(Carlo Levi)
Il poeta fa parte di un gruppo di poeti "maledetti" (nel senso di un cattivo destino, non nel senso dei maudits francesi, ammantati di romanticismo, genio e sregolatezza) nati in Calabria, come Lorenzo Calogero, Michele Rio, Domenico Zappone e altri, tra cui anche il sacerdote Francesco Bellissimo, fine poeta totalmente ignoto: tutti suicidi.
Poeti molto diversi tra loro per tecnica, ispirazione, passione, pathos, ma che hanno in comune una vis di protesta e di indignazione per le condizioni drammatiche della Calabria e del popolo calabrese, "condannati" a subire una storica subalternità, quindi anche un' "estraneità" nel contesto sociopolitico delle varie epoche, fino ai nostri giorni.
Franco Costabile ha scritto forse la "poesia civile" più pungente, più amara, più graffiante, più accusatoria sulla condizione del Sud e in particolare della Calabria e dei calabresi costretti ad emigrare o a patire miseria e incultura in patria, per mancanza di responsabilità politica da parte dei governanti e di intraprendenza culturale ed economica da parte di tutti.
.
Costabile nella sua poesia, in due soli libri - La via degli ulivi (1950) e La rosa nel bicchiere (1961) - affronta diversi temi attinenti alla società calabrese dell'epoca, in genere con versi brevissimi, martellanti, con soluzioni linguistiche innovative sul piano formale (anticipa anche alcune direttrici della Neoavanguardia; è del 1961 l'antologia dei Novissimi curata da Alfredo Giuliani), con una ben precisa valutazione storica, e senza il tradizionale e sterile "lamento" dell'intellettuale del Sud.
Attira l'attenzione dei maggiori poeti, critici, scrittori, artisti degli anni Cinquanta/Sessanta: Giuseppe Ungaretti, Giancarlo Vigorelli, Elio Filippo Accrocca, Giuseppe Berto, Raffaello Brignetti, Libero Bigiaretti, Niccolò Gallo, Giacomo Debenedetti, il pittore/scrittore calabrese Enotrio (Pugliese), Domenico Purificato, Niccolò Gallo, Giuseppe Mazzullo, Leonida Repaci.
Tutti diventano nell'arco degli anni romani suoi amici, oltre che estimatori.
Per altri sentieri
Per altri sentieri
torneremo alla piana
celeste di ulivi.
Saremo
dove si leva
l'infanzia dei profumi;
dove l' acqua
non si fa nera
ma vacilla di luna;
dove i passi
avranno memorie di solchi
e le dita di melograni;
dove ti piace dormire
e ti piace amare.
Sono questi gli orti,
i confini per ricordarci.
.
E dov'erano solo fili d'erba
E dov'erano solo fili d'erba
un poco innamorata e un poco stanca
ti piaceva guardare il mio paese
bianco nel sole in cima alla collina
come l'incanto d'una Betelemme.
Ed i silenzi immobili del bosco
leggevano le favole più antiche.
Ma non udremo più nell ' alba chiara
i colpi dei fucili nella valle,
ne passare nel cielo rivedremo
la rondine che ha voglia di balcone.
I nostri giorni sono fulminati.
(Guttuso)
LA PIAZZA
Un bar le mosche
lo stemma della Repubblica
''sale e tabacchi'' e due botteghe
dove il pane si vende a credenza.
Triste sarebbe, se la rondine un giorno
non svoltasse di qui.
Il poeta ha saputo interpretare l'epoca storica, il destino di un popolo vissuto nell'ingiustizia, nella miseria, nella delusione, nell'ignoranza, nella consapevolezza che l'unico possibile riscatto era la fuga, andare in un paese straniero, tanto si era stranieri anche in patria, paria emarginati e oppressi. Il poeta riesce a intercettare un sentire comune nel dolore e nella mancanza di speranza. L'unica possibile speranza, ma in ogni caso disperata, era allora nel viaggio, in un diverso e nuovo inserimento nel mondo del lavoro, lì dove lavoro c'era, finalmente retribuito.
Nessun commento:
Posta un commento