Emigrare è anche bello. È bello conoscere ed apprendere lingue nuove, sensazioni che si muovono in spazi diversi; strade , monti e boschi, fiumi e laghi.. volti ..che si aprono per diventare memoria.E ami le terre avute in dono dalla vita e le strade e le piazze e nuovi ricordi, nel tempo, affollano la mente raccontati in lingue diverse dalla tua e non ci fai caso tanto ti appartengono e sono tuoi.Conosci l’inglese, apprendi il tedesco, hai fatto nuove amicizie e ti è piaciuto. Diritti riservati
domenica 22 agosto 2010
James Augustine Aloysius Joyce - da Dedalus a Ulisse (I)
Di Dedalus Joyce diceva: «E´ stato il libro della mia giovinezza». Lo "superò" con l´Ulisse, il romanzo della maturità. Ma in realtà, in Ulisse Dedalus torna come co-protagonista, insieme a Bloom, di quell´epopea quotidiana, che vede in un giorno qualunque a Dublino l´incontro tra l´uomo medio Leopold Bloom, nel quale si reincarna l´Ulisse omerico, e l´intellettuale, controfigura dell´artista Stephen Dedalus, in cui si manifesta Telemaco.
Ma si badi bene: Stephen Dedalus è nato prima; il figlio Telemaco è nato prima del padre Ulisse. A ben pensarci, non è sempre così? il figlio non nasce sempre prima del padre?
Il figlio è una figura reale e simbolica che ossessiona Joyce - come tanta parte della letteratura europea del suo secolo. Basta pensare a Musil, a Freud, a Kafka. Insieme al relativo problema dell´iniziazione alla vita. Anche in questo senso Dedalus è, e non può non essere prima di Ulisse. Attraverso Dedalus Joyce descrive la posizione filiale come «un´età del tormento, quando non si vede niente con chiarezza». Del resto, così era stata la giovinezza di Stephen e di Joyce: «violenta e dolorosa». Insoddisfazione, inquietudine, smarrimento sono i toni profondi del romanzo. Come nella prima versione, Stefano è a tutti gli effetti l´eroe di cui si raccontano le gesta. Atti, a dire il vero, niente affatto eroici, che hanno però come sfondo emotivo una densa, intensa, carica eroica; com´è tipico dell´adolescenza e della giovinezza, l´esperienza più banale si carica di significati portentosi, come se a ogni istante si dovesse scegliere se vivere o morire.
Fa parte di questa intensità emotiva la simbolicità del nome e cognome dell´eroe. Il cognome nella seconda versione cambia leggermente, da Daedalus in Dedalus, come se Joyce volesse spegnere una certa eccessiva ricercatezza. Rimane tuttavia un nome (e cognome) fin troppo appariscente e vistoso per un irlandese, che spande intorno al personaggio un´aura preziosa, ricercata; una magia che, se nei primi capitoli è tenuta a bada, negli ultimi si libera creando un´area in più di espressività. Come se giocando con la propria stranezza il nome si presentasse col pieno potere della sua valenza profetica. In un certo senso, Stephen matura staccandosi dalla sua famiglia reale irlandese di Dublino e assumendo la parentela con il suo eponimo greco. Stephen matura, cioè, diventando archetipico, mitico, riconoscendo il proprio posto tra gli intraprendenti artefici dello spirito.
E´ un procedimento di acquisizione del proprio sé - movimento proprio del romanzo di formazione - che si sviluppa, però, attraverso un modo poetico, più che romanzesco. Con tonalità rituali, magiche, più che realistiche.
Il modo in cui Stephen si riconosce come protagonista della propria esistenza è alla Pound, alla Yeats: il concetto di maschera è centrale. L´eroe sceglie per sé una maschera, se la mette ed ecco che da essa deriva una forza che non possedeva prima.
Stephen può scegliere tra due maschere - quella apostolica, cattolica e romana del reverendo Stephen Dedalus, mentre l´altra è greca. Stephen sceglierà la maschera greca, e nei capitoli finali, in coincidenza con la fase conclusiva della pubertà, il processo mitopoietico si compirà con l´invocazione al padre Dedalo: «vecchio genitore, vecchio artefice». Avendo trovato il proprio padre simbolico, "benvenuta", a questo punto, è per il giovane Stephen "la vita!" Accettare il nome proprio significa per Stephen accettare la missione che comporta. Il Nome è sempre del Padre, e in quanto sigillo dell´unione col Padre suo simbolico lo celebra alla fine Stephen. Chiede al vecchio genitore e artefice Dedalus: «Fammi ora e sempre buona guardia». Chiede al padre suo simbolico di essere il suo angelo custode e dargli le ali. Con le quali fuggirà dal labirinto.
Ma l´allusione tutta librata sulla libertà del volo ha un´indimenticabile, anche se qui temporaneamente soppressa, eco sinistra. Tutti ricordiamo la vicenda di Dedalo. E se Ovidio è cortese con lui, e lo tratta con rispetto, vi sono altri, come nel caso di Bacone, che lo criticano in quanto architetto e scienziato. E in effetti, a ben pensarci, se Dedalo dette le ali a Icaro, i risultati non furono dei migliori. E se è vero che l´invenzione delle ali è magnifica e quella del labirinto straordinaria, che dire della pseudo-vacca che inventò perché Pasifae potesse copulare col suo toro? Tale ridicola macchina non viene menzionata nel Dedalus; ma Stephen se ne ricorderà nell´ Ulisse, parlando di un´altra invenzione antica, del cavallo di Troia. Un´altra storia che getta ombra sulla figura di Dedalo è quella del nipote che Dedalo fece fuori - dicono - per pura invidia e gelosia.
Il padre, anche quello simbolico, non vorrà sempre la distruzione del figlio? Sarà per questo che il mistero della paternità è tra i più dolorosi, e affligge la Kakania, come Praga, come Dublino?
(Fonte:NADIA FUSINI . Repubblica.it)
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