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Nell'arca
Comincia a cadere una pioggia incessante.
Nell'arca, e dove mai potreste andare:
versi per una sola voce,
slanci privati,
talenti non indispensabili,
curiosità superflua,
afflizioni e paure di modesta portata,
e tu, voglia di guardare le cose da sei lati.
I fiumi si ingrossano e straripano.
Nell'arca: chiaroscuri e semitoni,
capricci, ornamenti e dettagli,
stupide eccezioni,
segni dimenticati,
innumerevoli varianti del grigio,
gioco per il gioco
e tu, lacrima del riso.
A perdita d'occhio, acqua e l'orizzonte di nebbia.
Nell'arca: piani per il lontano futuro,
gioia per le differenze,
ammirazione per i migliori, 
scelta non limitata a uno dei due,
scrupoli antiquati,
tempo per riflettere,
e tu, fede che tutto ciò
un giorno potrà ancora servire.
Per riguardo ai bambini
che continuiamo a essere,
le favole sono a lieto fine.
Anche qui nessun altro finale va bene.
Smetterà di piovere,
caleranno le onde,
nel cielo rischiarato
si apriranno le nuvole
e saranno di nuovo
come si addiceva alle nuvole sugli uomini:
elevate e leggere
nel loro somigliare
a isole felici,
pecorelle,
cavolfiori,
pannolini
-che si asciugano al sole.
.Wisława Szymborska, Gente sul ponte, 1986, 
trad. it. Pietro Marchesani, Libri Scheiwiller, Milano 1997
. 
 ...
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Un amico mi ha regalato una poesia. È di Wisława Szymborska , poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura nel 1996.
Si intitola Nell’arca e alcuni versi vorrei portarli con me nell’anno nuovo.
« Comincia a cadere una pioggia incessante » dicono. 
«  Nell’arca, e dove mai potreste andare: voi, poesie per una sola voce,  slanci privati, talenti non indispensabili, curiosità superflua,  afflizioni e paure di modesta portata, e tu, voglia di guardare le cose  dai sei lati… 
Nell’arca:  piani per il lontano futuro, gioia per le differenze, ammirazione per i  migliori, scelta non limitata a uno dei due, scrupoli antiquati, tempo  per riflettere, e tu, fede che tutto ciò un giorno potrà ancora servire.  
Per riguardo ai bambini che continuiamo a essere, le favole sono a lieto fine. Anche qui non c’è altro finale che si addica » . 
Nel  discorso del Nobel, aveva evocato l’intero universo, con le sue  distanze abissali, le stelle infinitamente lontane, i pianeti « già  morti o ancora morti » , per ricordare che qualunque cosa ne pensiamo, «  spaventati dalla sua immensità e dalla nostra impotenza, amareggiati  dalla sua indifferenza rispetto alle sofferenze individuali... qualunque  cosa noi pensiamo di questo smisurato teatro, il mondo è stupefacente »  . 
(LAURA BOSIO )
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