Artemisia Gentileschi - Wikipedia
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L'anima mia nel mezzo della notte
è paralizzata e confusa.
Fuori, fuori di lei si compie la sua vita.
E attende la favolosa aurora.
E anch'io dentro di lei, con lei,
attendo, m'annoio, mi consumo.
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Artemisia Gentileschi
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Pittrice (Roma 1593-Napoli ca. 1652), figlia di Orazio Gentileschi, pittore caravaggesco di cui fu allieva. Sin da piccola si rivela l'unica, tra i figli di Orazio, a essere dotata di talento: già nel 1609 esprime la sua abilità ritraendo l'amica Tuzia insieme al figlio. Assunse ben presto una fisionomia definita, assai lontana dai modi raffinati di Orazio, e sempre legata alle opere di Caravaggio e di Vouet, ai temi cruenti della Giuditta e Oloferne, legati forse all’abuso da lei subito (1611) ad opera dell’amico e collega del padre, Agostino Tassi: nel 1612 ha inizio il processo per stupro ad esso relativo, che terminerà dopo cinque mesi con una lieve condanna per il pittore suddetto; Artemisia subì l'umiliazione di plurime visite ginecologiche pubbliche, venne torturata, ma non ritrattò la sua deposizione che non venne mai accettata. Un mese dopo la fine del processo Artemisia, insieme al marito Pietro Antonio di Vincenzo Stiattesi, sposato nel novembre del 1612, si trasferì a Firenze, dove venne introdotta alla corte del granduca Cosimo II. Il successo fu immediato: Artemisia iniziò a ottenere lavori su commissione. Di questo periodo fiorentino, che fu tra i più felici della carriera della pittrice, resta come testimonianza topica la Giuditta e Oloferne degli Uffizi. Con i figli, Gentileschi, ritornò a Roma, ma tra il 1625 e il 1630 fu quasi sicuramente a Venezia; nel 1630 visse a Napoli, mentre nel 1637 giunse alla corte di Carlo I d'Inghilterra. Dopo la morte del padre Orazio, avvenuta nel 1639, tornò nella città partenopea, dove rimase poi per sempre. Non si conosce la data precisa della sua morte. Di questi anni restano opere con forti caratteri luministici, tele per la cattedrale di Pozzuoli, e altre inviate per tutta Europa.
Pittrice (Roma 1593-Napoli ca. 1652), figlia di Orazio Gentileschi, pittore caravaggesco di cui fu allieva. Sin da piccola si rivela l'unica, tra i figli di Orazio, a essere dotata di talento: già nel 1609 esprime la sua abilità ritraendo l'amica Tuzia insieme al figlio. Assunse ben presto una fisionomia definita, assai lontana dai modi raffinati di Orazio, e sempre legata alle opere di Caravaggio e di Vouet, ai temi cruenti della Giuditta e Oloferne, legati forse all’abuso da lei subito (1611) ad opera dell’amico e collega del padre, Agostino Tassi: nel 1612 ha inizio il processo per stupro ad esso relativo, che terminerà dopo cinque mesi con una lieve condanna per il pittore suddetto; Artemisia subì l'umiliazione di plurime visite ginecologiche pubbliche, venne torturata, ma non ritrattò la sua deposizione che non venne mai accettata. Un mese dopo la fine del processo Artemisia, insieme al marito Pietro Antonio di Vincenzo Stiattesi, sposato nel novembre del 1612, si trasferì a Firenze, dove venne introdotta alla corte del granduca Cosimo II. Il successo fu immediato: Artemisia iniziò a ottenere lavori su commissione. Di questo periodo fiorentino, che fu tra i più felici della carriera della pittrice, resta come testimonianza topica la Giuditta e Oloferne degli Uffizi. Con i figli, Gentileschi, ritornò a Roma, ma tra il 1625 e il 1630 fu quasi sicuramente a Venezia; nel 1630 visse a Napoli, mentre nel 1637 giunse alla corte di Carlo I d'Inghilterra. Dopo la morte del padre Orazio, avvenuta nel 1639, tornò nella città partenopea, dove rimase poi per sempre. Non si conosce la data precisa della sua morte. Di questi anni restano opere con forti caratteri luministici, tele per la cattedrale di Pozzuoli, e altre inviate per tutta Europa.
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