di frequentare la missione mentre quello della sera mi permetteva di studiare, disegnare, leggere.
Ero indipendente e progettavo di riprendere gli studi regolari
Grazie alla Missione Cattolica sono anni belli.

C'è il rammarico per gli studi ma torno a vivere i miei anni, a progettare, ad avere fiducia.
La Missione diventa il mio ambiente, la nuova famiglia....
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Entro in un gruppo che si stava formando composto da giovani donne che sono ancora nel cuore e nella mente. Avevamo poco più o meno di 16 anni. Fu grazie alle ragazze che il gruppo potè cementarsi. Divenimmo inseparabili.
Quindi gli altri, quelli arrivati in Missione prima di noi. Giovani appena più grandi. Veneti, Friulani, Lombardi, Svizzeri del Canton Ticino.
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Le immagini si sovrappongono e portano la gioia degli incontri, le gite; di quella volta che insieme, andammo sull’Uetliberg.
Uetli è’ il punto più alto e panoramico di Zurigo.
Prendemmo, a Selnau, il treno di montagna con la guida a gramaglia che scatta e consente di salire fin quasi la vetta posta intorno ai ‘900 metri. Il succedersi dei boschi, il lago che si apre lentamente e, arrivati in cima, la terrazza panoramica: la vista dei monti che circondano Zurigo che veloci corrono verso la vicina Germania. Adriana, la più giovane del gruppo, era alle prime uscite. Parlava un italiano stentato.
Era dolce Adriana
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Tornammo a piedi, all’imbrunire, lungo un sentiero sconnesso, ripido che attraversava veloce i boschi fino alle prime case e alla stazione di Selnau. Eravamo felici. Il pranzo al sacco, il girovagare sulla cresta dell’Uetliberg, i giochi, i profumi e gli odori di un giorno d’estate. 

Ogni anno la Missione organizzava un pellegrinaggio ad Einsiedeln, al Santuario di N.S. degli eremiti, la miracolosa Vergine nera.
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Il Santuario della Madonna nera di Einsiedeln ha una storia che merita un breve cenno. 
Intere comunità, seguendo i deliberati della assemblee cittadine, passavano alla Riforma e le principali cattedrali mariane presenti nella Svizzera vennero occupate dai protestanti che avevano in Zwingli, a Zurigo e in Calvino a Ginevra i loro massimi esponenti (siamo nel XVI secolo). 

Il passaggio alla Riforma comportò la distruzione degli altari e delle immagini sacre; un periodo buio che mise in forse la sopravvivenza del cattolicesimo.. Nonostante la forza dei riformisti, i cattolici riuscirono a difendere alcune posizioni e a stabilire la propria egemonia in Canton Ticino

Possiamo aggiungere che  l’Abazia benedettina di Einsiedeln, fondata al termine del primo millennio, rappresentò in Europa un baluardo della cattolicità alle tesi e alle azioni dei riformisti.
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Ho brevemente tratteggiato un periodo della storia della Svizzera per dare significato al nostro essere cattolici a Zurigo.

Al mattino passavo il tempo a leggere e a studiare. Matematica, fisica; i libri di lettere e filosofia scelti senza una guida,  il disegno, i pastelli… ero bravo.


La passione per il disegno non era una novità ma una dote emersa sui banchi di scuola. Ed ero di gran lunga il migliore.
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A Zurigo uscivo di casa con le matite, i fogli, i pastelli e il carboncino per ritrarre i fiori, le foglie, i paesaggi, la bottega del fruttivendolo, gli alberi e i viali del Rieter Museum.
 Ero in grado di rifare, a carboncino, a matita, con i pastelli i dipinti di artisti famosi e spesso correvo fino al Kunsthaus, il Museo, per visitare le sale, studiare la luce, le armonie, i colori, le ombre  nei quadri dei grandi artisti
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Ero affascinato dal mondo della fisica, dallo studio dell’infinitamente piccolo cioè alla teoria quantistica, la base ultima sulla quale si regge l’intero universo microscopico delle particelle e, indirettamente, a tutto quanto noi possiamo vedere, udire, toccare. In tutto questo ritrovavo facilmente Dio.
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Studiare per comprendere l’armonia della natura e il mistero della vita.
Studiare e comprendere le leggi che regolano l’universo minimo significava, pensavo, comprendere l’universo stesso di cui siamo una infinitesima parte. Andare oltre la dimensione osservabile e indagare.
Giorno dopo giorno elaboravo il mio futuro quello che volevo fare, che avrei fatto
Come fare?!
Discutevo di futuro con Riccardo che voleva studiare medicina ma non aveva ne i mezzi ne gli studi per iscriversi all’università.
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Era difficile per noi, a quei tempi, giovani immigrati senza appoggi immaginare il futuro.
La città offriva molte opportunità di lavoro non strutturato.
Al mattino potevi portare i giornali di casa in casa ed eri subito libero.
Potevi, saltuariamente, trovare impiego alle poste o alla stazione centrale; fare il benzinaio, il fornaio.
Esistevano tutta una serie di lavori che, con un po di fortuna, ti permettevano di guadagnare per vivere e di trovare il tempo per studiare.
Riccardo che aveva frequentato le scuole a Zurigo parlava perfettamente il dialetto zurighese diversamente da me che cominciavo ad esprimermi ma avevo bisogno di tempo.
Studiavo il tedesco ma non bastava ed avevo fretta.
Potevo scendere in Canton Ticino ma dove?! Un bel problema!
Ne parlavo con Riccardo che era più giovane di me ed ascoltava.
Continuavo ad uscire con Marisa e le altre.
Marisa poteva aiutarmi con la lingua ma non ero pronto per un rapporto profondo che ti cambia la vita.
Marisa mi voleva bene, mi avrebbe aiutato, consigliato, sposato la mia causa.
Potevo farlo, potevo imbrigliare nei miei progetti la vita  un’altra persona?

Non potevo.

Il percorso era duro e lungo.…immaginavo una scala, ripida, che saliva fino ad una porta.
Aprire quella porta era l’obbiettivo che volevo raggiungere , gradino dopo gradino, verso il futuro immaginato, lungamente sognato, scelto. 
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Pissarro
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Arrivò Natale e poi capodanno. Le Barizzi organizzarono una festa nella loro casa, un villino posto in cima allo Zollikerberg, una località situata alla periferia a sud- est di Zurigo.
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Da Bellvueplatz, uno dei più importanti nodi stradali, sulla sponda destra della Limat dove il fiume defluisce dal lago, si prende il tram che porta a Rehalp e da lì, proseguendo lungo la Frochstr., passando per Waldburg, si sale fino all’abitato di Zollikerberg.
Eugenio, Nicola, Riccardo. Marisa, Giovanna, Andriana, Maria , Iris, Rosemary. C’era anche Ornella, bellissima Ornella che saltuariamente frequentava il nostro gruppo.

I genitori di Adriana e di Maria nel salotto e noi nello scantinato trasformato in sala da ballo. Ricordo la musica, Adriana che cercava le canzoni di Adamo, l’allegria, i giochi in attesa della mezzanotte. La neve era caduta abbondante.

 A mezzanotte le ragazze decisero di uscire per una passeggiata nel bosco. Il padre di Adriana mi prese da parte e mi disse: “mM raccomando, che non accada nulla” e mi affidò sua figlia.


Tornammo, io e gli altri giovani, a Zurigo a piedi …attraverso il bosco ….
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Zollikerberg 
(le cose che non ho)
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E a te che penso /lungo la strada che scende,/ fredda, / attraverso il bosco, /le luci della notte. / Le cose che ho, / che non ho, / che vorrei avere per dare/ L’amore che cerco, / che non ho, / che vorrei avere per amare / Dire: “ti amo”/ a te che ascolti.. / E’ solo illusione / il sogno che ho fatto / lungo la strada che scende
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Sto per lasciare Zurigo.
E’ una scelta ragionata se scelta si può chiamare quella di uno che non ha nulla per scegliere tranne i suoi anni.

A quei tempi era difficile per un giovane immigrato scegliere il liceo, i saperi, progettare l’università e seguire le proprie vocazioni.
I giovani immigrati  del mio tempo cercavano il lavoro subito.

All’inizio del 1967 lascio la ''Scoeller und co'' ma resto a Zurigo fino ai primi di maggio.
Libero da impegni passo mesi bellissimi.
Amavo mescolarmi tra i giovani che, numerosi,  trovavi   in riva alla Limat, in prossimità di Belvue ... un crocivia di lingue che erano musica.
Ero vivo e felice di esserci.

***
I nomi sono di fantasia
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Attraverso queste pagine chiedo agli amici della mia (nostra) gioventù di mettersi in contatto con me

lunedì 15 settembre 2008

TERREMOTO

( Cézanne)
Alle ore 13.07 di oggi, lunedì 15 settembre 2008, profondità Km 4.7, Magnitudo 2, a circa 14 Km di distanza dalla città, epicentro nel distretto sismico della Valle del Topino c’è stato un evento sismico… un terremoto.
Ho sentito sussultare il pavimento.
Un’attimo …
La mente corre e racconta altri eventi ….
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Terremoto
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Corro veloce dopo un giorno passato ad inseguire piccoli e grandi problemi : c’è stato un terremoto.
Uno sciame sismico iniziato nel mese di dicembre prosegue ma, dicono, si sta esaurendo.
Sarà vero ?
L’epicentro prossimo alla città ha duramente provato le abitazioni del centro storico con crolli di grondaie, cornicioni, pianelle e coppi dai tetti.
Vivo in una zona altamente sismica ma è difficile abituarsi ai rumori della terra; un borbottio che sale, aumenta, scuote dalle fondamenta la casa, i mobili………
Ho visto il PC tremare,la scrivania sobbalzare, un libro che cade, il lampadario che si agita e la porta non si apre.
Per un attimo immagini il peggio.
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Poi tutto passa ed esci in strada, prosegui con le occupazioni perché la vita continua.
Scosse brevi, di intensità modesta - max 4,2 di magnitudo - ma ugualmente paurose, inquietanti. .
La vita prosegue, vai in banca, ritiri un fondo per le emergenze e vai…..
Vorresti andare lontano, dove non cadono i coppi o le pianelle dai tetti, dove i PC non tremano, i libri non cadono e non senti il borbottio che sale dalla terra e invade la stanza.
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Un poeta spoletino, il 12 gennaio del 1896, pubblicava una lunga poesia in vernacolo.
Significative le ultime due strofe:
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Io me ne scappo e subbitu
Io me ne vojo annà,
la morte de lu sorce io non la vojo fa
me ne jirrò in America
in Francia o ‘npò più in là:
basta che non ce tèrtica
donche se sta.
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(traduzione: io scappo e subito/io me ne voglio andare7 la morte del topo/ non la voglio far/ Me ne andrò in America7 in Francia o un po’ più in là7 basta che non ci trema7 dove si sta. )
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Una poesia scritta nel 1896 dopo il terremoto del 20 maggio del 1895. Il poeta, saggiamente ci scherza sopra .
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L’idea di partire assale ma per andare dove ? In Australia, a Sydney, dice Marisa, il sole batte 42 gradi all’ombra . Impossibile immaginare una spiaggia, i sapori dell’oceano, lo spruzzo dell’ acqua che batte lo scoglio e dimenticare il calore torrido che sale dalla terra………
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dice Ileana.
Bisogna guardare al futuro. Anche questo sisma è alle spalle, …… è passato.
….. e una data emerge, dolorosa, determinate
Una data che vorresti cancellare ma non puoi; una nota stonata che scompone lo spartito della vita ……(un terremoto) …….. quello che poteva essere e non è stato.
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Morte del Partigiano Luciano

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Ridevo e saltavo sul letto sorpreso dal via vai dei parenti che attraversavano la stanza diretti nella camera di mio padre.
Passavano in silenzio mentre saltavo sul materasso, i volti in processione, pensosi e muti: gli zii, le zie, i cugini, i nonni.
Della notte, di quella notte ricordo il silenzio ed io che ridevo.
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Mio padre era morto e non lo sapevo.
Saltavo e ridevo in attesa di mia madre che sempre accorreva preoccupata ad interrompere il gioco.
Quella notte mia madre non venne a dirmi
<>
La nonna diceva che ero un bambino troppo vivace; che avevo il verme solitario così, quando mi sgridava pensavo al verme che avevo dentro, da qualche parte ma non si vedeva.
Quella notte mia madre non venne a minacciare il verme, a riassettare amorevolmente le coperte e spegnere la luce.
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Da quella notte la poesia scandisce il mio tempo. Racconta, accompagnandoli, i giorni che si susseguono. Racconta della nonna, della casa appena sotto la torre .
Di quello che eravamo, noi, davanti al focolare nelle sere d’inverno; di mia madre e delle nostre migrazioni.
Di quello che eravamo, che poteva essere e non è stato Smisi di essere un bambino vivace che saltava ridendo sulle coperte e faceva impazzire la nonna.
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Per chi entra dalla piazzetta dell’erba, all’inizio di via del Trivio c’è un muro; un bastione messo per trattenere la soprastante via Cecili e il Chiostro di San Nicolo.
Di lì passava mio padre tornando dal lavoro.
Quel muro improvvisamente mi sembro altissimo; una barriera insuperabile come quei giorni e quelli che sarebbero venuti. Volevo superare quel muro e tutti quelli che sarebbero venuti.
Lo avevo promesso; avevo promesso a mia madre:
“Non ti preoccupare mamma, ci sono io a difenderti”
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Non avevo sette anni ... Non avrei più visto mio padre tornare dal lavoro costeggiando il muro di Via del Trivio.

da PAGINE


A Zurigo uscivo di casa con le matite, i fogli, i pastelli e il carboncino per ritrarre i fiori, le foglie, i paesaggi, la bottega del fruttivendolo, gli alberi e i viali del Rieter Museum.

Ero in grado di rifare, a carboncino, a matita, con i pastelli i dipinti di artisti famosi e, spesso correvo fino al Kunsthaus, il Museo, per visitare le sale, studiare la luce, le armonie, i colori, le ombre... nei quadri.
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Ero affascinato dal mondo della fisica; dallo studio dell’infinitamente piccolo cioè dalla teoria quantistica, ....la base ultima sulla quale si regge l’intero universo microscopico delle particelle e, indirettamente, a tutto quanto noi possiamo vedere, udire, toccare. In tutto questo ritrovavo facilmente Dio.

Studiare per comprendere l’armonia della natura e il mistero della vita.

Studiare e comprendere le leggi che regolano l’universo minimo significava, pensavo, comprendere l’universo stesso di cui siamo una infinitesima parte.

Andare oltre la dimensione osservabile e indagare.
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mercoledì 28 marzo 2007

IL PARTIGIANO LUCIANO.






“Vado” disse al padre Stefano “ vado con i partigiani”
Le mani smisero di accarezzare il legno e lentamente ripose la sgorbia ; un silenzio assordante avvolse la bottega , i trucioli sparsi sul pavimento, i mobili in attesa, l’odore delle colle, le tavole accatastate di legno asciutto, stagionato.
Muti i macchinari respirarono il silenzio .
Lentamente alzò gli occhi di un azzurro bagnato, impastato dagli anni e guardò il figlio, l’ultimo maschio rimasto, gli altri dispersi e non sapeva dove; quel figlio avuto in vecchiaia , il più amato…
Non c’era altro da fare e lo sapeva ma come fai a staccarti da un figlio, il solo in grado di proseguire l’impresa che faticosamente avevi realizzato.
Una vita spesa per costruire, riparare mobili, sedie, tavoli.
I primi apprendisti da guidare, il lavoro che cresce, la prima esposizione, i clienti che aumentano ma sei solo . Resisti perché hai un figlio, intelligente, istruito, capace.
Puoi fidarti e allora attendi.
Due sono andati dispersi, scomparsi lungo gli anni della guerra; quella guerra che aveva subito odiato . Socialista della prima ora era rimasto fedele ai suoi ideali.
Non aveva aderito al fascismo ed era rimasto quieto .. in disparte.
Le mani rimaste immobili ripresero ad accarezzare il legno.
Immaginò la curva e la profondità dell’intaglio. Riprese lo sgorbio.
“ non c’è altro da fare “ disse e aggiunse
“ non sai nulla della guerra: stai attento!
“ tracciò la curva e un truciolo cadde sul pavimento...
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*******
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L’adolescenza e la gioventù raccolta in quella decisione.
Lui, con i nazi – fascisti non sarebbe andato.
Ne parlava con gli amici, lo aveva detto ad Emma, la ragazza che amava e al prete.
“Don Franco, con quelli non vado” e il povero prete, disperato, aveva annuito.
Era anche colpa sua se i ragazzi come Luciano detestavano i fascisti, la guerra, quella guerra, le leggi razziali, le riunioni oceaniche e l’ipocrisia delle parole, le tante che ascoltavano come : “Vincere!” Vincere cosa?Sentivano la mancanza della libertà; la possibilità di dissentire, di proporre, di poter esprimere un loro pensiero.
Rifiutavano l’appartenenza alla folla solitaria plaudente e remissiva.
A quell’idea del destino inevitabile a cui la nazione tutta era votata.
E il destino, quel destino fondato sulle baionette stava rapidamente maturando in catastrofe.
No, lui non intendeva rispondere alla chiamata alle armi.
Meglio la montagna, i boschi ….la lotta armata contro i nazi-fascisti.
E un brivido l’assaliva pensando alla battaglia, ai morti, alla vita presa o lasciata.
Abbracciò Emma, la strinse forte, forte.
Riempì gli occhi dei suoi, accarezzo i lunghi capelli bruni, Emma pianse i suoi 16 anni e quelli che avrebbe voluto passare con lui...
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*******
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Partì all’alba di un giorno di settembre. I compagni, alcuni, erano già andati.
Penso di raggiungere Gavelli, sede del comando partigiano, con un giorno di marcia.
Raggiunse la cresta del monte che sovrasta la città …… indietro la valle sfumata di bianche trasparenze ……. l’autunno cominciava a giocare con i colori e il bosco di licino sempre verde.
Immerse gli occhi nella valle e la città aggrappata alla collina, all’estate appena trascorsa, ………. alla treccia bruna che la sua Emma aveva sciolto per lui.
Un profumo dolcissimo invase la mente.
Raccolse i pensieri, le emozioni e riprese a salire verso Patrico lungo sentieri che conosceva lontano dai villini e dai casolari.
Andava verso i monti più alti dell’Appennino , lo zaino leggero sulle spalle , la roncola e un bastone per sostenere i passi, le salite e le discese.
Non aveva armi tranne la roncola e un coltello a serramanico.
Le armi erano sul posto.
Le avevano trafugate con vari colpi di mano dalle caserme di Spoleto, complici alcuni militari in servizio ed erano state portate, di notte, a dorso di mulo fino a Gavelli.
Stavolta non andava a funghi o a caccia di selvaggina ma verso un futuro ignoto …di lotta….. un futuro di libertà … diceva a se stesso …. da costruire insieme alla sua Emma.
C’era da attraversare il Nera dove un palo gettato tra le sponde e una fune tesa tra due alberi consentiva di raggiungere l’altra riva e non essere visti.
Conosceva quel punto e i boschi circostanti,
“Non sai nulla della guerra: stai attento! “
Il monito del padre risuonava nella mente e accompagnava i passi, i pensieri.
Che poteva sapere, lui, a vent’anni della guerra.
Era rimasto affascinato dai racconti del genero, un piemontese figlio di militari che la guerra, la grande guerra l’aveva fatta.
Lui, giovane tenente degli alpini era dove i monti sono più alti e il nemico davanti, sull’altra cima uniti dal freddo di quell’ultimo inverno.
C’era stata la disfatta e nessuno sapeva cosa bisognava fare, se andare in soccorso o restare dove faticosamente erano giunti.
Rimase a difesa dei passi del Pasubio, delle piccole Dolomiti.
Attacchi e contrattacchi e restare vivo.
Un giorno scese e risali la montagna e la successiva e quella più avanti perché a valle, finalmente, avevano sfondato le linee nemiche.
Andò avanti, attacchi e contrattacchi poi solo avanti al comando della compagnia, di quello che restava perché il capitano era morto, ucciso all’alba di un mattino e non seppe mai della vittoria.
Era rimasto affascinato da quei racconti ma ora che c’era , che toccava a lui, figlio di un falegname, saliva e scendeva con rabbia i suoi monti .. non c’era altro da fare … .
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*******
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In città , nelle riunioni clandestine, ne avevano discusso insieme agli ufficiali.
La loro, quella partigiana non era una guerra di posizione … dovevano attaccare e scomparire; occupare il territorio, rendere insicure le strade, impraticabili i boschi, le comunicazioni.
Non era una guerra di posizione ma un mordi e fuggi….. piccoli gruppi sparsi nei punti nevralgici.
Azioni di sabotaggio di impianti, di ponti, e vie di fuga tracciate nella mente .
Niente attacchi e contrattacchi lungo i pendii tortuosi dell’Appennino ma nascondigli protetti dal fitto della boscaglia e caverne nei dirupi montani per fare sosta e ripartire.
La loro era una guerra d’attesa.
Gli alleati erano sbarcati a Salerno …. Bisognava occupare il territorio, renderlo insicuro e attendere...
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*******
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Prese il sentiero che scende verso Scheggino e la Valle del Nera.
Attraversò il Nera e il tratto che in leggera salita precede la mulattiera; un sentiero che s’inerpica tortuoso e veloce tra i boschi e i pianori che precedono il passo del Terminaccio.
Misurò i passi, le distanze, il sole del mezzogiorno.
L’umidità della terra accompagnava la salita verso il turbolento Vallone di Gavelli che da un lato guarda il Monte dell’Ostite e dall’altro il massiccio del Coscerno con le sue fiancate rocciose, impervie, corrugate da canaloni pietrosi.
“Questa” pensò “è la mia nuova casa.”
Autunni precoci e brevi, inverni lunghi e rigidi, nevicate abbondanti, forzosi isolamenti.In lontananza un rumore di campanacci raccontava la presenza dei pascoli d’altura…. intravide le mucche chianine che si abbeveravano in un laghetto naturale ritagliato dal cielo tratteggiato di nubi.
A settentrione pioveva.
Accelerò il passo.
Pensò ad Emma, a come sarebbe stato bello averla con lui, alla sua treccia bruna.
In lontananza, bellissimo ma fragile scendeva l’arcobaleno.
Il dio della Montagna li avrebbe aiutati.Finalmente era in vista del Castello fortificato aggrappato ad uno sperone del Coscerno a strapiombo sul Fossato; il Castello di Gavelli e le case che messe subito sotto degradano verso il basso. ..
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Il capitano chiamò Luciano e Ivan, uno slavo fuggito dal campo di concentramento di Colfiorito.
“Ho un compito per voi “ disse “ dovete sorvegliare la mulattiera che sale da Scheggino…”
Prese la mappa e indicò la zona
“ State nascosti ed evitate i tedeschi, è importante “ e aggiunse“ stiamo organizzando la fuga degli inglesi e degli slavi prigionieri a Spoleto…. dovete controllare la strada carrabile e la mulattiera e proteggere il loro arrivo “
Scesero verso Sant’Anatolia di Narco in cerca del luogo adatto che trovarono … da un lato la strada e poco distante la mulattiera; la posizione ideale per controllare entrambe le vie di comunicazione.
Scelsero un luogo sicuro protetto dalla macchia e dal bosco.
Provarono la via di fuga, il percorso che avrebbero seguito in caso di attacco.
“Costruiamo un capanno” suggerì Ivan.
“Come sei finito qui “ chiese Luciano
“ La guerra ! ero iscritto alla facoltà di filosofia di Belgrado quando i tedeschi ci hanno invaso. … ho raggiunto la resistenza jugoslava ed eccomi qui ……”
“ ……senti Luciano, ci conviene mettere un telo mimetico sul tetto … rischia di piovere “
“ Va bene … mettiamo un telo coperto con frasche verdi”
“….Ti dicevo, durante un’azione sono stato catturato dagli italiani..”
“ Che ti hanno internato in Italia piuttosto che in Germania. Ti è andata bene “
“ Sono andato con Tito per combattere i nazisti …. e da allora non ho notizie della mia famiglia, di mio padre e di mia madre, delle mie sorelle…. non sanno che sono vivo”
“Maledizione ! “
Tremò la sigheretta, cadde, abbassò gli occhi per riprenderla
“ Maledetti nazisti ! “
Rabbioso con la roncola tagliò un ramo e poi un altro…“ Maledetti tedeschi…! “
Poggiò la schiena ad un albero, scivolò lungo il tronco, si accovacciò… guardò il capanno e quella orribile guerra, i giorni che si succedevano, quella guerra che li stava maciullando nel più orribile dei modi.
Non c’era altro da fare che quella guerra per non farsi spazzare via…. e tornare a casa.
Il buio li sorprese.
Veloce attraversò i cespugli, nascose i rami più alti, scese lungo i tronchi, li avvolse.
Scomparve la strada e il pianoro che la precedeva.Entrarono nel capanno.
Luciano appese una lanterna ad acetilene, l’accese.
Preparò il fornello ad alcol.Sistemarono le armi e gli zaini.
Avevano l’acqua, pane, qualche patata e salcicce.
Lo slavo buttò nell’acqua una patata e le erbe che aveva raccolto scendendo da Gavelli...
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Il freddo umido, bagnato, sempre più gelido, attraversò la coperta di lana, i vestiti e non riusci a dormire.. …..… i pensieri raccolsero il respiro del bosco, le ore, il silenzio .
Era la sua prima notte da combattente partigiano ed altre ne sarebbero venute, diverse, peggiori di quella. Pensò all’inverno e alla neve che sempre cadeva abbondante.
Come avrebbero fatto a resistere lui e il fratello che aveva trovato, quello slavo così diverso da lui, così lontano dalla sua terra… che combatteva la stessa guerra per restare vivo, libero, in un paese libero …. sentimenti mai vissuti agitavano la mente per quello stare lì , in quel silenzio irreale.
Era lì e lo aveva voluto, cercato… aveva cercato la, guerra …. per fuggire dalla gioventù negata, per riprendersi la vita che voleva avere.
Albeggiava .
Non ne poteva più di quel freddo e decise di accendere un fuoco per scaldare le mani .
Un piccolo fuoco e bere una gavetta d’orzo caldo, bollente.
“ Non sei riuscito a dormire …..che pensi ? “ chiese Ivan
“ Non lo so. ….di tutto. È un po’ come sentirsi morire …… questa attesa, la bellezza dei monti, il pensiero della famiglia, di Emma …”
“ Paura ? …….. .. che vuoi fare.. dargliela vinta ? sono assassini ! “
“ Non è paura ma qualcosa di diverso che ti arriva addosso, d’improvviso …cosa sia non lo so.
Forse è ansia, qualcosa che non avevo mai provato… è un po’ come sentirsi morire……..Per quello che potrebbe succedere… la battaglia.. difendersi e prendere la vita di un altro e devi farlo, riuscire a farlo, per non perdere la tua o quella dei tuoi compagni…….Devi difenderti e uccidere …. per non perdere i tuoi, quelli che ami.. la Emma che aspetta, mio padre che conta sul mio aiuto, mia madre che attende i figli dispersi e non riesce a darsi pace….. . i compagni saliti come noi su questi monti…”
“ Ho provato le stesse tue sensazioni “ disse Ivan.
“ I pensieri arrivano da soli… e non puoi fermarli… impossibile farlo … potresti morire .. ci pensi e il cuore ti batte dentro …lo senti… senti di morire per i pensieri che arrivano da soli e non danno pace… e spaventano. “
“ La guerra sta per finire. Gli Americani sono a Salerno, non sono lontani…. Pensa a questo … pensa alla tua Emma ….. al futuro che ti aspetta … “
“ Il tempo ! … . Ieri uscivo con i compagni ed ora sono qui, armato, pronto a difendere questi monti e il futuro che vorrei avere. “
“ Zitto ! “
Tacque il silenzio.
La brezza del mattino adagiò, leggera, le prime foglie d’autunno, tacque l’autunno.
“ Spegni il fuoco ….. presto ! “
Un rumore di automezzi che frenano, voci che tagliano l’aria come frecce, la brezza che riprende, più forte …e imperiosa agita il bosco.
“ Ci hanno visto …! “.
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Le campane della chiesa battevano il mattutino quando iniziò la battaglia.
Il crepitio di una mitragliatrice investì il bosco.
Erano stati individuati. Risposero con una scarica di fucileria tenendo d’occhio il lato di sinistra , dove gli alberi sono più fitti ; la via scelta per scomparire.
Avevano provato l’azione, la tattica da seguire in caso di scontro con i tedeschi.
Avevano provato la via di fuga.
Cominciarono a muoversi, velocemente, tra un albero e l’altro, lungo una linea a lungo immaginata, provata, avanti, indietro, brevi soste e ancora avanti, avanti.
Ricaricavano durante la corsa...
Decisero di rispondere al fuoco per avvisare gli altri, quelli di vedetta tra Scheggino e Ceselli e dare loro il tempo di trovare rifugio e prepararsi allo scontro.
Caricavano e si spostavano per sparare e dare al nemico l’idea di un gruppo numeroso disposto a ventaglio. Avanti, avanti e poi indietro, distanziati tra di loro, lungo la linea immaginata e provata nei giorni di quiete, da un albero all’altro, caricando e sparando.
Durò a lungo la battaglia poi il silenzio.
Decisero di sganciarsi per non essere aggirati e presi in trappola … decisero di tagliare verso il fiume dove le rocce e i dirupi consentono una posizione dominante e facili nascondigli.
Scesero veloci verso il fiume, sfiorarono il paese, un casolare e poi giù verso le rocce e il dirupo dove il fiume restringe e vedi l’ansa, la strada e il ponte che attraversa.
Scendevano quando lo slavo indico il ponte che ormai si intravedeva e la strada .
Una camionetta tedesca seguita da un automezzo più grande si era fermata Dalla camionetta scesero i tedeschi.
Uno di questi, pistola in mano cominciò a sparare ad un ragazzo che correva lungo il ponte .
Correva il ragazzo e il tedesco sparava quando dal bosco tagliato un gruppo di partigiani provenienti da Fionchi aprì il fuoco.
Una mossa avventata perché subito dal camion la mitragliatrice cominciò a battere il terreno.
Si rifugiarono dietro una carbonaia composta ma non ancora arsa , bloccati dal fuoco nemico, ormai persi.
I tedeschi, quelli della camionetta e quelli scesi dall’automezzo cominciarono ad avanzare. Erano persi.
Il bosco tagliato non offriva ripari ; solo la carbonaia ma nulla potevano contro il numero, le armi automatiche e la mitragliatrice che batteva il terreno.
Avevano perso la speranza quando da sinistra , dalla macchia che precede le rocce e i dirupi un nutrito fuoco di fucileria investì il nemico costringendolo ad arretrare velocemente verso gli automezzi.
Erano scesi veloci, il partigiano Luciano e lo slavo, verso quel punto privilegiato, vicino alle rocce e in alto, ben sopra la strada e il ponte che attraversa il Nera.
Presi tra più fuochi i tedeschi fuggirono precipitosamente..
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Rimasero in zona. L’ordine era di attendere … l’arrivo dei prigionieri slavi in fuga dal carcere di Spoleto. L’ordine era di accompagnare verso la montagna di Gavelli i 94 evasi.
Passarono quella notte e le successive all’addiaccio…. nascosti nel fitto della boscaglia.Le notti fra il 10 e il 14 ottobre del 1943(continua)
(Sesto per l’anagrafe, Luciano per i compagni, il Partigiano Luciano era mio Padre . I fatti che racconto sono realmente accaduti e alcuni dei protagonisti sono ancora vivi)